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Recensione – L’uomo dalla croce, co-scritto e diretto da Roberto Rossellini

La recensione de L'uomo dalla croce, con Alberto Tavazzi

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: L’uomo dalla croce
Genere: guerra
Anno: 1943
Durata: 72 minuti
Regia: Roberto Rossellini
Sceneggiatura: Asvero Gravelli, Roberto Rossellini, Alberto Consiglio, Giovanni D’Alicandro
Cast: Alberto Tavazzi, Roswita Schmidt, Attilio Dottesio, Doris Hild, Zoia Weneda, Antonio Marietti, Piero Pastore, Aldo Capacci, Franco Castellani, Gualtiero Isnenghi, Antonio Suriano, Marcello Tanzi
Fotografia: Guglielmo Lombardi
Montaggio: Eraldo Da Roma
Colonna Sonora: Renzo Rossellini
Paese di produzione: Italia

Presentato al “Troia International Film Festival” nel 1989, distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 3 febbraio 1943.

La trama de L’uomo dalla croce, diretto da Roberto Rossellini

Di seguito la trama ufficiale de L’uomo dalla croce, diretto da Roberto Rossellini:

 

Un reparto di carri armati operante sul fronte russo, dopo uno scontro col nemico, riceve l’ordine di spostarsi. Un carrista ferito gravemente non può essere trasportato e il cappellano resterà presso di lui per assisterlo. L’indomani giungono i russi; i due vengono fatti prigionieri e condotti ad un comando. Mentre il cappellano risponde serenamente alle minacce di un commissario del popolo, un’azione degli aerei italiani porta lo scompiglio tra le file russe e nel trambusto il cappellano riesce a trasportare il suo ferito in un casolare. Quivi egli ha modo di esplicare il suo apostolato tra donne e bambini che vi sono rifugiati. Un gruppo di russi guidato da un commissario e una miliziana prende possesso della casa e contrasta l’attacco italiano. La battaglia è cruenta, ma alla fine il cappellano riesce a trarre in salvo i feriti e le donne. Esausto e ferito mortalmente, egli ha la consolazione di redimere con la sua parola ed il suo esempio, la miliziana e il commissario del popolo.”

 

 

La recensione de L'uomo dalla croce, con Roswita Schmidt

 

 

La recensione de L’uomo dalla croce, con Alberto Tavazzi

Estate 1942, ad un anno circa di distanza dall’inizio dell’Operazione Barbarossa, che ha portato le forze dell’Asse a dichiarare guerra all’Unione Sovietica, le truppe italiane dello CSIR si preparano ad avanzare verso le linee nemiche. Nel giorno in cui questa pellicola è stata distribuita nei cinema della penisola, i soldati della rinominata ARMIR, dato l’aumento del contingente militare, aveva appena subito una delle disfatte più clamorose che l’esercito italiano abbia mai subito dall’Unità, una ritirata lunga ed estenuante in condizioni a dir poco proibitive, con un equipaggiamento del tutto inadeguato. Il luogo in cui è ambientata la vicenda è l’odierna Ucraina, territorio che dal 24 febbraio 2022 sente ancora sparare, a ottant’anni di distanza, i missili, le bombe ed i carri armati. Al momento della lavorazione del film l’Italia stava ormai inesorabilmente peggiorando la propria situazione, sia bellica che economica; perciò, i budget delle produzioni non potevano essere troppo elevati: sfruttando lo spazio aperto delle campagne laziali, si riduce nettamente la necessità di costruire scenografie, i personaggi coinvolti sono relativamente numerosi, interpretati da individui diventati attori per l’occasione, mentre l’intreccio narrativo è sviluppato entro una durata contenuta, quasi il minimo indispensabile.

 

 

Nonostante tutto, il lavoro di regia e di montaggio, con un grande contributo della colonna sonora, alza l’asticella della qualità, mettendo in scena la lunga sequenza di battaglia nel modo più spettacolarizzante possibile, cercando di trasmettere intensità senza nascondere troppo la difficoltà dell’operazione militare, difficoltà funzionali alla valorizzazione dell’eroismo dei soldati, poiché una vittoria ottenuta con complicazioni, aumenta di valore. Il protagonista della vicenda è ispirato ad una figura realmente esistita: si tratta di padre Reginaldo Giuliani, clericale e fervente fascista, cappellano delle Camice Nere, morto in Africa durante l’aggressione all’Etiopia. La propaganda politica si mischia con quella religiosa, la conquista territoriale va di pari passo con quella culturale, conclusa la sequenza d’azione, il terzo atto si concentra sulle attività di proselitismo nei confronti di cittadini sovietici perfettamente bilingue, anzi, più ferrati sull’italiano che sul russo, forzatura dovuta alla completa mancanza dell’utilizzo dei sottotitoli, perfettamente normale all’epoca. L’invasione è mascherata, tra le altre cose, come atto missionario, concluso con tanto di martirio. Il disclaimer finale è il pugno nell’occhio definitivo.

Voto:
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