Articolo pubblicato il 4 Settembre 2023 da Bruno Santini
Michel Gondry, do it yourself è un documentario di François Nemeta, che ha condensato in un unico prodotto ben 30 anni di amicizia e collaborazione con il visionario artista e cineasta francese. Fin dal primo incontro con il Gondry batterista di Oui Oui, il regista francese ha potuto scoprire molto dell’artista e della persona, in un processo innanzitutto creativo che ha permesso di creare il documentario presentato a Venezia80, nella sezione Classici. Di seguito, la trama e la recensione di Michel Gondry, do it yourself.
La trama di Michel Gondry, do it yourself di François Nemeta
Nel proseguire con la recensione di Michel Gondry, do it yourself, si indica innanzitutto la trama del documentario di François Nemeta: “Se Méliès avesse avuto un figlio, sarebbe stato Michel Gondry. Un geniale cineasta dalle mille abilità, il cui eccentrico talento ha convinto l’élite creativa della musica pop internazionale ad affidargli i suoi video musicali (Björk, Rolling Stones, Daft Punk, White Stripes, Beck ecc.) prima che trovasse la sua strada a Hollywood – senza mai rinunciare al suo stile piuttosto stravagante – e diventasse uno dei rari registi francesi a vincere l’Oscar, con Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello). Dalla mano all’occhio, Michel Gondry da trent’anni ci permette di cogliere ciò che ci circonda, creando e raccontando il mondo. Il suo lavoro rende costantemente lode alla meraviglia attraverso l’artigianato: che si tratti della sua relazione con la musica e dei suoi inizi come videomaker; della nozione di magia inerente alla sua concezione dell’immagine; delle sue radici nell’infanzia e nel mondo dei sogni; del paradosso della sua carriera hollywoodiana; dell’ambizione umanista del suo artigianato che è anche un atto politico. Fallo da solo.”
La recensione di Michel Gondry, do it yourself
Talento smisurato che ha saputo esprimere la sua arte in numerosi ambiti, Michel Gondry è sicuramente uno degli artisti più visionari del nostro tempo, nonché uno dei simboli di una generazione che ha risentito – artisticamente, e non solo – del passaggio dalla cultura punk della fine degli anni ’70 alla realtà contemporanea, determinata da una commistione di elementi cinematografici, artistici e musicali. Gondry è stato, come ben si mostra all’interno del documentario di François Nemeta, da sempre in grado di coniugare grande intelligenza e un carattere irriverente che, nonostante la presenza hollywoodiana, gli ha permesso di perseguire il suo scopo artistico, anche dopo il successo determinato dalla vittoria del Premio Oscar per la sceneggiatura del film The Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Fin da bambino, Michel Gondry ha espresso una grande passione per l’arte e per il disegno, due elementi che gli hanno permesso di formarsi nel campo musicale e dei videoclip; l’incontro con François Nemeta – che ha condensato nel documentario presentato In Concorso Classici, nella sezione documentari, a Venezia80, ben 30 anni di amicizia e collaborazione artistica – è avvenuto ai tempi della band Oui Oui, di cui Gondry era batterista, oltre che ideatore di videoclip, campagne e manifesti pubblicitari.
Il grande successo della sua arte ha permesso al regista, sceneggiatore e musicista di collaborare con alcuni degli artisti più importante della cultura musicale che si trova a cavallo tra due secoli: da Bjork ai Rolling Stones, passando per The White Stripes, Daft Punk e Jack Black. Il risultato è stato unico: da sempre Michel Gondry è in grado di esprimere se stesso attraverso tecniche puramente cinematografiche, che dimostrano quanto l’arte del videoclip (alla base del successo, tra gli altri, di Paul Thomas Anderson, David Fincher o Spike Jonze) non sia assolutamente secondaria nell’ambito del contesto creativo di un artista. Nemeta costruisce un documentario straordinario che sa mostrare tanto l’artista quanto l’uomo, colto nelle sue inquietudini e nella sua bontà, nell’ansia per una carriera che rischia di essere costantemente minata da un atteggiamento artistico irriverente ma, nonostante questo, fieramente convinto delle proprie qualità, espresse anche in ambito cinematografico. Certo è che il momento esemplare di Michel Gondry, do it yourself, è rappresentato dal connubio di due menti geniali – lo stesso Michel Gondry e Charlie Kaufman – che si trovano alla base della sceneggiatura di The Eternal Sunshine of the Spotless Mind, premiata con l’Oscar. Un risultato straordinario che permette a Gondry di diventare uno dei rari francesi a ottenere tale riconoscimento ma, allo stesso tempo, anche la massima espressione possibile di quel “pessimismo umoristico” che accompagna i due straordinari artisti, capaci di maturare e restituire costantemente, allo spettatore, quel caos visivo che rispecchia totalmente la propria mente. Del resto, quando Kaufman fu interrogato a proposito del processo creativo alla base di Synecdoche, New York, rispose che aveva cercato di rappresentare nient’altro che quella complessità a cui soltanto la mente umana perviene.
Grazie alla capacità, da parte di Nemeta, di non irrompere mai nella struttura del documentario e dimostrando di aver appreso gli insegnamenti del suo maestro, Michel Gondry è anche un trattato di complessità, che non può far altro che fidarsi ciecamente di quelle immagini che – prima di essere espresse su carta – vivono nella mente del suo artista. Un’opera che sa anche comunicare i suoi valori, anche grazie ad alcune figure come Costant Martin, il padre della musica elettronica (e non è un caso che la complessità visiva di Gondry abbia trovato terreno fertile proprio nella realtà sonora di band come The Chemical Brothers); un documentario che, grazie ad iWonder, troverà per fortuna la distribuzione in Italia e che merita assolutamente di essere scoperto.