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Happy Hour: la recensione del film di Ryūsuke Hamaguchi

La recensione di Happy Hour, film di Ryusuke Hamaguchi

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Happy Hour
Genere: Drammatico
Anno: 2015
Durata: 317 minuti
Regia: Ryūsuke Hamaguchi
Sceneggiatura: Ryūsuke Hamaguchi, Tadashi Nohara, Tomoyuki Takahashi
Cast: Ayaka Shibutani, Ayumu Tonoi, Hajime Sakasho, Hazuki Kikuchi, Hiromi Demura, Hiroyuki Miura, Maiko Mihara, Reina Shiihashi, Rira Kawamura, Sachie Tanaka, Shōko Fukunaga, Shūhei Shibata, Tsugumi Kugai, Yasunobu Tanabe, Yūichirō Itō, Yoshio Shin, Yoshitaka Zahana
Fotografia: Yoshio Kitagawa
Colonna Sonora: Umitarō Abe
Paese di produzione: Giappone

Happy Hour, il cui titolo originale è Happī awā, è un film del 2015 diretto da Ryūsuke Hamaguchi, e presentato alla 68esima edizione del Festival di Locarno. Qui il film giapponese ha ricevuto un prestigioso riconoscimento, ovvero il Pardo per la miglior interpretazione femminile a tutte e quattro le protagoniste. Di seguito la trama e la recensione di Happy Hour, lungometraggio di Ryūsuke Hamaguchi. 

La trama di Happy Hour, diretto da Ryūsuke Hamaguchi

Ecco la trama di Happy Hour, diretto da Ryūsuke Hamaguchi: 

 

Jun, Akari, Sakurako e Fumi sono quattro amiche che si conoscono da tanto tempo. In un giorno qualunque, durante una cena Jun confessa alle amiche di aver chiesto il divorzio, creando sconcerto tra di loro. Dopo aver assistito all’udienza in tribunale, decidono di concedersi una gita alle terme di Arima. Jun sparisce dopo aver salutato le amiche e questo provoca una catena di eventi inaspettati nella vita delle tre donne.”

La recensione di Happy Hour, film di Ryusuke Hamaguchi

La recensione di Happy Hour: il film di Ryūsuke Hamaguchi è anti convenzionale, ritmato e meravigliosamente esistenzialista 

Happy Hour è un film anti convenzionale sin dalla sua durata: 5 ore e 17 in cui i tempi sono dilatati e il racconto confina con la letteratura per l’impostazione dei dialoghi. Tuttavia, sarebbe erroneo ridurre il lungometraggio di Hamaguchi a una semplice trasposizione letteraria di un’idea, quella del ruolo della donna nella società nipponica contemporanea. Il regista si rifà allo sguardo del Maestro Yasujirō Ozu, e lo si può intuire dal marcato utilizzo del campo-controcampo, specie quando le protagoniste sbirciano rivolgendosi alla macchina da presa, ma anche dall’alternanza tra inquadrature oggettive e soggettive, primi piani e spostamenti laterali. Da questo punto di vista, è bene sottolineare come Hamaguchi si soffermi sul cambiamento della figura femminile in Giappone, a seguito di un’epoca storica non proprio rosea per le donne (vedasi Tardo Autunno di Ozu, 1960). Nel prologo vi è un temporale metaforico, come ammesso dalle quattro amiche in persona, e non a caso le condizioni climatiche risulteranno un elemento premonitore per i circa 300 minuti di Happy Hour; il temporale sciacqua ciò che è passato, scatena una nuova condizione e dà vita a dei fattori inattesi. 

 

Ma come e chi accende la miccia per ciò che concerne i cambiamenti emotivi delle quattro protagoniste? Ebbene, la donna consapevole e autocosciente è Jun, colei che è in causa per divorziare con suo marito, il quale però non è intenzionato ad accettare legalmente la separazione. D’altronde, la lunga e chiacchierata sequenza del tribunale è emblematica: Jun viene inquadrata in primo piano, e le amiche alle sue spalle non vengono messe a fuoco. Hamaguchi si serve della profondità di campo per far dialogare tra loro le immagini presenti in un unico spazio, che per lo più, come si può notare, sarà freddo per i colori, spoglio per la mancanza di arredi, rumoroso quando si tratta di aspetti naturali come le cascate. Ma nella stessa sequenza, il regista sposta la macchina da presa per inquadrare lateralmente Jun, contrapponendo la donna alla silenziosa presenza del marito in aula (la donna ha la parola, come si approfondirà più avanti nel paragrafo). Come verrà ripetuto dai personaggi, si tratta di un momento unico tra i due in quanto autentico, un reale spogliarsi di ogni inibizione per parlarsi e ascoltarsi. Le quattro protagoniste sono insoddisfatte e malinconiche, vorrebbero ottenere altro dalla loro vita, ma al momento si sentono inglobate in qualcosa che in parte tende a mostrarsi come respingente. Sempre nell’incipit, si avverte un’atmosfera funesta perché le amiche soltanto allontanandosi dalla realtà urbana possono raccontarsi ciò che provano, e la natura dove si immergono per un picnic tranquillo sembra assumere il ruolo di non-luogo, come bloccato in un tempo indefinito e parallelo. 

 

Happy Hour, come il futuro Drive My Car, richiama senz’altro all’approccio autoriale di Michelangelo Antonioni. Infatti, nel film di Hamaguchi è possibile trovare riscontro sia per Le amiche (1955), che per Identificazione di una donna (1982) – data la confessione personalissima del marito di Jun – ma non manca di certo la pragmatica argomentazione circa l’inafferrabilità femminile. Per ciò che concerne quest’ultima, basti pensare a L’avventura (1960) e alla sparizione improvvisa di Claudia, e al conseguente utilizzo della falsa soggettiva. L’emotività dei personaggi viene scossa proprio nel momento in cui Jun sparisce alle terme, per poi prendere la nave e approdare in una località distante, probabilmente. Tuttavia, tale gesto è imprescindibile perché dà adito alle altre tre amiche di come reagire al rispettivo malessere, mostrando l’incomunicabilità tra mariti poco presenti, figli irrequieti, incomprensioni reciproche – il non detto di Jun irrita Akari, la quale è gelosa di Sakurako – e voglia di evadere. Il racconto in Happy Hour comincia in un modo pressoché lineare, abituale, e si tramuta gradualmente in trasformazione definita della condizione delle quattro donne e amiche. Ognuna, grazie al moto liberatorio e maturo di Jun, riuscirà ad abbracciare la propria dimensione alla fine del film. Il ritmo è dettato dalle parole, costantemente suggestive e ammiccanti, pregne di significato pur essendo la donna stessa non allacciabile a una precisa significazione. Il concetto esistenzialista-umanista si palesa, per l’appunto, con la parola: la donna ora, e finalmente, può farsi forza in autonomia e sprigionare vitalità esplicitando la sua profonda interiorità. La lunga sequenza del reading letterario si lega a ciò concettualmente, tanto che uomini e donne vengono messi alla pari grazie alla parola, perché hanno uno scambio sulla loro differente percezione; e qui Hamaguchi sembra mostrare il trucco meta artistico, il quale consiste nella descrizione reale dei personaggi pur non essendo loro rappresentazione fedele dell’autore-scrittore. 

La recensione di Happy Hour: il film di Ryūsuke Hamaguchi è anti convenzionale, ritmato e meravigliosamente esistenzialista 

In Happy Hour c’è una grande intensità nella messa in scena, grazie alla quale il racconto prende una piega percettiva e simmetrica. Basti osservare quanti raccordi ci sono al montaggio per sfumare o ancorare un suono metaforico tra una scena e l’altra, o il movimento di un soggetto, elevando così gli elementi diegetici a significazioni in continuità o in contrasto. Ad esempio, appare netta la divergenza tra Jun che è incinta e il figlio di Sakurako, un giovane ragazzino che ingenuamente mette incinta una sua compagna di scuola, ragion per cui la madre e la nonna si scusano in prima persona con la famiglia di lei, e non il contrario. La differenza di percezione è evidente, ma proprio perché Hamaguchi, divertendosi più volte a mostrare le silhouette in penombra su di uno sfondo luminoso, cerca di trasmettere allo spettatore i contrasti, le zone più scure dell’intimità individuale e il rapporto che si instaura con l’altro attraverso un dialogo o tramite il contatto fisico.

 

Una delle sequenze più riuscite e memorabili del film risiede nella prima parte, quando per 45 minuti viene mostrato tutto il workshop di un artista emergente, il quale perderà poi credibilità man mano. La potenza delle immagini e della recitazione, per coloro che tra l’altro non sono attori e attrici di professione (e perciò un plauso particolare), immergono chi guarda nelle lunghe scene dove sono inquadrati i diversi esercizi. Il senso ultimo è quello di trovare un equilibrio con sé stessi e con gli altri, e anche se lo si perderà, bisognerà avere la determinazione e la saggezza per ritrovarlo. Parlando di gravidanze e di corpi femminili generatori di vita, il ventre diventa lo snodo centrale per riuscire ad ascoltare realmente l’altro da sé, entrando in un sublime stato di connessione. Happy Hour, in ultima analisi, è un film programmatico, sensibile, (auto)riflessivo e poetico nell’approccio alla materia. Hamaguchi si pone come un cineasta curioso, anche lui come Jun è consapevole della sua condizione e di ciò che può esprimere attraverso la sua arte. 

Voto:
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