Cerca
Close this search box.

La recensione di The Game: film diretto da David Fincher

Ecco la recensione di The Game, di David Fincher

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: The Game – Nessuna regola
Genere: Thriller
Anno: 1997
Durata: 128 minuti
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: John Brancato, Michael Ferris
Cast: Michael Douglas, Sean Penn, Deborah Kara Unger, Armin Mueller-Stahl, James Rebhorn, Peter Donat, Anna Katarina, Charles A. Martinet, Scott Hunter McGuire, Carroll Baker, Florentine Mocanu, Elizabeth Dennehy, Caroline Barclay
Fotografia:
Harris Savides
Montaggio: James Haygood
Colonna Sonora: Howard Shore
Paese di produzione: USA

The Game è un film thriller diretto da David Fincher, distribuito al cinema nel 1997. Tra i meno chiacchierati del regista, questo lungometraggio con Michael Douglas come protagonista gioca continuamente con lo spettatore, mescolando realtà e finzione, verità e gioco. Inizialmente, doveva essere girato prima di Seven (1995), ma la ritrovata disponibilità di Brad Pitt fece cambiare piani a Fincher. Di seguito la trama e la recensione di The Game, film di David Fincher. 

La trama di The Game, diretto da David Fincher

Ecco la trama di The Game, film del 1997 diretto da David Fincher:

 

“Il protagonista della vicenda è Nicholas Van Orton (Michael Douglas), un ricco uomo d’affari di San Francisco che sembra aver rinunciato a migliorare la sua vita. Nicholas, infatti, è ossessionato dal suicidio del padre e segretamente depresso per la fine del suo matrimonio. Per festeggiare in modo originale il suo compleanno, il fratello Conrad (Sean Penn) gli regala l’iscrizione ad un esclusivo club di gioco di ruoli, chiamato CRS. Sebbene riluttante nell’accettare la proposta di Conrad, Nicholas si lascia persuadere dalla prospettiva di spezzare la monotona routine della sua vita e si sottopone ad una serie di test, condotti dal club.

 

Qualche tempo dopo, Nicholas inizia a notare improvvisi e sospetti cambiamenti e ipotizza che la CRS abbia iniziato il suo gioco. Un gioco che si rivela essere molto pericoloso, dal momento che mette a rischio la sua reputazione, il suo lavoro e tutti i suoi beni. Interrogando Conrad, Nicholas scopre che il club non è altro che un pretesto per ricattare ricchi uomini e facoltose donne, costringendoli a compiere scelte estreme. L’uomo trova l’appoggio di Christine (Deborah Kara Unger), cameriera di un locale alla moda che è solito frequentare. La donna, tuttavia, si rivela essere invischiata nel terribile gioco che potrebbe costargli la vita. Dopo essersi rivolto alla polizia, ottenendo scarsi risolutati, Nicholas è costretto ad affrontare imprevisti scioccanti che potrebbero addirittura portarlo alla morte. Mentre indaga sulla CRS e cerca un modo per riprendersi la sua vita, Nicholas arriverà a dubitare anche di Conrad che sembra voler trarre profitto dalla pericolosa situazione”. 

Ecco la recensione di The Game, di David Fincher

La recensione di The Game: un thriller contraddistinto dalla mise en abyme

The Game fu etichettato in prima battuta come uno dei minori film di Fincher e come un mero giochino che il regista ha messo in atto con lo spettatore. A rivederlo oggi – e potrebbe acquisire più valore ancora con il passare del tempo – appare come un’opera quasi saggistica per come si pone nei confronti dello spettatore. Come da titolo, The Game è sì un gioco, ma non un semplice Luna Park, bensì un’attenta riflessione sui simulacri, sulla possibilità del cinema di realizzare infinite realtà digitale in cui ingabbiare uno o più individui, rendendoli schiavi, assuefatti. E non è un caso che sul finale del film, la soggettiva di Nicholas è un modo per uno dei personaggi artefici di quanto accaduto per affermare: “Grazie a entrambi!”. Con entrambi si fa riferimento al fratello del protagonista, organizzatore del sadico gioco in cui si è anche prestato come attore, ma in primo luogo a Nicholas stesso, il quale è vittima di una mise en abyme costante. Dunque, Conrad funge da imbonitore per lo spettatore-Nicholas, che avrà l’occasione tramite i vari artifizi legati a generi e sottogeneri cinematografici come il noir, il sentimentale, l’action e così via, di trovare la sua redenzione definitiva, con uno sguardo finale morale e allo stesso tempo pessimista. E sì, perché Nicholas è un ricco che ha perso sé stesso dopo il divorzio con la moglie, ma autoavvolgendosi nel suo cinismo perde i contatti con le relazioni sociali, sia personali che a lavoro (come la nuova generazione nata con la digitalizzazione?). Nicholas è infatti un consulente finanziario, si interessa delle quotazioni in borsa e specula sui clienti in base al sali-scendi del “denaro virtuale”, in perenne movimento nella sua (non)forma liquida.

 

Partendo da ciò, il sipario si alza e Fincher comincia a muovere le sue marionette per dimostrare, con sguardo completamente postmoderno, come l’epoca contemporanea rappresenti perfettamente la riflessione tra la realtà e la finzione, l’analogico e il digitale. Si diceva di un finale che è un happy end sulla carta, tuttavia la malinconia consiste nella questione legata al cospicuo pagamento diviso a metà tra l’imbonitore e il protagonista, una coppia di fratelli che in fin dei conti si nutrono l’uno dell’altro per farsi del bene. Il gioco-cinema ha di fatto dei costi enormi da sostenere, al contrario magari di un “passato artigianale”, e tale messaggio risuona proprio con gli scroscianti applausi a seguito dei molteplici finali cinematografici, quando la verità viene finalmente a galla e il sipario si abbassa. La forza di The Game sta proprio nel suo meccanismo di ricerca ontologica e poi sociologica, ma va specificata anche la sua inestimabile qualità, con una combinazione di livello tra i reparti. Basti pensare al come viene allucinata l’atmosfera, a come la fotografia restituisce un’immagine funerea, cupa, ma allo stesso tempo limpida nel mostrare l’azione e i suoi intenti videoludici. D’altronde il direttore della fotografia è lo stesso che ha lavorato a qualche film di Gus Van Sant, e quindi si può dire che le allucinazioni e le rarefazione sono come il pane quotidiano per lui; la colonna sonora è curata dallo stesso compositore di vari titoli di David Cronenberg.

 

Insomma, la somma tra quanto descritto restituisce perfettamente l’obiettivo prefissato da Fincher, il quale con passione richiama al Fuori orario (1985) di Martin Scorsese. Infatti, l’esasperazione del meccanismo è funzionale al generarsi dell’ossessione del protagonista, nonché dello spettatore, ed entrambi si sentono perseguitati da qualcuno o qualcosa di indefinito. Le emozioni vengono indotte dalla potenza del mezzo cinematografico, come un profetico Lynch farà comprendere ancor meglio nel suo capolavoro Mulholland Drive (2001); l’angoscia, la tensione, la tristezza, la speranza, vengono imposte come sensazioni per volontà del regista, da vedere qui come l’agenzia CRS. Purtroppo ad un film così postmoderno, in anticipo nei tempi, manca quel leggero tocco di coraggio nel non riproporre certe dinamiche più volte, creando al contrario delle scene di maggior impatto per dimostrare come la “nuova immagine” può modellare la realtà a suo piacimento. Ma come anticipato, un passaggio più netto e teorico verrà realizzato da David Lynch. The Game è comunque da considerarsi un film importante, riflessivo e divertente nel suo approccio alla materia, senza strafare: la struttura è coesa nel suo raggiro, e il cast dell’agenzia assume così una duplice valenza agli occhi dello spettatore. 

"Quando pensi che sia tutto finito, inizia la fregatura!"

Voto:
3.5/5
Andrea Boggione
3.5/5
Gabriele Maccauro
3/5
Matteo Pelli
3.5/5
Bruno Santini
4/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

PRO