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Recensione – Baby Driver: l’azione a ritmo di musica

Dopo l’abbandono della regia del cinecomic “Ant-Man” (2015) del Marvel Cinematic Universe, più precisamente nel 2017, Edgar Wright torna dietro la macchina da presa con “Baby Driver – Il Genio della Fuga”. Il sesto titolo della filmografia dell’autore britannico è un action esplosivo a ritmo di musica, un film che il cineasta ha sviluppato per oltre due decenni partendo da un’idea avuta da ragazzo. Di seguito la trama e l’analisi di questo action-movie in salsa musical. 

 

La trama del sesto film di Edgar Wright 

Baby, interpretato da Ansel Elgort, è un ragazzo che da piccolo è sopravvissuto a un incidente d’auto che gli ha provocato l’acufene (un disturbo dell’orecchio che si manifesta attraverso un’acuta percezione sonora) e dove ha perso entrambi i genitori. Per sopperire a questo grande dolore fisico e mentale, il ragazzo trova una sua dimensione nella musica nel tentativo di lenire il suo problema uditivo mediante l’utilizzo persistente delle cuffiette e del suo iPod. Baby, dopo aver rubato un auto contenente della merce appartenente a Doc (Kevin Spacey), un boss criminale di Atlanta, si ritrova costretto a lavorare per lui finché non riuscirà a ripagare il suo debito. Un giorno, però, conosce una cameriera di nome Debora (Lily James), un incontro che finisce per cambiargli la vita e che costringe la coppia a tentare una spericolata fuga dalla città, ma soprattuto con l’obiettivo di lasciarsi una volta per tutte alle spalle il mondo della criminalità. 

La recensione di “Baby Driver – Il Genio della Fuga” (2017)

Come sottolineato in precedenza, “Baby Driver” è un’opera a cui Wright è legato da tempo: un progetto nato nel lontano 1995 quando all’epoca il regista era ancora un ventunenne che viveva nella periferia di Londra e si trovava in estrema difficoltà. Un film nato da una serie di esperienze di vita personali e che ha ricevuto un determinato impulso proprio dalla musica, un elemento che è finito per diventare parte integrante dell’opera. Magistrale è la scena iniziale e d’apertura del film: la fuga dalla prima rapina che viene mostrata, realizzata sulle note di “Bellbottoms” dei The Jon Spencer Blues Explosion, è una vera e propria sequenza musicale dall’alto tasso di adrenalina ed esplosività. Un inizio perfetto che finisce per catapultare il pubblico all’interno della storia fin da subito. Grazie ad un montaggio dai ritmi serrati pare che la narrazione non si fermi mai, chi osserva si ritrova improvvisamente all’interno dell’abitacolo al fianco del protagonista pronto ad affrontare ogni avversità tra una sterzata e la successiva. 

 

Lasciare la direzione di un grande blockbuster americano al giorno d’oggi non è una scelta così automatica, ma Wright per via delle classiche “divergenze creative” si è ritrovato ad abbandonare il progetto Marvel. Una scelta che, però, ha riportato l’autore ad occuparsi di un film a cui lavorava da troppo tempo ed il risultato è l’ennesima piccola perla della sua filmografia. Tanti, anche questa volta, sono i riferimenti e le citazioni: da “The Driver” (1978) a “Le Iene” (1992) passando per “Heat – La Sfida” (1995), inoltre l’avvento negli anni di sviluppo del film dell’iPod, il percorso affrontato dal regista ed il suo grande amore per il cinema l’hanno portato a realizzare un nuovo titolo che mostra tutte le potenzialità del suo unico ed inimitabile stile. La scelta di girare l’intera pellicola ad Atlanta e poi scegliere di ambientarla proprio nella capitale dello Stato della Georgia si è rivelata un’ottima decisione. Il racconto, infatti, si amalgama alla perfezione con lo scenario locale, nonostante la città statunitense resta ancora oggi rinomata per fungere spesso da “doppione” per molte altre metropoli in cui risulta più cool ambientare grandi produzioni. 

 

Dal punto di vista tecnico Edgar Wright fin dal suo esordio ha sempre mostrato una discreta manualità, preferendo spesso degli effetti pratici all’uso estremo di computer grafica. “Baby Driver” è sicuramente un film che fa del lato tecnico uno dei suoi punti forza: incredibili e complesse sono alcune delle più straordinarie acrobazie e coreografie realizzate con le automobili. Si nota, ma soprattuto si percepisce, l’estrema cura di ogni singolo dettaglio e la meticolosità nella creazione di movimenti negli spazi più angusti. Senza dimenticare l’aspetto più importante: la musica, l’elemento attorno al quale ruota la vita di Baby fino a quando non incontra Debora. La componente musicale assume in questo film una connotazione decisamente narrativa, basti pensare a scene come il piano sequenza iniziale con “Harlem Shuffle” del duo Bob & Earl o la straordinaria sparatoria con annessa fuga sulle note di “Tequila” dei Button Down Brass oppure anche la stessa culminante sequenza di “Brighton Rock” dei Queen, forse, la più “artificiosa” a livello di CGI, ma che mantiene comunque una componente di realismo non indifferente. 

 

L’aspetto, invece, che presenta qualche lacuna è quello della sceneggiatura: la storia attinge e prende spunto da materiale sicuramente meno originale dei precedenti film del regista britannico, ma nel complesso resta un racconto godibile su più fronti. La caratterizzazione dei vari personaggi è a volte più approfondita a volte meno, ma Wright dirige alla grande un cast ricco di grandi nomi: a partire dall’allora emergente Ansel Elgort nei panni di Baby, senza dimenticare la splendida Lily James ed una delle ultime apparizioni sul grande schermo di Kevin Spacey. Il resto della banda è composto da Buddy interpretato da Jon Hamm e la sua compagna Darling ovvero Eiza González, ma anche prima da Griff e poi da Pazzo, interpretati rispettivamente da Jon Bernthal e Jamie Foxx. Inoltre, i vari personaggi sono stati caratterizzati anche attraverso delle particolarità cromatiche: se inizialmente Baby è vestito con abiti dai colori più spenti, mentre chi lo circonda da colori molto più accesi, più prosegue e va avanti la narrazione più questo aspetto cromatico si evolve passando a diverse tonalità di grigi con annesse macchie di sangue ottenendo una connotazione ancor più descrittiva dello stato d’animo del protagonista. 

Quando l’azione va a ritmo di musica 

Baby Driver” resta senza ombra di dubbio uno dei titoli migliori della carriera di Edgar Wright ed uno dei titoli di maggior successo a livello di incassi, ma anche rispetto ai riconoscimenti ottenuti in tutto il mondo. Un prodotto cinematografico che ha stupito critica e pubblico per la sua dinamicità e ritmo incredibile. Un film che racconta la crescita di un ragazzo, memore di un forte trauma che l’ha segnato nel profondo, ma che non gli impedisce di poter andare avanti. Baby è in continua lotta con il caos che lo circonda e trova nella musica una sorta di dipendenza che lo estrapola da tutti i problemi. Debora, invece, è quella persona che in qualche modo lo costringe a confrontarsi con se stesso e la realtà che lo circonda, tanto da segnare un punto di svolta nella sua vita. Il finale dalle parvenze oniriche non fa altro che mostrare proprio questo: un’apertura al classico vissero felici e contenti che sembra spesso relegato solo al mondo della favole. 


Voto:
4/5
Andrea Barone
4/5
Christian D'Avanzo
4/5
Gabriele Maccauro
3/5
Riccardo Marchese
3/5
Alessio Minorenti
3.5/5
Paola Perri
4/5
Vittorio Pigini
4/5
Giovanni Urgnani
4/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
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Genere:

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