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Recensione – Django Unchained: il primo western scritto e diretto da Quentin Tarantino

Ecco la trama e la recensione di Django Unchained, film scritto e diretto da Quentin Tarantino

Django Unchained è un film del 2012 scritto e diretto da Quentin Tarantino, il quale si prodiga nella rielaborazione di un western: Django (1966) di Sergio Corbucci e con Franco Nero protagonista. La durata di questo remake è pari a 166 minuti, mentre il cast è formato da Jamie Foxx, Leonardo DiCaprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jonah Hill, Kerry Washington, Tom Savini, Gerald McRaney, Misty Upham, James Remar, Don Johnson, Todd Allen, Tom Wopat, James Russo. Il film si è aggiudicato due premi Oscar, di cui uno per Waltz come attore non protagonista e uno a Tarantino per la miglior sceneggiatura originale. Di seguito la trama e la recensione di Django Unchained, western scritto e diretto da Quentin Tarantino.

La trama di Django Unchained, scritto e diretto da Quentin Tarantino

Ecco la trama di Django Unchained, film del 2012 scritto e diretto da Quentin Tarantino:

 

“Il protagonista di questo western è lo schiavo Django (Jamie Foxx), la cui vita cambia improvvisamente grazie all’incontro con il dottor King Schultz (Christoph Waltz), ex dentista e cacciatore di taglie originario della Germania. Nello corso dello scontro a fuoco contro i mercanti di schiavi che si rifiutano di vendere Django, quest’ultimo dimostra un’innata abilità con le armi e Schultz gli propone di collaborare nella ricerca dei fuorilegge fratelli Brittle. In cambio, King si offre di aiutare Django a ritrovare sua moglie Broomhilda (Kerry Washington). Passati alcuni mesi, il dottore scopre che la donna è schiava dello spregevole Calvin J. Candie (Leonardo DiCaprio). Per poter salvare Broomhilda, Django e Schultz si fingono interessati ad acquistare dallo schiavista un lottatore mandingo.

 

Dopo aver assistito ad un incontro violentissimo, i due mettono in atto il loro piano e dichiarano di voler comprare uno dei lottatori per un’ingente somma di denaro. Dissimulando interesse, inoltre, cercano di far ricadere anche la cessione della donna nell’accordo. Ma il fedele capo della servitù di Candie, Stephen (Samuel L. Jackson), capisce che Django e Broomhilda si conoscono e informa il suo padrone dell’astuto inganno dei due forestieri. Profondamente adirato, il crudele Candie spinge il dottor Schultz al limite, mentre si scatena un brutale scontro a fuoco tra gli accoliti dello schiavista e i due impostori. Così Django, ad un passo dal liberare sua moglie, si troverà a dover lottare nuovamente contro più spietati aguzzini. Tuttavia, il tempo trascorso con il dottor Schultz ha lasciato un prezioso insegnamento all’uomo: Django non è più uno schiavo e la sua libertà merita di essere difesa fino alla fine.”

Ecco la trama e la recensione di Django Unchained, film scritto e diretto da Quentin Tarantino

La recensione di Django Unchained: Tarantino firma il suo primo western ribaltando la sua fonte

Tarantino attinge dal western nella maggior parte delle sue declinazioni, citando il sottogenere dello spaghetti-western, passando per un’accezione propriamente classica, e infine mostra le derive metropolitane appartenenti storicamente a questo genere cinematograficamente. Si presenta come uno pseudo remake del Django di Corbucci risalente al 1966, ma di quel film italiano Tarantino preserva la canzone introduttiva eseguita a suo tempo da Rocky Robert, e riadatta per la trasposizione del 2012 da Luis Bacalov. In tal caso, il regista sfrutta il western per veicolare un contenuto socio-politico dal forte impatto e dall’alto valore analitico per ciò che concerne la storia e il periodo contemporaneo negli Stati Uniti. Parlare di una parantesi propriamente americana quale quella della schiavitù e del razzismo è un compito delicato, ma Tarantino si impegna e rende il protagonista di questa storia un eroe; letteralmente, viene associato ad una figura leggendaria presente negli antichi racconti tedeschi.

 

Salvare la sua amata è il focus principale, ma il tema tanto caro al regista, ovvero la vendetta, è presente anche qui: Django ha ottenuto la libertà e non riesce a distaccarsi dalla rabbia alimentata per anni verso chi ha massacrato la sua carne e quella di coloro che ama. La prima parte di Django Unchained è un grandissimo sfoggio di consapevolezza che il regista ha verso i western, anche come connotazione propriamente sociologica, in quanto si tratta di un genere entro il quale si può descrivere il bene e il male insiti nell’umanità, arricchendo i discorsi con dei tratti ancora vivi nel presente. A tal proposito, basti pensare al ruolo degli indiani, a come sia anche cambiato nel corso del tempo, nonché all’avvento della tecnologia (ferrovia, realtà urbana). Le molteplici sfaccettature umane vengono trasposte con sincerità e spirito pressoché romanzesco, e in Django Unchained questo tratto non manca, specie nella prima parte.

 

Infatti, se per circa un’ora e mezza le atmosfere e le ambientazioni trasudano l’energia e le emozioni razionali e irrazionali dei personaggi, anche grazie ad un uso dei dialoghi capace di lasciar duellare con la parola i vari Django, Schultz, autorità e criminali di turno, è la seconda parte a risultare persino troppo colorita. I dettagli ispirati del primo blocco di film, tra cui spruzzi di sangue che macchiano i fiori bianchi delle ampie distese verdi, oppure la cura nel versare una birra mentre fuori si sparge il nervosismo tra la popolazione, alzano non di poco la qualità presente. Ciò avviene perché ci si appella al caos come elemento grazie a cui si può sopravvivere in un mondo ostile e senza stimoli. Al contrario, il secondo blocco è fin troppo volto all’eccesso gratuito, con una spettacolarizzazione artificiosamente teatralizzata. 

Ecco la trama e la recensione di Django Unchained, film scritto e diretto da Quentin Tarantino

Django Unchained: nel film di Tarantino c’è troppa disparità tra la prima e la seconda parte

La prima parte di Django Unchained è decisamente quella maggiormente ricca, sia in termini estetici che per ciò che concerne la sceneggiatura. I dialoghi gradualmente delineano i confini tra buoni e cattivi, esaltando le gesta dei protagonisti mentre cercano di raggiungere il loro nobile obiettivo, enfatizzato da questa storia d’amore tra Django e sua moglie. Da un lato si mostra la faccia di un’America sporca, smascherata dal kitsch degli abiti, dal fango nel quale vengono gettati gli schiavi e dal sangue provocato dalle varie armi presenti. I personaggi battibeccano più o meno costantemente, e i dialoghi riescono ad essere costanti nel generare tensione, nonché nel sottolineare in maniera naturale la differenza tra bianchi e neri. D’altronde, un tedesco che 80 anni prima del nazismo è contro la schiavitù e si esprime con una marcata eleganza, è come inserire una critica sfacciata alla storia americana, la quale ha ancora sfumature attuali nella società. Di clamorosa intelligenza la sequenza caricaturale dove il Ku Klux Klan è acciecato dai cappucci cuciti male, finendo in un’imboscata.

 

Il gioco delle apparenze e del linguaggio verbale assume una verve particolarmente intensa per tutto il primo blocco del film, fino al tanto atteso arrivo a Candyland. Da quel momento in poi, le citazioni musicali e visive al western (zoomata improvvisa; montaggio nervoso; rumori enfatici), lasciano spazio all’esagerazione insista in Stephen, il temibile capo della servitù nella dimora di Monsieur Candy. A tal proposito, è una chicca ascoltare Schultz chiamarlo Mister Candy, per infastidirlo prima di sparare a sangue freddo. Le interazioni, seppur bene eseguite dalle splendide performance attoriali (dove Waltz primeggia per distacco), diventano più nervose fino allo svelamento del vero obiettivo per cui si sono mossi Django e l’ex dentista; ma il ritmo viene rallentato, e quel senso parodico e demenziale viene meno per favorire una serietà sovrabbondante. Dopo la morte di Schultz, il film prende una piega piuttosto esuberante e ripetitiva, con la cattura di Django i dialoghi si appiattiscono e diventano macchiettistici, mentre la sua vendetta è più paragonabile al cinema d’azione di Hong Kong invece che al western.

 

Infatti, il finale risulta poco funzionale e meramente teatrale, con sparatorie continue − la sorella di Candy viene sparata via in modo poco credibile, come colpita da un fucile a pompa ravvicinato − e con una conclusione vendicativa esasperante. La dimora esplode, Django esce dalle fiamme e dal relativo fumo, esaltandone la compiutezza dell’impresa a spese dei bianchi razzisti (o dal nero razzista, nel caso di Stephen). In ultima analisi, Django Unchained è sicuramente un western interessante per le sue declinazioni formali e contenutistiche, ma il contrasto tra un primo blocco citazionista, caricaturali e sfumato nei connotati, si perde pian piano in virtù di un’eccessività che non giova a nessuno (parente a Kill Bill), lasciando interdetto lo spettatore finora ammaliato.

Voto:
4/5
Andrea Barone
5/5
Andrea Boggione
4/5
Gabriele Maccauro
4/5
Alessio Minorenti
4/5
Matteo Pelli
4.5/5
Paola Perri
5/5
Vittorio Pigini
4.5/5
Bruno Santini
4/5
Giovanni Urgnani
4/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

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