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Recensione – Shaun of the Dead: Edgar Wright e la nascita del suo stile

Dopo un convincente, seppur semi-sconosciuto, esordio sul grande schermo, Edgar Wright dirige qualche commedia televisiva per la Paramount Pictures. Durante la realizzazione di uno di questi prodotti conosce l’attore Simon Pegg ed, assieme a Jessica Hynes, danno vita ad una serie tv “Spaced” (1999). Una collaborazione che rappresenta nella carriera di Wright un punto di svolta. Infatti, solamente qualche anno dopo, nel 2004, la coppia collabora per la realizzazione di un film da portare sul grande schermo: “Shaun of the Dead”, tradotto per il mercato italiano in “L’Alba dei Morti Dementi”. Il secondo film in veste da regista per Edgar Wright, il primo di una trilogia che col tempo ha assunto la nomea di vero e proprio cult ovvero “La Trilogia del Cornetto” o “The Three Flavours Cornetto Trilogy”. Di seguito la trama e l’analisi del film dell’autore inglese. 

La trama del secondo film di Edgar Wright 

Londra, più precisamente nel quartiere Crouch End, un ragazzo di nome Shaun (Simon Pegg) lavora in un negozio di elettrodomestici e pare non avere nessuno scopo nella vita: viene trattato male dai suoi colleghi più giovani, non va d’accordo con il suo patrigno (Bill Nighy), la sua ragazza (Kate Ashfield) l’ha lasciato e viene tormentato dal suo coinquilino (Peter Serafinowicz) che non sopporta la costante presenza di Ed (Nick Frost), il migliore amico di Shaun. La sua vita subisce una svolta quando una mattina l’intera città viene inaspettatamente travolta da un’apocalisse zombi. Una notizia che stravolge la quotidianità dei due amici che, loro malgrado, si ritrovano a dover affrontare orde di infetti tra le strade londinesi. 

La recensione di “Shaun of the Dead” (2004) 

Questo primo capitolo rappresenta una vera e propria parodia dei grandi film sugli zombi, non mancano i riferimenti ai capolavori di George A. Romero, e l’idea nasce direttamente da un’episodio di “Spaced”, dove il personaggio interpretato da Simon Pegg è un fannullone che durante un’allucinazione si ritrova ad affrontare una grande apocalisse zombi. Una serie di elementi che confluiscono in un film folle e fuori di testa che mescola, come spesso accade all’interno della filmografia di Wright, diversi generi cinematografici: dalla commedia all’azione, passando per quell’atmosfera da thriller con un pizzico di splatter. Un mix funzionale che, d’ora in avanti, risulta un marchio di fabbrica del suo cinema, una delle caratteristiche di un autore capace di dar vita ad un suo stile unico e personale. Da ogni suo film si percepisce un grande amore per la settima arte, in questo caso anche un reciproco apprezzamento da parte del regista e del co-autore del film verso lo zombi-movie. 

 

Shaun of the Dead” è una parodia non solo dei film con gli infetti, ma ironizza su molti altri elementi considerabili più che attuali: è ovviamente un discorso politico, basti pensare al finale ed al successivo utilizzo degli zombi rimasti sul territorio inglese, ma anche una presa in giro alle classe commedie romantiche prodotte dalla Working Title Films che, guarda caso, è la stessa casa di produzione che ha finanziato il film. La sua grande forza si cela, però, nelle grandi capacità dell’autore britannico dietro la macchina da presa: Edgar Wright realizza un film ricco di trovate, grazie ad una messa in scena unica ricca di movimenti di macchina particolari, senza tralasciare quei dettagli fondamentali per lo sviluppo della trama e dei suoi personaggi, a tratti folli come il resto della storia. Il materiale di partenza è ancora molto grezzo, già dal film successivo si può notare l’aumento considerevole del budget, ma questo non rappresenta un limite per un cineasta che ha sempre dato il massimo, anzi ha elevato tutto ciò che si è trovato a disposizione. 

 

Tra le tante qualità di Wright c’è anche l’incredibile capacità di dirigere molto bene i suoi attori: il protagonista Shaun rappresenta lo stereotipo dell’uomo medio moderno e l’attore incarna alla perfezione un personaggio in cui è facile anche immedesimarsi, ma se la coppia Simon PeggNick Frost funziona fin da subito, complice una profonda amicizia al di fuori del lavoro, quel qualcosa in più arriva dai personaggi di contorno che si amalgamano bene con la narrazione. Molti di questi attori secondari hanno avuto successivamente un’ottima carriera, su tutti Martin Freeman (il Bilbo Baggins nella trilogia “Lo Hobbit” ed il Dr. Watson della serie “Sherlock”), anche se si tratta prevalentemente di comici o star di sitcom che, in un modo o nell’altro, sono stati scoperti dal regista. Ognuno di loro interpreta una serie di stereotipi del cinema e traggono ispirazione da pellicole care all’autore. Alcuni, ovviamente, tornano nei film successivi non solo della trilogia, ma anche della filmografia di Wright, il quale ha poi lavorato anche con attori di grosso calibro che non vedevano l’ora di poter recitare per lui. Non mancano anche una sfilza di camei: comici, fumettisti o cantanti, lo stesso Chris Martin dei Coldplay appare nella pellicola, oltre ad aver contribuito alla colonna sonora con la cover di “Everybody’s Happy Today”, ma per non farsi mancare nulla molti degli zombi sono, invece, interpretati da semplici fan. 

La nascita di un autore 

Ogni autore cinematografico, lungo la sua carriera, affronta un determinato percorso plasmando film dopo film il proprio stile. Non è il caso di Edgar Wright, il cineasta inglese fin dall’esordio dietro la macchina da presa mostra sprazzi del suo personalissimo sguardo, il quale esplode già nel suo secondo lungometraggio. “Shaun of the Dead” rappresenta in tutto e per tutto la nascita dell’autore, dal punto di vista stilistico e mediatico, visto l’enorme successo al botteghino. Resta un regista più conosciuto a quella fetta di pubblico più appassionata, ma i suoi film spesso riescono a stupire ed intrattenere anche gli spettatori considerati occasionali. 

 

La struttura che predilige è quella che parte, come sottolineato in precedenza, dalla commedia per poi spaziare tra i generi, una scelta che si riflette sulla messa in scena e su tutti gli elementi che entrano a contatto con essa: dialoghi ed una sceneggiatura come colonna portante del progetto, condita da una colonna sonora perfetta (spettacolare la scena forse più iconica del film con lo scontro nel pub sulle note di “Don’t Son Me Now” dei Queen), un montaggio spericolato ed, infine, una critica di fondo per nulla banale. Insomma, anche se solo al suo secondo film da regista, Wright confeziona un prodotto eccezionale sotto più punti di vista, dimostrando le sue incredibili capacità, facendosi strada tra gli autori moderni. Una piccola perla, anche se probabilmente il film successivo, il secondo della nota trilogia alza ancor di più l’asticella. 

Voto:
4.5/5
Gabriele Maccauro
3.5/5
Alessio Minorenti
4/5
Matteo Pelli
5/5
Vittorio Pigini
4.5/5
Bruno Santini
3.5/5
0,0
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Regia:
Cast:
Genere:

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