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Recensione – Denti da squalo, con Virginia Raffaele e Claudio Santamaria

La recensione di Denti da squalo

Distribuito nelle sale italiane dall’ 8 giugno 2023, diretto dall’esordiente Davide Gentile, scritto da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, vincitori del Premio Solinas per la miglior sceneggiatura nel 2014, prodotto da Gabriele Mainetti ed Andrea Occhipinti. La fotografia è curata da Ivan Casalgrandi, la colonna sonora è composta da Michele Braga mentre il cast comprende: Virginia Raffaele, Edoardo Pesce, Tiziano Menichelli, Stefano Rosci e Claudio Santamaria.

La trama di Denti da squalo, diretto da Davide Gentile

Un’estate diversa dalle altre per il tredicenne Walter, infatti, è la prima che passerà senza suo padre Antonio che è morto da poco a causa di un incidente sul lavoro. Siamo sul litorale romano e la scuola è appena finita, sono rimasti da soli lui e sua madre Rita, che fatica ad accettare questo terribile lutto. Walter passa le sue giornate gironzolando senza meta, ma un giorno la sua attenzione viene catturata da un luogo misterioso, una villa con una grande piscina. All’interno di essa incredibilmente ci nuota uno squalo e contrariamente a quello che pensa inizialmente, la villa non è abbandonata; ad occuparla insieme a lui è un teppistello di nome Carlo, ma il vero proprietario non è altro che il più importante boss della zona: il “Corsaro”. Walter stringe sempre più una sincera amicizia sia con Carlo sia con lo squalo, in attesa di capire cosa vuole essere nella vita.

 

 

 

 

La recensione di Denti da squalo, con Virginia Raffaele e Claudio Santamaria

Lutto, famiglia e mafia. Tre macro-tematiche che si possono definire cardini della pellicola che vede esordire Davide Gentile in un lungometraggio, tre situazioni che di primo acchito posso far pensare all’ennesimo drammone in cui sono rappresentati i soliti concetti e messi in scena i soliti contesti. Non è del tutto vero, Walter è costretto ad affrontare una perdita tanto improvvisa quanto dolorosa, avvenuta troppo presto, senza nemmeno aver avuto il tempo di battere le ciglia. In questo momento di estrema fragilità si sente attratto da alcune sirene pericolose, uno stile di vita che all’apparenza propone grandi opportunità, la possibilità di avere il potere sulla gente, avere dei sottoposti che rendono ricchi grazie al loro servizio, essere salutato dalla gente in un certo modo, una vetrina che fa sembrare la vita normale un rifugio di chi non ce l’ha fatta. Un percorso interiore reso stimolante da una figura animale esotica, che racchiude in sé tante sfumature e a cui l’uomo ha assegnato diversi significati: è chiaro che la presenza dello squalo all’interno della narrazione comporti una serie di forzature piuttosto evidenti, ciò che le rende accettabili però è il valore simbolico, il significato ideologico che si cela dietro tale presenza.

 

 

Ma cosa vuol dire essere uno squalo? L’essere umano ha sempre utilizzato l’iconografia degli animali predatori per manifestare sentimenti di violenza, prevaricazione e paura. Ciò che ha sempre affascinato di queste creature è il timore che causano, l’idea distorta di potere forgia le menti nella convinzione che per arrivare in cima alla piramide, per poi rimanerci, bisogna necessariamente incutere terrore, solo seminando il panico si ottiene quel presunto rispetto mostrato a chi comanda. Un’esistenza all’insegna dell’apparenza, della ricerca del lusso materiale, finché poi non sopraggiunge qualcuno più forte e più pauroso in grado di prendere il posto. Il segreto di un vero squalo invece è scegliere la strada della libertà, vivere senza la corrosione della cattività a cui il mondo della criminalità imprigiona sempre di più, l’onestà e la normalità possono in certi momenti sembrare insignificanti, pieni di problemi e avversità, ma comunque garantisce di respirare un’aria diversa, la legalità non chiude in gabbia nessuno.

 

 

 

 

I personaggi di Denti da squalo, prodotto da Gabriele Mainetti e Andrea Occhipinti

La distanza tra genitori e figli può avere diverse connotazioni: il destino ha privato Walter di suo padre prematuramente, un dolore che sta lacerando il rapporto con sua madre, un clima teso, congelato da rumorosi silenzi. Rita si trova in una situazione angosciosa, non è soltanto una giovane vedova ma è anche una mamma, non può permettersi di annegare nel dolore, non c’è nemmeno il tempo di elaborare, è consapevole che suo figlio ha bisogno di lei e deve farsi trovare pronta in ogni momento.

 

 

La parte più difficile è ritrovare una sintonia momentaneamente smarrita, impresa assai complicata poiché ogni mossa rischia di essere quella sbagliata, peggio che camminare sui gusci d’uova; La figura paterna a Carlo non manca, almeno fisicamente, ma rimane una figura fuori scena, avulsa dalla sua vita, un vuoto che lo lascia in una profonda solitudine. Un ragazzo che ha bisogno di affetto, un ‘occasione per esprimere il meglio di sé, desideroso di appartenere ad un gruppo, di far parte di una realtà e ciò non sempre porta sulla strada giusta.

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