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Recensione: Pinocchio- Il primo film d’animazione di Del Toro

Pinocchio di Guillermo Del Toro vince l'Oscar per il miglior film d'animazione

Pinocchio”, ultimo film del regista premio oscar Guillermo Del Toro, prodotto da Netflix sarà distribuito in alcune sale selezionate in tutto il mondo (compresa l’Italia) a partire dal 4 Dicembre 2022 per poi essere rilasciato su Netflix il 9 dello stesso mese. L’opera rappresenta il debutto per quanto riguarda il cinema d’animazione per il regista messicano che infatti è accreditato alla regia con Mark Gustafson che invece lavora nel mondo dell’animazione stop-motion da anni.

La trama di “Pinocchio”

 

La sinossi ufficiale rilasciata da Netflix, posto che la trama si ispira ovviamente al romanzo originale del 1883 di Carlo Collodi, recita: “Il regista premio Oscar Guillermo del Toro e la premiata leggenda dello stop-motion Mark Gustafson reinventano la classica storia di Carlo Collodi del leggendario ragazzo di legno con un bizzarro tour de force che trova Pinocchio in un’avventura incantata che trascende i mondi e rivela potere di donare la vita dell’amore.”

I remake sono sempre un male?

 

Dalla breve presentazione del film rilasciata sul sito ufficiale di Netflix potrebbe sembrare che il film di Del Toro possa essere l’ennesima pigra riproposizione artistica di un testo letterario rielaborato ormai decine di volte, ebbene non si potrebbe essere più lontani dalla realtà.

Questa magnifica opera del regista di origini messicane dimostra infatti con una potenza deflagrante come nessun processo artistico possa essere mai pregiudicato soltanto a partire dalla fonte da cui trae inizio il tutto, il cinema come arte visiva ha infatti la capacità unica di tornare continuamente sui suoi passi, rinnovando e ravvivando ciò che sembrava ormai spremuto fino all’ultima goccia. Un’osservazione di questo tipo può apparire estremamente controtendenza in un’epoca nella quale ormai il concetto di remake viene associato dalla maggior parte degli appassionati di cinema con un senso di stantio e di stagnazione di idee. Del Toro invece dimostra tramite il suo operato che ogni occhio registico coglie particolari diversi, approfondisce aspetti trascurati in precedenza, rimoderna e riplasma il magma sempre incandescente racchiuso in opere dal carattere universale come quella di Collodi. Con questo ovviamente ragionamento ovviamente non si tenta di scagionare dal loro status di opere mediocri o financo brutte tutti quei remake che avevano come unica ragion d’essere quella di accaparrarsi il denaro degli spettatori sfruttando allo sfinimento nomi di brand noti, ma si vuole piuttosto constatare come non tutte queste operazioni siano uguali e come nel mare di conformismo dilagante nell’industria hollywoddiana si è ancora in grado di cogliere perle dall’inestimabile valore.

La recensione di “Pinocchio” il film d’animazione di Guillermo Del Toro

 

Spoiler alert!!!”

Del Toro, nel presentare il film, si è detto sorpreso di come Pinocchio non avesse mai ricevuto, prima della sua opera, una trasposizione in stop-motion. Guardando il film e rimanendo incantati dal suo sublime reparto visivo questo stesso interrogativo potrebbe balenare nella mente di molti spettatori, eppure, con un occhio più analitico, non si può non riconoscere che questa operazione perfettamente riuscita nascondeva delle insidie che soltanto il talento immenso di questo artista è riuscito facilmente a disinnescare. La tecnica dello stop-motion è afflitta da un decennale declino ed è stata quasi totalmente azzerata dall’avvento del cinema d’animazione in 3D, che ha reso agli occhi del grande pubblico questo modo di animare i personaggi più rigido e macchinoso.

 

Pinocchio” riesce invece ad avvalersi di questa tecnica non facendo rimpiangere nemmeno per un secondo l’animazione moderna. I movimenti dei personaggi risultano sempre estremamente fluidi, integrando perfettamente gag di vero e proprio stampo slapstick con scene d’azione concitate e momenti di splendida intimità.

 

Lo stile visivo di Del Toro poi si integra perfettamente con il testo di Collodi, modificandolo e a tratti persino rivoluzionandolo in più punti. Il lutto di Geppetto per la morte del figlio Carlo è affrontato con una durezza assolutamente inedita per un film rivolto anche a un pubblico di bambini; la sua discesa nell’alcolismo e la sua depressione, che culminano nella meravigliosa scena di stampo horror della creazione del burattino, hanno una durezza che spesso è irrintracciabile anche in un cinema più “impegnato”.

 

Questa versione di “Pinocchio” infatti non si limita a tinteggiare il testo originale con qualche pennellata di atmosfere gotiche ma attraverso la forma lo segna nella sua essenza. La sopracitata creazione del celeberrimo bambino di legno appare quasi come un atto blasfemo, per nulla dissimile a quello con il quale prende vita la creatura di Frankenstein ad esempio, la mente obnubilata dall’alcol di Geppetto e il suo cuore in pezzi partoriscono all’unisono un gesto di una violenza inaudita che parte dallo sradicamento dell’albero piantato per commemorare la morte del figlio prematuramente scomparso. A legare poi la figura di Pinocchio a quella del mostro ideato da Mary Shelley è lo status di freak (elemento che da sempre caratterizza i protagonisti delle opere di Del Toro) escluso e bistrattato dal resto della società. Alla spensieratezza e alla libertà del protagonista sono opposte la durezza e l’arretratezza culturale di due istituzioni che hanno segnato la storia del nostro Paese: la chiesa cattolica e il regime fascista.

 

I temi della morte e della vita, sempre intrecciati a doppio filo, sono i cardini di quest’opera e dunque appare lampante come il sottolineare la presenza del regime fascista sul territorio italiano da parte del regista sia un modo di estendere l’eterno conflitto tra queste due pulsioni verso le quali tende l’animo umano da un piano puramente soggettivo a uno collettivo. Il finale in tal senso risulta emblematico: pur avendo cessato le sue peripezie e rutilanti avventure, Pinocchio è costretto dall’inesorabile scorrere del tempo a fronteggiare la morte sia del Grillo Parlante che di Geppetto, i suoi compagni di una vita. Questa pacifica accettazione di un fatto naturale, dopo che per tutto il film Pinocchio era riuscito a sfuggirgli attraverso un incantesimo, rappresenta il modo migliore per affrontare una tematica del genere, soprattutto se si pensa che il film è rivolto principalmente a un pubblico di bambini. Il film pone continuamente i suoi personaggi, profondamente imperfetti e perennemente fallibili, di fronte a un turbinio di situazioni pericolose e a tratti terrificanti dalle quali però escono mai sopraffatti, ma anzi sempre rinfrancati poiché animati dal meraviglioso afflato vitale che da sempre contraddistingue le opere di questo grande regista.

 

 

Voto
4.5/5
Giovanni Urgnani
5/5
Christian D'Avanzo
5/5
Paolo Innocenti
0/5
Paola Perri
0/5
Andrea Barone
5/5
Vittorio Pigini
5/5
Andrea Boggione
4.5/5
Gabriele Maccauro
0/5
Alessandro Di Lonardo
0/5
Bruno Santini
5/5
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