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Don’t Worry Darling: Florence Pugh ed Harry Styles in un thriller psicologico

Presentato fuori concorso a Venezia 79, secondo film di Olivia Wilde dopo aver esordito con La rivincita delle sfigate, Don’t worry darling è un thriller psicologico raccontato dal punto di vista femminile. Purtroppo al momento è finito in una bufera mediatica causa l’incrinato rapporto tra la regista e l’attrice Florence Pugh, conseguenza dei bisticci sul set che hanno portato alla sostituzione di Shia LeBeouf con Harry Styles.

Ma concentriamoci sul film: Alice (Florence Pugh) e Jack (Harry Styles) hanno la fortuna di vivere nella comunità idealizzata di Victory, la città realizzata da un’azienda sperimentale che ospita, assieme alle loro famiglie, gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory. L’ottimismo sociale degli anni ’50 sposato dal loro amministratore delegato, Frank (Pine) a metà tra un uomo d’azienda visionario ed un life coach motivazionale fissa ogni aspetto della vita quotidiana di questo luogo utopico nel mezzo del deserto. Mentre i mariti trascorrono ogni giorno all’interno del quartier generale del Victory Project lavorando allo “sviluppo di materiali innovativi”, le loro mogli, inclusa l’elegante partner di Frank, Shelley (Gemma Chan), passano il tempo a godersi la bellezza, il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è perfetta, ed ogni esigenza dei residenti viene soddisfatta dall’azienda. Tutto ciò che viene chiesto in cambio è discrezione e impegno incondizionato per la causa del progetto Victory. Quando però iniziano ad apparire delle crepe nella loro vita idilliaca che rivelano qualcosa di sinistro sotto l’attraente facciata, Alice non può fare a meno di chiedersi esattamente cosa stiano facendo alla Victory e perché. Quanto sarà disposta a perdere Alice per far emergere cosa sta realmente accadendo in questo paradiso?

L’incipit ci fionda immediatamente nel racconto con queste scenografie simmetriche e colorate, il motore d’azione prende il via da una festa privata tra tre coppie passando al mattino successivo in cui le mogli preparano la colazione e salutano i mariti usciti in auto. L’ambientazione è da subito messa in evidenza: anni ’50, sogno americano in cui l’obiettivo primario era riuscire a mettere su famiglia trovando un buon lavoro e comprando quella che su carta era la casa dei desideri. Dicotomia palesata, da una parte gli uomini a lavoro e dall’altra le donne casalinghe pronte ad accudirli. La vita perfetta però non esiste, a scalfire la protagonista, Alice, sarà la sua mente tormentata. Infatti il film diventa un susseguirsi di elementi onirici, proiezioni mentali e dubbi insiti nella sua persona. Ci si chiede cosa sia reale e cosa no il più delle volte, si potrebbe addirittura avanzare l’aggettivazione horror per delle scene. Eppure non riesce a sorprenderci risultando tutto estremamente derivativo e ricco di cliché tipici del genere che appesantiscono il racconto inutilmente. Il finale è telefonato, e questo non sarebbe nemmeno un problema, ma la durata 2 ore è spropositata e la ridondanza la fa da padrone, dunque arrivarci con la conferma dell’idea che si aveva in testa conferma la banalità del progetto. Ben recitato, sicuramente, e Harry Styles è anche più idoneo di LeBeouf nel ruolo per caratteristiche fisiche e facciali, nonché per l’ottima chimica venutasi a creare tra lui e la Pugh, anche qui bravissima; pensato correttamente per scenografie asciutte nel contorno (un deserto) e fatiscenti nel momento in cui ricostruiscono un quartiere americano tipico dell’epoca, nel cuore della comunità (villette con giardino una di fianco all’altra). La stessa Olivia Wilde si ritaglia un ruolo nel film, nemmeno troppo marginale per l’importanza che avrà, ma il punto di vista di Alice primeggia su tutti per minutaggio e per comunicazione finale del contenuto. Il messaggio sarebbe anche nobile nell’epoca del Me Too, peccato che il come lo veicola è banale. Molto più interessante per guizzi registici e trovate di montaggio, nonché per il tocco di originalità nella sceneggiatura, la commedia intitolata La rivincita delle sfigate, che abbiamo scritto essere l’esordio della regista-attrice.

Se la costruzione narrativa però, come dicevamo, non assiste il contenuto veicola in modo sciatto e ripetitivo, ansioso di sorprendere con un colpo di scena che non è nemmeno così sorprendente, si termina il film senza ottenere il consenso per il messaggio. Un thriller psicologico non andrebbe basato solo su sequenze oniriche, ma con un gioco di semina delle informazione per poi essere raccolte; qui questo giochino non perviene, ci sono giusto due o tre elementi anche abbastanza prevedibili per quel che riguarda il villain interpretato da Chris Pine. Insomma, un mondo esteticamente interessante ma narrativamente troppo povero per quelle che erano le intenzioni, e la chiusura è così estrema da non donargli affatto la giustizia che meriterebbe, anzi, senza la dovuta semina poi il raccolto sembra fatto perché si.

Voto:
2/5
Andrea Barone
3.5/5
Alessio Minorenti
1.5/5
Paola Perri
3.5/5
Giovanni Urgnani
2.5/5
0,0
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Voto del redattore:
Data di rilascio:
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Genere:

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