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La Città Incantata: durezza, suspance e poesia nel paese delle meraviglie

La Città Incantata (2001), conosciuto anche col titolo internazionale Spirited Away, è l’ottavo lungometraggio firmato dal maestro giapponese Hayao Miyazaki, di cui abbiamo potuto recentemente godere sul grande schermo grazie all’iniziativa Lucky Red. Orso d’oro a Berlino nel 2002 (il primo mai assegnato ad un film a disegni animati) ed Oscar nel 2003 per il miglior film d’animazione.

Protagonista è la giovane Chihiro, che durante il percorso in auto causa trasferimento, resta intrappolata in un mondo fantastico chiamato la Città degli Spiriti, retto dalla strega Yubaba colpevole di aver trasformato i suoi genitori in maiali. Inizialmente spaesata, Chihiro dovrà trovare un modo per poter salvare sua madre e suo padre per poi fuggire incolumi. Troverà un alleato nel misterioso Haku, ragazzo-drago ai servigi della strega, fondamentale per la piccola nel trovare un lavoro alle terme per divinità stanche e suscettibili.

È un percorso onirico quello intrapreso da Chihiro, un viaggio nell’inconscio reso necessario dal difficile passaggio dall’infanzia all’adolescenza, in cui un mondo interiore, ricco di speranza e fanciullezza, si scontra con il cinismo della vita. In questo caso il motore scatenante è il trasferimento in un’altra città per cui la piccola protagonista evidentemente soffre, come ci dimostra una lettera scrittale dai suoi vecchi compagni di scuola. Ebbene l’oriente risponde così all’occidente con il suo personalissimo Alice nel Paese delle Meraviglie, tracciando un cammino che rischia di essere a senso unico se non si hanno la forza e la capacità di prendere in mano la propria esistenza, assumendosi responsabilità, facendo scelte, anche dolorose, in virtù dell’altruismo opposto ai fini personali ed egocentrici. Nel mondo umano, infatti, i genitori di Chihiro vengono puniti per la loro mancanza di rispetto nei confronti della sacralità di un posto apparentemente abbandonato, ma anche per ingordigia e avarizia, due difetti molto umani. Purtroppo, certe volte le colpe dei genitori ricadono sui figli, e a farne le spese è proprio la piccola protagonista, la quale dovrà rimediare ai suddetti difetti e imparerà a guardarsi dall’ossessione di voler possedere tutto, venendo spesso tentata e messa alla prova per imparare il rispetto e l’attenzione verso il prossimo, inteso anche come personificazione della natura. La purezza del suo sguardo le sarà fondamentale per poter andare oltre, per riuscire a sentire e ricordare elementi catartici durante la sua personalissima avventura. L’estro del genio di Hayao Miyazaki lo si nota nel proseguo all’interno della sua poetica, e ritroviamo qui l’infanzia come sogno di cui ritardare la fine, l’animismo e il pittoricismo delle immagini a tratti surrealiste, qui al massimo delle loro potenzialità espresso in tecnica d’animazione tradizionale, il già citato rispetto e convivenza con gli elementi naturali. Un micromondo ricco di idee: rane e ravanelli colossali, teste rotolanti e bebè giganti, fuliggine operaia e uomini-ragno, draghi e fiumi inquinati, streghe. L’equilibrio, probabilmente mai come in questo film interno alla sua splendida e ricchissima filmografia, è a dir poco perfetto: l’apparenza inganna, spesso ciò che sembra cupissimo è sorprendente, l’inizialmente inquietante caldaia in realtà cela conforto, la fuliggine ha funzionalità, un uomo con più braccia, burbero, nasconde un grande cuore, e al contrario le pacifiche terme diventano scenario di egocentrismo, cannibalismo. Quello che sembra un mostro di fango\catrame è in realtà un bellissimo fiume in attesa di essere liberato dal male che lo affligge (una spina), e persino la strega ha in realtà amore per suo figlio (Piccino) e ha una sorella gemella, Zeniba, la quale non è meno severa, ma che in questo caso aiuta (seppur limitatamente) coloro che riconoscono i loro errori e cercano di rimediare, impartendo la lezione secondo cui dare è più importante ricevere. Banalmente poteva essere l’ennesima rappresentazione di una parte buona e una cattiva di uno stesso essere, già visto in tantissime altre opere, ed invece ne fa una virtù prendendone distanza. Lo Spirito senza Volto, simbolo del Moderno che ignora i legami con la Tradizione, crede di poter colmare il proprio vuoto esistenziale comprando il rispetto altrui con l’oro, ma sarà Chihiro insegnargli ciò che ha appreso nel magico mondo creato dal regista, la quale prima curerà il morente drago-fiume Haku, che scopriamo essere stato il suo salvatore quando da piccola cadde nel fiume per recuperare una scarpina, per poi liberare dall’ingordigia implacabile, proprio lo Spirito senza Volto.

La Città Incantata è un capolavoro per l’animazione tout court per tecnica e contenuto, un mondo nascosto in cui i personaggi si stagliano nella memoria in sequenze di grande durezza, cariche di suspance e di delicata poesia, tra il viaggio in treno sulla ferrovia sommersa, l’arrivo notturno del traghetto da cui scendono gli ospiti, le continue trasformazioni di personaggi inumani e antropomorfizzati simultaneamente, e un cuore grande a tal punto da coinvolgere adulti di tutte le età e i più piccini, arricchito da una narrazione che si prende i suoi tempi come anche l’importante passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Plauso particolare alla meravigliosa colonna sonora di Joe Hisaishi, comunica brillantemente esaltazione, tristezza, tragedia, minaccia, misticismo.

Voto:
5/5
Andrea Barone
5/5
Andrea Boggione
4/5
Carlo Iarossi
4/5
Paolo Innocenti
4/5
Carmine Marzano
4.5/5
Alessio Minorenti
5/5
Paola Perri
4/5
Giovanni Urgnani
5/5
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