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“BELFAST” : L’AMARCORD DI KENNETH BRANAGH.

A distanza di poche settimane dall’uscita di “Assassinio sul Nilo”, rimandato diversi anni, a causa della pandemia, ecco che nelle sale approda il nuovo film di Kenneth Branagh, dal titolo : “Belfast”.

Con questa pellicola, il regista e attore nordirlandese vuol raccontare la sua infanzia difficile, negli anni ‘70, in una Belfast tormentata dai conflitti tra Cristiani e Protestanti. Il tutto sceglie di farlo dal punto di vista di un bambino, Buddy, di nove anni, nonché suo alter ego.

Il bianco e nero che si adotta fa vivere il ricordo in maniera quasi sognante, ed è specchio anche del contrasto tra luci e ombre della personalità umana. Scegliere di essere una famiglia per bene, capace di accettare il pensiero altrui, senza per forza scendere in piazza a protestare, a distruggere, o malmenare la gente, era quindi mal visto da chi solo con la violenza cercasse di imporre il proprio credo.

Buddy ha la fortuna di crescere con dei valori, con dei genitori e dei nonni che sapessero comunicargli amore e l’importanza di portar rispetto al prossimo. Branagh sceglie un folto e bravo cast di attori, fra cui spuntano Judi Dench (la nonna) e Ciaràn Hinds (il nonno), dimostrando ancora una volta grandi doti interpretative, senza però dimenticarci il talento del piccolo Jude Hill (il protagonista), di Caitríona Balfe (la madre), o Jamie Dornan (il padre).

Il regista, con garbo e delicatezza, ci mostra il conflitto storico che ha vissuto in prima persona, ma anche il conflitto personale interiore di un bambino, con l’unica volontà di divertirsi ed essere felice, in un contesto in cui i sorrisi venivano spazzati via dalla serietà di chi pretendeva un pensiero unico e limitato. Ci si mette a nudo, utilizzando l’arte come elemento salvifico. La scoperta del cinema, della letteratura e dei fumetti, per il piccolo Buddy, sarà emblematica, tant’è che passo dopo passo lo formerà, facendolo diventare il cineasta che noi tutti oggi conosciamo. Se la realtà ti porta via dei pezzi di esistenza, con il cinema tu li riassorbi, li fai tuoi. La magia della “Settima Arte” è espressa col colore, con la luce che in quelle pellicole torna ad illuminare le vite sbiadite dal dolore dei protagonisti, nel momento in cui sono in sala. L’autore ci ricorda quanto il mezzo cinematografico possa servire per fuggire dalla realtà, anche temporaneamente, e quanto possa essere una medicina universale, capace di unire tutti, senza più differenze di pensiero, di credo, o di religione.

Vedere il mondo circostante descritto dalla pura ingenuità di un bambino è tenero e allo stesso tempo amaro. Il non capire perché certe cose accadano, perché forse l’unica soluzione sarebbe quella di trasferirsi a Londra, lasciando i propri cari nonni, sono domande che si pone di continuo il protagonista, senza riuscire a trovar risposta. Il tema dell’allontanarsi dalle proprie radici per una vita migliore è sensato, quanto allo stesso tempo cinico e triste, se si pensa che forse lo si faccia sol perché la si dà vinta a chi protesta.

Branagh dedica la pellicola a quelli che vanno e quelli che restano, proprio perché tutti hanno storie da raccontare, sono figli della scelta e artefici del proprio destino, per qualsiasi soluzione si decida di optare. Può sembrar ridondante, specialmente nel secondo atto, ribadire il concetto del contrasto religioso, più e più volte, senza soffermarsi sulle cause che lo han prodotto, o il pensiero che vi fosse dietro, ma bisogna ricordare che la prospettiva è quella di un bambino e che quindi, fosse sensato lasciare dei dubbi, non colmare lacune oggettivamente normali per il protagonista di quell’età o altrimenti sarebbe venuta meno l’idea intelligente su cui si basa la pellicola.

Il citazionismo del regista verso opere per lui importanti, che al contempo poi adatterà e a cui cercherà di dare nuova linfa, è molto interessante, con sequenze in cui il piccolo si ritroverà a leggere un fumetto di “Thor”, un’inquadratura in casa che mostri un romanzo di Agatha Christie, o il ribadire la tragedia del periodo, quasi Shakespeariana, che sarà sempre al centro delle opere del futuro regista.

Kenneth Branagh è un autore divisivo, per molti pretenzioso, ma che dimostra quanto sappia diversificarsi, abbracciando il pop, il film per tutti, e poi la pura intimità profonda, spogliandosi completamente e narrando le sue origini in un piccolo ma significativo lungometraggio, che serva forse anche ad elaborare ciò che è stato. Non bisogna dimenticare però quanto, anche nelle opere più commerciali e diverse, sia presente tutto ciò che in quel periodo a “Belfast” abbia imparato, scoperto e vissuto. Il cinema per un regista che si rispetti, è un lungo viaggio nei tunnel della vita, dove ogni cosa si fonde nella valigia che si ha con sé, pronta ad essere aperta per plasmarne il contenuto in qualsiasi testo si voglia raccontare.

Un bel film introspettivo, vero, ed autentico.

Paolo Innocenti

7/10

Andrea Barone: 9
Christian D’Avanzo: 6
Carlo Iarossi:
Andrea Boggione: 7
Paola Perri:
Giovanni Urgnani: 6.5
Alessio Minorenti:

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