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The French Dispatch: Anderson in doppia cifra

Presentato in concorso alla settantaquattresima edizione del Festival di Cannes, il decimo film dell’autore Wes Anderson è disponibile nelle nostre sale dal 11 novembre. Causa emergenza sanitaria la pellicola ha subito il posticipo che ha colpito la maggior parte delle produzioni hollywoodiane nell’anno 2020. Prodotto dalla Searchlight Pictures, tra le ultime opere realizzate antecedentemente alla vendita della sezione cinematografica della Fox. Oltre alla regia, Anderson figura come sceneggiatore e produttore, ritornano anche gli inseparabili collaboratori di una vita come Robert Yeoman nel ruolo di direttore della fotografia e Alexander Desplat a comporre la colonna sonora.

 

 

Francia, paese di Ennui. In una realtà fittizia del secondo dopoguerra, conosciamo la redazione della rivista americana del Kansas sotto la responsabilità del direttore Arthur Howitzer Jr (Bill Murray). Bisognerebbe occupare una pagina soltanto per nominare il cast presente in questo lungometraggio, possiamo riassumere in breve con una frase: ci sono tutti, tutte le star che hanno collaborato con l’autore nella sua filmografia con l’aggiunta di alcune “new entry” per l’occasione. Un cast corale a tutti gli effetti, chiaramente non tutti i ruoli sono corposi o significativi ma vale sempre la pena, anche per poco tempo, godere dei grandi nomi.

Wes Anderson è sicuramente uno dei cineasti più interessanti della contemporaneità, con una cifra stilistica unica e inimitabile, capace di beare le pupille degli spettatori con le sue simmetrie, giocando col surrealismo della messa in scena, suoi i film sue le regole (DNA alleniano). In questo caso non viene meno alla sua identità, nella sequenza iniziale del cameriere dimostra tutta la sua sapienza tecnica a lui peculiare, immancabilmente teatrale, garantendo tale continuità stilistica per tutta la durata. Per non parlare della scelta di passare dal B/N ai colori e viceversa, mai casuale, anzi di grande impatto comunicativo.Nonostante il lungometraggio rimanga fedele alle opere precedenti, assistiamo ad una differenza nella struttura narrativa, si accantona l’atmosfera road-movie lasciando spazio ad un racconto frammentato in tre episodi staccati tra loro ma uniti da una linea madre rappresentata dalla rivista stessa, infatti i tre articoli sono scritti, di conseguenza raccontati, da tre redattori diversi, ognuno di essi dovrà sottoporsi all’approvazione del direttore.

 

 

La messa in scena delle tre storie in questione è quindi fortemente condizionata dalla voce fuori campo, decisamente prorompente, ai limiti dello sfiancante, facendo perdere in molti tratti la fluidità del racconto, così da appesantire in maniera eccessiva la fruizione della pellicola. Se aggiungiamo poi il ritmo iper-serrato, la conseguenza perciò è la sensazione di percepire più del dovuto i minuti della durata, standard per opere di questo tipo. Nasce immediatamente la necessità di una revisione, fattore teoricamente più che positivo sennonché tale bisogno generi da una confusione complessiva non dipesa minimamente dai contenuti, quanto nella struttura di base. Ciò che conta davvero però è un elemento tra i più significativi della poetica del regista, rappresentato al meglio anche nel suo decimo lungometraggio: la complessità dei personaggi. I protagonisti di ogni racconto vengono rappresentati attraverso le loro emozioni, le loro fragilità, le loro sofferenze, i loro traumi, vivono in contesti problematici, sono protagonisti di relazioni amorose non convenzionali, generazioni diverse che si incontrano e si scontrano ed imparano l’une dall’altre.

 

 

Nota di merito va concessa al personaggio interpretato da Adrien Brody, figure presenti e contestualizzabili in ogni ambiente artistico, magnati facoltosi con l’obiettivo di penetrare nel mondo dell’arte per diventare ancora più facoltosi, con ogni mezzo e senza badare troppo alle questioni etico-morali. Grazie ai propri mezzi permettono agli artisti di farsi conoscere nel mondo, ma così facendo si autolegittimano la proprietà delle opere e dell’artista stesso agendo nel loro esclusivo interesse anche a discapito di chi le ha realizzate. Infine, la sequenza animata presente nel terzo episodio resta un pezzo d’antologia andersoniana.

Voto: 7/10

Andrea Barone: 8,5
Andrea Boggione: 9
Christian D’Avanzo: 8
 
Paolo Innocenti: 9
Paola Perri: 7

 

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