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“La scelta di Anne -L’èvènement”: il vincitore del Leone d’Oro a Venezia 78

“La scelta di Anne -L’èvènement” è un film diretto da Audrey Diwan, interpretato da una memorabile Anamaria Vartolomei qui in un ruolo estremamente complesso. Premiato con il Leone d’Oro come Miglior Film alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 78, in uscita al cinema da giovedì 4 novembre 2021.

Adattamento del romanzo omonimo di Annie Ernaux, siamo nella Francia degli anni ’60 ed è la storia cruda di Anne, una ragazza universitaria alle prese con una gravidanza indesiderata che rischia di compromettere il suo futuro e i suoi sogni. Prima che una legge consentisse a una donna il diritto all’interruzione volontaria, le donne non avevano scelta e non potevano scegliere di non avere un figlio, rischiavano la propria salute abortendo clandestinamente e giocandosi la vita a poker. Situazione che ci sembra lontana ad oggi, ma in realtà uscendo dalla nostra nicchia è un qualcosa di ancora concreto in alcune parti del mondo come negli USA, nell’Europa dell’Est e le numerose zone orientali.

Anne (Anamaria Vartolomei) in una scena del film

Senza troppi giri di parole, diciamo subito che Audrey Diwan si è presa il voto unanime della giuria di Venezia a ragion veduta. La sua opera è un pugno allo stomaco, provocatoria (in senso positivo rispetto al cugino “Titane”) nei dialoghi e nel contenuto, accosta un evento di 60 anni fa al ruolo della donna oggi inserendoci una duplice riflessione (l’aborto e il ruolo della donna appunto). Girato in 4:3 e con lo scorrere delle 12 settimane messo in sovrimpressione, la cinepresa è asfissiante nel modo di seguire costantemente la protagonista mettendo lo spettatore con le spalle al muro senza via di fuga. Non c’è solo quest’aspetto claustrofobico a farla da padrone, ma una regia mossa in base alle emozioni di Anne e all’azione che porta avanti; ad esempio la Diwan muove la camera molto spesso a seconda di come la giovane ragazza muove la testa oppure ancora il corpo quando balla, richiamando la percezione soggettiva a cui siamo sottoposti. Una scelta che paga poiché la donna è al centro del film, quindi in maniera coerente la regia è assoggettata ad essa dandole finalmente un ruolo da protagonista in un’epoca dove protagonista non era.

“molti medici pensano che la donna non abbia potere decisionale”

afferma un medico nel film

Gli artifici sono ridotti all’osso, non si va alla ricerca forzata della bella inquadratura ma è un costante movimento, il montaggio è invisibile e la fotografia non fa altro che accompagnare le scelte ponderate fatte per rappresentare al meglio un concetto semplice ma allo stesso tempo complesso nonché delicato: si pensi a quando i momenti più spensierati vengono ripresi di giorno con la luce, al contrario di notte o in posti più oscuri ci sono sequenze malinconiche sia intime che in relazione ad altri personaggi.

Anne con le sue amiche sedute su una panchina

E a proposito di personaggi, altra nota super positiva è l’equilibrio: quelli maschili vengono rappresentati come degli opportunisti che tentano semplicemente di arrivare al dunque con le ragazze, mentre gli adulti fanno quasi tutti i distaccati. Anne confida il suo segreto in cerca di aiuto e le reazioni sono diverse, creando un bilanciamento geniale. Se in prima battuta il miglior amico di Anne, Jean, sembra voler cavalcare l’onda dicendo “sei già incinta, non avremo preoccupazioni”, successivamente sarà lui stesso a trovarle un contatto per tentare l’aborto. Insomma nel primo blocco dei 100 minuti del lungometraggio Anne viene lasciata sola contro il proprio destino, le sue amiche inizialmente vogliono capire cosa le stia succedendo, vengono messe al corrente per poi rinnegarla, influenzate dall’etica della società sono quasi disgustate dal pensiero dell’aborto per cui si rischiava la prigione anche solo per aver fornito un aiuto concreto, e tra l’altro il sesso era malvisto prima del matrimonio e se lo facevi venivi etichettata come una facile (cosa che anche Jean sembra evidenziare inizialmente). Tra la morale condivisa e la paura per l’incarcerazione, i dottori ostacolano il cammino della giovane protagonista fornendole anche medicinali volti a rafforzare l’embrione, proprio per l’ideologia dettata da motivi religiosi e perbenisti a cui facevo riferimento poc’anzi. L’ipotetico padre del bambino è raffigurato come altri uomini, un opportunista che se ne lava le mani quando si tratta di fornire assistenza ad Anne, al contrario quando crede che sia riuscita a terminare la gravidanza da sola, la invita a casa sua per un weekend da passare con amici al mare. Emblematici questi passaggi, perché più volte vediamo la protagonista alle prese con sé stessa, con i crampi dovuti alla fame, con l’opportunismo degli uomini, l’abbandono delle amiche, ed un bambino di cui cerca di liberarsi ad ogni costo e del quale comunque ha la curiosità di informarsi quanto meno nell’anatomia.

“vorrei un figlio un giorno, ma adesso questo bambino rischierei di non amarlo”

afferma Anne

Prima tenta l’aborto con le proprie mani e dei ferri da maglia, in una scena che mostra ma non troppo, ed è un “vedo-non vedo” super efficace per arrivare all’elaborazione della tensione nello spettatore senza prendere troppo direttamente allo stomaco con immagini eccessivamente crude; poi vorrebbe abbandonare sé stessa, va in mare e desidera perdersi tra le onde nella speranza di esser portata via, interrotta solo dall’arrivo del ragazzo. Anche con i genitori alle prime battute si nota un rapporto che si fredda man mano, così come lo studio viene messo da parte per un pò, tanto da inimicarsi il professore per la volontà di non proferire parola su quello che sta succedendo.

Anne e sua madre in un abbraccio

Nella seconda metà però il tutto viene riequilibrato: una delle due compagne di Anne si fa coraggio e va a parlarle, le offre finalmente sostegno in un periodo di dannata solitudine, condivide l’esperienza che ha avuto con un uomo più grande perché non è riuscita a placare i suoi istinti sentendosi in colpa durante, sottolineando come sia una cosa comune (per questo Anne non deve sentirsi sola) e come la fortuna a lei sia girata mentre ad Anne no. Jean come già detto, si fa perdonare ampiamente da scenate di gelosia e avance non proprio signorili, fornendole un contatto per procurarsi l’aborto, le presenta una ragazza che già è stata nelle mani del contatto in questione, (ovvero una donna capace di interrompere la gravidanza) e nel mentre camminano c’è tenerezza e conforto nei confronti della nostra protagonista, per troppo tempo da sola contro tutti. Anche con i suoi genitori riesce di nuovo ad avere attimi di chiacchiere e sorrisi spensierati, come non accadeva da tanto. Si fa forza e chiede al suo professore di recuperare tutti gli arretrati in modo tale da passare l’esame, concedendogli finalmente la verità alla sua domanda “Eri malata?”, risposta: “Si, ma della malattia che rende le donne casalinghe”. Provocazione lecita, va dritta al nocciolo della questione, essendo Anne una ragazza con il sogno di diventare scrittrice (non disdegnerebbe nemmeno diventare una professoressa a quanto dice) e accusando il mondo di recludere la donna ad occuparsi della casa e dei figli, mentre l’uomo si mette i pantaloni e porta da mangiare a casa. Ma anche le donne devono essere protagoniste, la parità di genere deve essere raggiunta in toto, devono prendere decisioni senza che nessun uomo possa pregiudicarle pensando di farlo per il loro bene, perché è esattamente il contrario.

“La scelta di Anne” è un titolo/film evocativo, di una potenza sconfinata per l’impegno sociale raffigurato qui ai massimi livelli, dando voce a un genere nel modo migliore possibile, e risultando un progetto vincente da ogni punto di vista. Il finale è incisivo, chiude la narrazione in maniera cruda, realistica ed anche tenera in fin dei conti: Anne si deve sottoporre due volte all’intervento clandestino, la bacchetta inserita la prima volta non esce dall’utero e le percentuali di restarci secchi la seconda volta sono molto alte. Ciò nonostante Anne preferisce vivere e non sopravvivere, si prende i suoi rischi con una decisione al cardiopalma e, messa in scena sempre minuziosa con il “vedo-non vedo – vedo molto poco ma mi basta”, la sofferenza atroce la si percepisce interamente a dimostrazione di come la costruzione di una scena non deve per forza mostrare troppo per riuscire ad arrivare al pubblico una volta capite le intenzioni. Audrey Diwan si prende il plauso di Venezia, il Leone d’Oro (per il secondo anno di fila vinto da una donna) e non a caso il verbo che inserisce nel dialogo nella scena in cui le tre amiche si stanno esercitando è “Agire”.  Un coro che si alza con forza: agiamo e viviamo senza paura di prendere decisioni anche drastiche agli occhi della società, ma fondamentali per noi ed i nostri sogni. L’azione di una giovane donna prende il sopravvento su tutto, dona la sua corporeità al dramma privato, la condizione femminile, la chiusura della società francese (all’inizio degli anni ’60) in un’opera raffinata ed elegante.

Film stupendo, non c’è altro da aggiungere ma solo da applaudire per la realizzazione e la nobiltà della causa.

The 78th Venice Film Festival – Awards Ceremony – Venice, Italy, September 11, 2021 – Director Audrey Diwan receives the Golden Lion award for Best Film. REUTERS/Yara Nardi

Voto: 9\10

– Christian D’Avanzo

Andrea Barone: 10
Andrea Boggione: 8
Carlo Iarossi:
Paolo Innocenti: 9
Giovanni Urgnani:
0,0
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