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“Malcolm and Marie”: non è tutto o bianco o nero

“Malcolm&Marie” è un film distribuito da Netflix ed è in catalogo dal 5 febbraio 2021. Girato in segreto durante il lockdown causato dalla pandemia, diretto da Sam Levinson (“Euphoria”) e interpretato da Zendaya (Marie) e John David Washington (Malcolm), il film racconta la storia di un regista e della sua compagna, ex tossica ed ex attrice, che dopo la prima del film d’esordio affrontano una lite furiosa.

Potremmo definirla quasi un’opera teatrale (alla “Carnage” di Polanski) in cui ci sono solamente due attori sulla quale si sorregge il lungometraggio, della durata di 106 minuti, incentrati sulla potenza dei dialoghi. La regia di Levinson è elegante, passa da delle splendide inquadrature fisse spezzate da primi e primissimi piani claustrofobici, a brevi piano sequenza e campi lunghi che lasciano senza fiato. La fotografia in bianco e nero è curata, attenta ai dettagli, scelta appositamente per aumentare il valore simbolico del messaggio. Le musiche curate da Labrinth rafforzano le atmosfere, accompagnano l’altalena di sentimenti a cui lo spettatore viene sottoposto. Nota di merito ai due protagonisti che sfornano una performance attoriale sontuosa, intensa, in grado di contribuire alla nostra immersione nei dialoghi e nei loro sentimenti (persino gesti come mordersi le labbra e alzare un sopracciglio diventano particolari importanti).

Non pensate però che il film sia solo forma, perché di contenuti ce ne sono e anche tanti. I personaggi raccontano sé stessi a causa di un pesante litigio dovuto alla mancanza di attenzione sui dettagli da parte di Malcolm, e Marie glielo fa notare appena rientrati a casa. I dettagli e la soggettività sono i punti chiave della sceneggiatura. Il film non manca di lanciare continue stoccate ad una società pervasa dal politically correct, dalla classificazione di persone (magari in base al colore della pelle o alla nazionalità) e dell’arte (a volte eccessivamente politicizzata), prendendo in esame proprio il mondo del cinema e il suo ruolo. In particolar modo, la colpa viene attribuita al modo spesso elitario e inesatto con cui la critica imbocca il pubblico, travisando l’atto della creazione artistica in sé (“Non drammatizziamo, è solo questione di arte”). Levinson ci suggerisce che l’autenticità sta nel soggettivo, nel modo in cui noi vediamo la realtà e la rappresentiamo con la nostra arte, la nostra storia (l’importante è avere qualcosa dentro di cui sentiamo il bisogno di esternarlo). La prospettiva con cui ci viviamo la vita non può essere ridotta, come premesso dal titolo, al bianco o nero ma esattamente a metà (in cui si trova la soggettività, il particolare). Il regista sta gridando “eleviamoci, smettiamo di ridurre tutto a stereotipi”, perché oramai sembra che non ci siano più segreti, che tutti sappiamo tutto quando invece è proprio il contrario, e dovremmo dare più valore alla bellezza del mistero senza interrogarci troppo. Interessante come questa tematica si leghi alla complessità dell’amore; tutto parte da un dettaglio, o meglio una dimenticanza, ossia il ringraziamento di Malcolm alla propria partner durante il discorso alla première del film (come ha dichiarato il regista, è successo davvero a lui nel 2018, dove alla prima di “Assassination Nation” dimenticò di ringraziare sua moglie che era anche la produttrice). Da lì in avanti, la casa dei protagonisti si trasforma in un ring con scontri all’ultima parola invece che all’ultimo pugno, sottolineando come uno scontro verbale possa essere doloroso quanto o più di uno fisico. Non a caso Malcolm e Marie si diranno cattiverie, anche cose che non pensano l’uno dell’altro, cercheranno di ferirsi in continuazione, e i pochi momenti di quiete non fanno altro che presagire la tempesta perché non riescono veramente ad andare oltre. Ognuno cercherà di averla vinta con le proprie argomentazioni, ma entrambi hanno la loro percezione degli eventi ed entrambi hanno ragione nell’esporle. Ognuno ha i suoi modi, i suoi tic, i suoi difetti: sono personaggi umani con le loro forze e le loro debolezze. Ma il fatto di aver dimenticato una cosa così importante (un “grazie” alla propria partner per il supporto e non solo) è sintomo di una passione finita? E quando termina la passione cosa succede? Si finisce sempre per scadere nella monotonia, nel dare per scontato l’altro? Queste sono le domande da porci dopo la visione del film. Un grande interrogativo sull’amore e sul suo mistero che è impossibile da svelare, ma la sua bellezza sta proprio in questo (anche per l’amore vale il discorso fatto precedentemente sul vano tentativo di ridurre tutto a una classificazione o ad uno stereotipo).

In conclusione, lo spettatore una volta empatizzato con i personaggi e arrivato alla fine, è stato travolto da diverse emozioni dato il realismo dei dialoghi e degli eventi (chi non ha mai avuto una lite o dei discorsi simili a quelli di Malcolm e Marie?), rifletterà sui temi rappresentanti nel film ponendosi non poche domande e cercando di darsi risposte. Una storia semplice ma al contempo complessa, capace di rappresentare l’autenticità dei sentimenti umani racchiuse in una forma elegante e con due splendide interpretazioni. La speranza è che Netflix continui su quest’onda e ci regali altri prodotti di questa fattura.

-Christian D’Avanzo