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Il mistero del Profumo Verde – La recensione del film di Nicolas Pariser

Il mistero del profumo verde, da nelle sale italiane dal 20 luglio scorso, è il nuovo film di Nicolas Pariser, con protagonista la coppia formata da Vincent Lacoste e Sandrine Kiberlain. Le parfum vert – questo il titolo originale – è stato presentato nella cornice festivaliera della Quinzaine des réalisateurs, nel maggio 2022.

Il mistero del Profumo Verde – la trama del nuovo film di Nicolas Pariser, presentato a Cannes 75

Martin (Vincent Lacoste), giovane attore della Comédie-Francaise è testimone sul palcoscenico della morte del suo migliore amico e collega che, prima di esalare l’ultimo respiro, rivela di essere stato assassinato e gli sussurra all’orecchio “il profumo verde”. Martin poco dopo viene rapito dagli assassini, i quali si accertano che lui non sia in possesso di informazioni importanti. Una volta rilasciato, sospettato dalla polizia, incontra Claire (Sandrine Kiberlain), fumettista sulla cinquantina, che lo aiuterà a scoprire la verità.

La recensione de Il mistero del Profumo Verde – una copia sbiadita del modello di thriller hitchcockiano

Di film come Il mistero del profumo verde capita troppo spesso di vederne, non poiché siano brutti, mal diretti, abbiano al loro interno interpretazioni scadenti o difetti che gli facciano meritare una forte antipatia; il problema principale degli audiovisivi cui faccio riferimento (molti si producono oltralpe), è un’anemia di fondo, una mancanza di personalità, un particolare che colpisca positivamente lo spettatore. Un’opera così derivativa, che prende a piene mani da Hitchcock fino a Woody Allen, ma si può tranquillamente parlare di copiare, non solo non ha nulla al proprio interno di originale, ma la materia di partenza, l’universo filmico che si intende omaggiare, è rielaborato piuttosto pigramente.

 

Il mistero del profumo verde racchiude tutti i topoi hitchcockiani: un uomo qualsiasi si ritrova – casualmente – sulla scena di un delitto; l’innocente, ritenuto colpevole, deve fuggire nascondendo la propria identità. Viene poi coinvolto in un complotto che riguarda la sicurezza nazionale: le parti in gioco devono assicurarsi di mettere le mani su di un dispositivo che ha il potere di manipolare le masse attraverso la divulgazione sfrenata di fake news, l’Antracite (non il carbon fossile, n.d.r.). Il MacGuffin del film – ossia l’oggetto, il pretesto narrativo che richiami le azioni dei personaggi – appunto l’Antracite, ha una caratteristica aggiornata al contemporaneo, riguardante la diffusione di notizie false (negli anni Cinquanta e Sessanta spesso trovavamo codici in grado di innescare o disinnescare bombe atomiche come MacGuffin). Il climax narrativo viene raggiunto, infine, durante lo spettacolo della compagnia in Ungheria, in cui tra un attore in scena e uno spettatore avviene un artificioso e assurdo scambio di informazioni (chiaro riferimento a L’uomo che sapeva troppo, ma con tutt’altra efficacia).

Per rimanere su temi rilevanti nel dibattito culturale e politico odierno, la protagonista Claire, di religione ebraica, racconta a Martin del proprio passato e degli anni vissuti nello stato di Israele, di come provasse nostalgia non tanto per la vita in Francia, quanto in Europa. Eppure, questo piccolo monologo esaurisce la sua funzione molto in fretta, dovrebbe forse fornire le motivazioni al personaggio di Kiberlain per le quali sceglie di rischiare la propria vita, ma sembra più inserito a forza, senza una vera ragione. Martin e Claire, nonostante abbiano a che fare con persone molto pericolose, non sembrano mai realmente in pericolo, lo spettatore non li ha granché a cuore, se non per la simpatia e la bravura di Lacoste e Kiberlain, ai quali non si può di certo recriminare nulla.

 

Sono probabilmente film come Il mistero del profumo verde a lasciare maggiormente deluso chi scrive, che in genere cerca di mettere le mani su quanti più possibili titoli provenienti dalla kermesse della Costa Azzurra. Bisogna ammettere che il Festival di Cannes, come la Mostra di Venezia, inseriscono a ogni costo, il maggior numero di produzioni dei rispettivi paesi di provenienza, che non si rivelano all’altezza del loro nome. Con la garanzia che offre la vetrina festivaliera, si vende sicuramente di più.

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