Articolo pubblicato il 5 Agosto 2024 da Giovanni Urgnani
Presentato in anteprima nazionale alla diciottesima edizione del Festival del Cinema di Roma, sezione Alice nella città, distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 1° agosto 2024, prodotto e scritto da Andrea Iervolino mentre dietro la macchina da presa si trova Scott Weintrob; i protagonisti della vicenda sono le star internazionali: Olga Kurylenko (Quantum of Solance) e Harvey Keitel (The Irishman). Ma qual è il risultato di Paradox Effect? Di seguito la trama ufficiale e la recensione del film.
La trama di Paradox Effect, il film di Scott Weintrob
Olga Kurylenko si è fatta notare dal pubblico generalista per la sua partecipazione al secondo capitolo dell’ultima saga di James Bond, interpretato da Daniel Craig, mentre di recente è entrata a far parte del MCU, vestendo i panni del personaggio di Taskmaster in Black Widow (2021). Ora è protagonista di un thriller d’azione ambientato in Italia, affiancata dal candidato all’Oscar Harvey Keitel. Ma di cosa parla Paradox Effect? Di seguito la trama ufficiale del film diretto da Scott Weintrob:
“Bari. Karina, un’ex tossicodipendente, al termine del turno di lavoro serale, diviene testimone di un omicidio. Viene costretta dall’assassino a collaborare con lui alla serie di crimini che dovrà portare a termine per sfuggire al boss malavitoso da cui è minacciato. Le cose si complicano quando la malavita locale prende in ostaggio l’unica persona che significa ancora qualcosa per lei: sua figlia. Per Karina ha inizio una corsa contro il tempo che la porterà a scontrarsi duramente contro la polizia, gli spacciatori, la sua vecchia vita da tossico-dipendente e la malavita criminale.”

La recensione di Paradox Effect, con Olga Kurylenko e Harvey Keitel
Ogni qualvolta l’industria cinematografica d’oltreoceano, da sola o in collaborazione, sbarca sul suolo italiano per realizzare film tipicamente di suo stampo, occorre sempre stringere i denti per la paura di assistere all’ennesima carrellata di stereotipi, più o meno fondati, della cultura italiana, soprattutto del Mezzogiorno, luogo in cui guarda caso è ambientata la vicenda in questione, abbandonando per una volta le meravigliose coste dell’isola di Sicilia per accasarsi in un’altra splendida regione: la Puglia.
Il lungometraggio, scritto e prodotto da Andrea Iervolino, ha l’unico “pregio” di limitare al minimo tali riferimenti sopracitati, cadendo nel ridicolo soltanto una volta, riproponendo un brano di opera lirica come se i boss della malavita contemporanea si fossero fermati anche loro nel secondo dopoguerra, come se la musica italiana non proponesse altro repertorio. Prendendo come spunto proprio il villain della situazione, si può constatare la scarsezza generale del prodotto in questione: il personaggio di Harvey Keitel, guest star di turno, interpreta in maniera enfatica uno dei ruoli per cui si è fatto maggiormente conoscere al grande pubblico nell’arco della sua carriera; non facendo altro che cadere nella caricatura della caricatura, della caricatura, un capo mafia rappresentato seguendo lo stile del gangster movie vecchio stile, in senso negativo, irritante e stucchevole nella sua pomposità.
Come proposta cinematografica commerciale estiva, il prodotto può dirsi un fallimento, ovunque ci si giri non si trova un elemento salvabile o degno d’interesse: a dir poco noioso il modo scialbo in cui si costruisce quello che si dovrebbe definire “intreccio narrativo”; l’apice dovrebbe raggiungersi nelle sequenze più dinamiche, dato che si presenta come film d’azione, ma sono loro ad essere le più anonime e dimenticabili, palesando limiti di budget nella messa in scena, testimoniati in primis dalla carenza numerica delle comparse.
Per compensare quest’aspetto si ricorre all’espediente di un fantomatico speaker radiofonico notturno, di cui presenza serve all’unico scopo di far capire allo spettatore di come la città di Bari sia informata sugli accadimenti; un voice over completamente preimpostato, lineare, per nulla significativo nella sua presenza, comunque coerente nella sua piattezza col ritmo generale della pellicola, dove l’atmosfera adrenalinica lascia spazio ad una sensazione perennemente soporifera e di torpore.