Articolo pubblicato il 4 Giugno 2025 da Matteo Pelli
Di leggende metropolitane Hollywood ne è piena, alcune nel tempo si sono rivelate plausibili mentre altre delle vere e proprie bufale. Nel caso del concepimento di Predator, forse qualcosa di vero, tutto sommato, c’è. Partiamo dal principio: a metà degli anni ’80, Sylvester Stallone era un’autentica star del cinema, i suoi film spopolavano e il successo del franchise di Rocky era riconosciuto in tutto il mondo. Dopo l’uscita di Rocky IV (1985), tra gli addetti ai lavori, si scherzava sul fatto che ormai lo Stallone Italiano avesse sconfitto praticamente chiunque. Dai campioni del mondo dei pesi massimi, ai giganti del wrestling (Hulk Hogan in Rocky III) e persino un’intera nazione rappresentata dal monolitico Ivan Drago. Mancavano giusto gli alieni per fare bingo. Uno spoof che faceva divertire le maestranze dietro le quinte, ma che non passò inosservato ai fratelli Jim e John Thomas, all’epoca sceneggiatori alle prime armi. Grazie al coinvolgimento del produttore Joel Silver (Arma Letale, Matrix) la realizzazione di Predator (chiamato in precedenza Hunter) fu realtà. Il resto, come si suol dire, è storia: nel 1987, per la regia di John McTiernan, venne lanciato sul grande schermo uno dei film più influenti del cinema di fantascienza, con protagonista assoluto l’action hero per eccellenza, Arnold Schwarzenegger. E, ironia della sorte, rivale storico proprio di quel Sylvester Stallone che, grazie al pugilato del suo Rocky, regalò l’idea ai Thomas.
Predator: la caccia come stile di vita
Predator (o Yautja, intesa come razza) è un personaggio che si districa in più ambienti e in diversi contesti storici, dimostrando un’adattabilità fuori dal comune. Che sia una giungla intricata centroamericana, una metropoli devastata dall’afa e dal crimine o le Grandi Pianure del Nord America poco importa, il compito principale del tecnologico alieno è soltanto uno: la caccia e il conseguente collezionismo. Rispetto alla sua controparte xenomorfiana, che attacca per puro istinto, gli Yautja seguono un codice di condotta rigido e, per certi versi, onorevole: non si attaccano gli indifesi, i bambini, le donne gravide e i malati. Solo chi può difendersi diventa una preda perfetta, il che rende Predator un cacciatore decisamente più nobile dell’essere umano, che bracca gli animali per sport. La caccia non viene considerata come un divertimento o un passatempo, bensì è l’equivalente di un rito di passaggio o, il più delle volte, diventa una forma di dimostrazione di valore. Le missioni di caccia seguono una rigorosa preparazione: gli alieni analizzano l’ambiente, adattando le loro strategie di conseguenza. L’uso di armi al plasma, lame retrattili, dispositivi di occultamento e maschere con visori termici rendono gli Yautja degli esseri estremamente pericolosi e difficilmente affrontabili, anche se non impossibili da uccidere. La raccolta dei teschi delle proprie vittime, infine, viene considerato come un simbolo di successo, un vero e proprio trofeo da esporre.
Tuttavia, nel suo essere così ferocemente brutale e metodico, Predator dimostra un’etica e un rispetto per l’avversario senza precedenti. Smascherarsi mostrando le sue spaventose mascelle e spogliarsi delle suo arsenale mette il predatore allo stesso livello della preda. Ne Il Cacciatore di Michael Cimino (1978), Robert De Niro recita come un mantra: “Tu devi contare su un colpo solo, hai soltanto un colpo, il cervo non ha il fucile, deve essere preso con un colpo solo. Altrimenti non è leale.”, un ragionamento che può essere applicato anche allo Yautja che non uccide le sue prede per puro sadismo, ma perché è un atto necessario per la sua cultura. Un leitmotiv che accompagnerà la caratterizzazione della creatura in maniera sempre coerente con se stessa, al netto di una gestione (fin troppo) altalenante del franchise cinematografico.

Predator al cinema: “Ma che razza di mostro sei?”
Non si può parlare di una vera e propria saga su Predator, nonostante ben sette film all’attivo. Certo, il franchise chiacchiera con il personaggio in maniera assidua con riferimenti e rimandi continui, ma a differenza di Alien c’è un elemento che manca: la continuità. Si può parlare, però, di mitologia applicata al cinema: tutti i cacciatori Yautja presenti nei live action presentano gli stessi elementi, con la lore della razza aliena che viene costruita di pari passo alle uscite sul grande schermo. Già a partire dal capostipite del 1987, la figura del Predator viene usata come metafora della natura che si ribella all’uomo, con un ritorno alla tribalità dell’essere umano che diventa sempre più preponderante nel terzo atto. Dutch (Schwarzenegger), dovrà sfruttare l’astuzia e l’intelligenza prima dei suoi possenti muscoli: una dinamica con cui il tattico Yautja va a nozze. Il secondo film diretto da Stephen Hopkins, Predator 2 (1990), invece, cambia completamente il set della riserva di caccia. La giungla diventa d’asfalto rovente, con lo Yautja che sguazza tra i cadaveri dei signori della droga che si danno battaglia per il controllo del territorio. In mezzo a questo bagno di sangue ci si trova il detective Harrigan (Danny Glover), che deve indagare sulle misteriose morti in un clima a dir poco torrido. Un sequel in pieno stile anni ’90, decisamente sopra le righe ma anche maledettamente divertente seppur imperfetto.
Eppure, al netto di due film in tre anni, Predator viene messo in naftalina fino al 2010, anno di uscita del terzo film solista sul personaggio. Predators di Nimrod Antal (Blindato) alza la posta in gioco con più cacciatori Yautja intenti a fare strage delle loro prede, capitanate da un roccioso Adrien Brody. Sette anni dopo fu il turno di The Predator diretto da Shane Black, ma nemmeno in questo caso il cacciatore alieno riuscì a spiccare, nonostante il tentativo di Black (presente anche nel cast del primo film) di svecchiare il franchise con idee nuove, ma anche maledettamente sghembe. Anni dopo, per la precisione nel 2022, ci dovette pensare Dan Trachtenberg (10 Cloverfield Lane) a tirare fuori il coniglio dal cilindro. Prey, prequel spirituale del capostipite di John McTiernan, presenta la storia di una giovane nativa americana che dovrà fare i conti con uno Yautja primitivo ma, paradossalmente, altamente evoluto e (soprattutto) decisamente crudele. I consensi della critica e l’ottima risposta del pubblico, fecero balzare Prey agli onori della cronaca, donando allo stesso tempo una seconda giovinezza al franchise di Predator. Nel frattempo il clamoroso successo del “cugino” xenomorfo con Alien: Romulus (di Fede Alvarez, 2024), spianò definitivamente la strada anche a Predator. L’imminente uscita di Predator: Killer of Killers, film animato in uscita il 6 giugno su Disney+ e la release cinematografica di Predator: Badlands prevista per novembre, hanno dato nuova linfa vitale ad una delle icone sci-fi più importanti di sempre.

Alien vs Predator: uno scontro inevitabile?
Era naturale che due degli alieni più famosi della Settima Arte dovessero incrociare gli artigli, ma ciò avvenne ben prima dell’uscita del film di Paul W.S. Anderson. Alien vs Predator (abbreviato AVP) divenne realtà nei fumetti della Dark Horse Comics, casa fumettistica che deteneva i diritti delle proprietà intellettuali di entrambi i franchise. L’easter egg nel finale di Predator 2, dove si vede un teschio di xenomorfo nella bacheca dei trofei dell’astronave Yautja, fece il resto. Da lì in poi fu un’escalation di fumetti, videogiochi, action figure, giochi da tavolo e che finì per sfociare al cinema in due live action dal gusto decisamente dubbio. Lo scontro tra le due creature, al netto delle differenze biologiche, è del tutto naturale e, perchè no, necessario. I Predator, cultori della caccia, vedono negli xenomorfi degli avversari perfetti. Al contrario gli Alieni creati da Dan O’Bannon agiscono per puro istinto cercando di preservare la loro specie. In tutto questo la solita Weyland-Yutani Corporation resta nel mezzo per cercare di controllare entrambe le razze, diventando complice della solita carneficina ai danni dei poveri umani incastrati in mezzo al conflitto. Nei fumetti della Dark Horse Comics l’universo narrativo di entrambe le razze viene esplorato ulteriormente: troviamo guerre tra clan Yautja (con i disonorevoli Bad Bloods dipinti come villains), complotti capitalistici che vanno a discapito della vita umana, esperimenti genetici di ibridazione tra Predator e xenomorfi, regine Aliene usate come incubatrici dagli Yautja, coltivando gli xeno per poi successivamente cacciarli per dimostrare il proprio valore. Tematiche forti e potenzialmente accattivanti che, purtroppo, vengono solamente sfiorate nei due (brutti) crossover cinematografici del 2004 e 2007. Vedremo se in futuro Disney riuscirà nell’ardua impresa di proporre un nuovo scontro tra le due razze, nel frattempo il motto “se può essere ferito, può essere ucciso” può rimanere tranquillamente nel cassetto: Predator è tornato e non è mai stato così in salute.