Articolo pubblicato il 14 Maggio 2025 da Vittorio Pigini
Dopo che l’anno cinematografico è stato inaugurato anche dal Wolf Man di Leigh Whannell, ecco che l’8 maggio 2025 nelle sale italiane arriva Werewolves. Si tratta del nuovo film horror diretto dal regista statunitense Steven C. Miller, noto principalmente per lavori indipendenti nel campo dei c.d. B-movie. Questo nuovo titolo con protagonisti lupi mannari, accostato per soggetto e dinamiche alla saga di The Purge – La notte del giudizio, vede nel cast l’attore e produttore Frank Grillo. Ecco di seguito la recensione di Werewolves, il nuovo film horror di Steven C. Miller.
La trama di Werewolves, il film horror con Frank Grillo
Su sceneggiatura di Matthew Kennedy, il film horror-action Werewolves è stato accostato in Patria alla saga di The Purge – La notte del giudizio nata nel 2013 per la regia di James DeMonaco. La sinossi ufficiale del nuovo film di Steven C. Miller infatti recita:
“Un anno fa la luna si è avvicinata pericolosamente alla Terra: un evento di Superluna che ha innescato un gene latente in ogni essere umano sul pianeta, trasformando tutti in Lupi Mannari per una notte. Ne segue il caos e quasi un milione di vittime. Ora l’evento di Superluna è tornato e due scienziati cercano di fermare la terribile mutazione e salvare il genere umano. Qualcosa non andrà per il verso giusto.“

La recensione di Werewolves: costumi, muscoli e pallottole
Werewolves è il 12° lungometraggio diretto dal regista statunitense Steven C. Miller, che nel corso della sua decennale carriera ha sempre rincorso un certo tipo di cinema. Horror sì, Azione sì, ma la bussola del cinema di Miller resta puntata verso gli onorevoli film c.d. di Serie B (ripetendo il senso “onorevole” del termine), non coinvolgendo solo l’aspetto economico indipendente della produzione, ma anche e soprattutto una certa impronta stilistica. Silent Night del 2012 resta sicuramente il suo lavoro più riuscito in tal senso, un livello mai più raggiunto nel corso degli anni, con il suo nuovo film al chiaro di luna che non interrompe sicuramente questa scia fallimentare.
Della saga di La notte del giudizio si accennava precedentemente, ma in Werewolves l’aspetto politico e sociale viene completamente azzerato riaffermando, come appena detto, una linea produttiva coerente e senza troppe maschere. Emblematica in tal senso la risposta, già nell’incipit, del personaggio interpretato da Lou Diamond Phillips, con quel <<Lasci stare, pensiamo al da farsi>> riferito ad un’ipotetica giornalista, la quale prova ad ipotizzare qualche nesso intelligente e strutturale al fenomeno della Superluna. Nessuna causa da ricondurre al cambiamento climatico, alla cultura alimentare, a discorsi demografici, venendo completamente eliminato anche un minimo di intimità ed il fascino della figura del licantropo. Werewolves è e vuole essere una semplice sparatoria con Lupi Mannari, muscoli e pallottole.
Nessun orrore, nessuna tensione, ma solo ed esclusivamente action puro e muscolare in pieno stile a stelle e strisce (almeno quel target di riferimento ben specifico). Quello della “bandiera” è poi un fattore che torna fastidiosamente troppo spesso durante la visione militarista, con il film che – sebbene sia del 2024 – risulta particolarmente inserito all’interno del secondo mandato di Trump. <<La mia casa è un luogo sacro, devo proteggere me stessa e coloro che amo ad ogni costo. Io sono una combattente, io sono forte, sono piena di risorse. Io mi piego ma non mi spezzo.>>. Non è il rito di qualche radicale di estrema destra sparso per le steppe del Texas (ovviamente non solo americano ma facendo i conti anche con il nostro Paese, al suon di “se entri in casa mia sappi che ne puoi uscire steso”), ma sono i preparativi per il personaggio di Ilfenesh Hadera all’home-invasion.
Questo è solo uno dei molteplici esempi di una sceneggiatura (?) che non fa sconti da nessun punto di vista, tanto nei dialoghi improponibili quanto nelle dinamiche anche “cartoonesche”. Nonostante sia dichiaratamente lontano da alti intenti, Werewolves non presenta un minimo di ironia che non sia involontaria, per uno spettacolo su schermo che – eccezion fatta qualche rarissima sequenza – non riesce mai ad intrattenere e divertire, anzi. I tre porcellini ed il lupo cattivo dunque, con gli addetti ai lavori che si sono dimenticati i mattoni e lasciando che il film crollasse con un semplice soffio.
“Asylum” degli anni ’80 fuori tempo massimo
Uno spettacolo più demoralizzante che di cattivo gusto, non avendo né la cattiveria a sufficienza sul lato orrore/tensione/splatter e né il coraggio necessario per rendere la visione completamente anarchica. La pesantezza di personaggi e rapporti tra loro, completamente forzati, non può che condurre dunque ad una perdita di tempo (nell’arco di appena 94′), con la messa in scena che sicuramente non offre una mano. Completamente fuori scala la colonna sonora dei Newton Brothers che non indovinano le vibes adeguate, alquanto inespressiva (se non dannosa) la fotografia di Brandon Cox, il montaggio spezzatino permette solo al caos di regnare sovrano nella scena. Ma in un’operazione fallimentare di questo tipo, si prova sempre a cercare qualche luce di speranza.
Oltre alla linea produttiva/artistica esplicitamente portata su schermo senza troppi artifici, da lodare anche l’impegno sulla costruzione delle creature protagoniste. In un periodo storico dove qualsiasi cosa si presta ai favori dell’IA ed il fantasy viene creato a pc per ogni occasione, non è scontato l’apporto analogico in un film di questo tipo. Nel corso degli ultimi anni si sono intraviste su schermo trasformazioni mannaresche davvero oscene, mentre quelle di Werewolves offrono qualche soddisfazione, specialmente tenendo conto della premessa del precedente paragrafo (il Mannaro punk anche no dai).
Le creature mostruose (più che veri Lupi Mannari a questo punto) acquistano dunque il peso di effettivi protagonisti del film, con le controparti umane che – a parte i pettorali scolpiti di Frank Grillo – non riescono a lasciare una minima impronta nella visione. A tal proposito, Werewolves presenta anche un finale davvero improponibile, non soltanto per la presenza di qualsiasi cliché possibile, ma soprattutto per l’evitabilissimo spot di intimo in primo piano.