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Baby Reindeer ha svelato un gravissimo problema di noi consumatori

È un grandissimo successo internazionale, che però presenta una controparte molto pericolosa: Baby Reindeer ha svelato un gravissimo problema di noi consumatori fin dal suo arrivo su Netflix.
Baby Reindeer ha svelato un gravissimo problema di noi consumatori

Di casi mediatici ne osserviamo spesso, soprattutto se presentano dei contatti con il mondo dell’arte e si avvalgono di quella forma di contaminazione multi-target, in grado di attirare spettatori, ascoltatori o – più in generale – consumatori di declinazioni differenti. È il caso di quei prodotti che presentano una formula standard, o che rispondono a logiche in grado di stimolare l’attenzione di più destinatari; che, cioè, vanno oltre l’arte e diventano anche (e soltanto) bene di consumo. Baby Reindeer ne fa inevitabilmente parte, ma ciò non costituisce di per sé un problema poiché l’arte è, prima di ogni altra cosa, un esercizio di stimolazione del profitto attraverso forme e formule differenti. La bellezza di una serie che si avvale di più piani di lettura, però, è stata velocemente e violentemente rovinata da un approccio incredibilmente lesivo di noi consumatori, che abbiamo distrutto il fenomeno Richard Gadd risolvendolo in un macabro fatto di gossip.

L’incapacità di cogliere oltre il letterale

Quando Dante presentava una delle prime stesure della sua Commedia, premetteva che l’opera avrebbe avuto importanti stratificazioni e che i livelli di approccio all’opera sarebbero stati molteplici: soffermarsi solo sull’analisi letterale degli espedienti narrativi raffrontati avrebbe permesso un’analisi dello stile e della portata tematica dell’opera, ma un’interpretazione totale sarebbe stata resa possibile soltanto dalla capacità di cogliere più elementi di natura retorica e, addirittura, anagogica. Quando Baby Reindeer è sbarcata su Netflix catturando immediatamente lo spettatore, il motivo del suo successo è stato evidentemente – anche perché premeditato – letterale: la tendenza true crime degli ultimi anni ha cambiato le attenzioni di visione del consumatore e Netflix si è resa promotrice di un surplus consumistico di serie, docuserie, film e documentari del tutto pregni di questa materia.

Anzi, ha fatto addirittura di più, cambiando le regole narrative di prodotti come Black Mirror (nella sesta stagione c’è un episodio che è totalmente true crime) o spettacolarizzando figure come Jeffrey Dahmer con la serie – poi antologica – Mostro con Evan Peters. Dal documentario alla fiction, il fattor comune del consumatore è diventato quello della ricerca, del collegamento e dell’unione di pezzi di un puzzle: di fatto, quel proposito tanto noto di creare prodotti interattivi che ha portato Netflix a fallire con film come Bandersnatch si è poi riqualificato in un’altra forma, dialogando con lo spettatore con un’estetica totalmente differente. Appare lapalissiano sottolineare che Baby Reindeer non sia una serie crime ma l’evidenza di fatti realmente accaduti che vengono riportati nella serie, tra l’altro con lo stesso comico nelle vesti di attore, ha risvegliato quella morbosità consumistica e quasi acritica del consumatore, che immediatamente sembra essersi dimenticato di quel che sta(va) guardando; oltre il letterale, dove in Baby Reindeer c’è molto, si è andati sempre più raramente.

No, Baby Reindeer non è La mascella di Caino

La comunicazione artistica è inevitabilmente cambiata negli ultimi anni e il fenomeno del prosuming ne è causa integrante: il consumatore non accetta più, da un bel po’ di tempo, di essere passivo destinatario dell’informazione e partecipa attivamente alla sua creazione; di fatto, l’opera d’arte viene sempre più scomposta e best seller come La mascella di Caino, che richiede di sminuzzare, spezzettare e ricostruire l’opera fino a giungere alla soluzione, ne sono il grande esempio. Baby Reindeer, però, non sembra essere stato creato con questa finalità e per Richard Gadd non c’era l’idea di aizzare le folle affinché si ricercassero – nella vita vera – la reale Martha o Teri. Ma noi consumatori abbiamo agito per logiche differenti, di fatto dimenticando – o semplicemente ignorando – quel sotto-testo fatto di disagio, sofferenza e depressione di Richard Gadd/Donny e relegandolo a elemento marginale nella serie, almeno rispetto alla ricerca ossessiva della “verità”.

Sui social, allora, si moltiplicano affermazioni come “forse è Richard Gadd il vero cattivo di Baby Reindeer”: in un certo senso, assumendo che cattivo sia una semplificazione di un universo molto più ampio di significazioni (anche il concetto di villain a tutti i costi è, in effetti, una riduzione a consumo dell’arte contemporanea), si può dire che in effetti lo è. Ma è lo stesso comico e attore a dircelo in Baby Reindeer: basterebbe il solo discorso realizzato nell’episodio più importante della serie per riclassificare la gerarchia delle importanze e dei temi che vogliono essere sottoposti allo spettatore. Lo stalking, insomma, è l’ultimo tassello di interesse rispetto a molestie, vita e condotta depressiva, autodistruzione di sé e costante atteggiamento lesivo nei confronti della propria esistenza: Richard Gadd è un cattivo, sì, semplicemente perché si lascia andare ad un evidente deturpamento di se stesso e sembra non essere mai in grado di fermarlo (o di volerlo fermare). Cosa c’è, allora, dietro quella spasmodica ossessione del consumatore? Non tanto una ricerca della verità, poiché in fondo la serie dice e smentisce allo stesso tempo quella che è la storia del comico, quanto più un bisogno di dare corpo al consumo, renderlo ancor più esauriente e completo: lo spettatore che dubita e va oltre, costruendo la sua stessa storia a suon di like, immagini prese dal web, collegamenti estetici.

È una deriva molto pericolosa, neanche tanto per un motivo di privacy o di motivi affini, quanto per quello spietato atteggiamento di conquista degli spazi di noi consumatori: è un confine che sembra essere sempre meno labile tra arte e sua destinazione, che il destinatario intende superare sempre più imponendo le sue regole, formalizzando i suoi ragionamenti e costruendo la sua stessa fiction. Un problema che, nella sua immediata conseguenza, potrebbe portare serie come Baby Reindeer a non esistere più ma che, ragionando più a lungo termine, potrebbe anche determinare la distruzione irreversibile di un certo tipo di arte.