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Povere creature: citazioni, riferimenti e ispirazioni del film di Lanthimos

Il nuovo film di Yorgos Lanthimos vive in una dimensione di complessità che si può tentare di cogliere solo in virtù di uno studio approfondito.
La nuova cornice, adottata su proposta del Consiglio universitario nazionale (CUN) e che ha ricevuto il parere positivo delle commissioni parlamentari, consentirà alle Università di promuovere la creazione di percorsi di laurea interdisciplinari, riducendo i vincoli relativi ai crediti formativi da assegnare ai vari ambiti disciplinari, e consentendo così la costruzione di percorsi maggiormente innovativi. Si tratta di un primo importante contributo al superamento della visione fondata sui programmi di studio vincolati da un sistema di crediti formativi basato su settori disciplinari circoscritti, prediligendo un ampliamento degli stessi e l’interdisciplinarietà dei corsi di studio.

Si fa (molto) presto a dire che Povere creature di Yorgos Lanthimos sia una versione punk di Barbie e che riesca in tutto ciò che il film di Greta Gerwig non è stato in grado di comunicare allo spettatore. A ben vedere – trattandosi di un racconto sì favolistico e fantastico nella sua struttura, ma anche iperfemminista nella presentazione della sua tematica – si tratta di visioni tutt’altro che erronee, ma che non dicono tutto dell’universo narrativo e immaginifico del film. Prima (o dopo, a seconda dello sguardo che si vuole avere) di essere un film, Povere creature è un’opera d’arte totale, che si pone al centro di un discorso artistico, letterario, immaginifico e visionario che affonda le sue radici nella concezione del costume ottocentesco e si eredita fino ad oggi, nelle formule del riuso della tradizione postmoderna. Un film che abbonda, inevitabilmente, di citazioni, riferimenti e ispirazioni, che proviamo a cogliere di seguito a partire dalla decostruzione di tale opera.

I riferimenti dichiarati di Yorgos Lanthimos per Povere creature

Vincitore del Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia 2023, Povere creature costituisce l’adattamento dell’omonimo romanzo di Alasdair Gray, del 1992, che a sua volta proponeva una riattualizzazione satirica dell’epopea di Frankenstein. Il processo creativo di Yorgos Lanthimos non si esaurisce, però, a tale riferimento letterario, con il regista greco che ha avuto massima libertà nel dar vita a tutte le immagini concepite. L’autore di The Lobster e La Favorita ha spiegato di aver lavorato a Povere creature avendo in mente alcuni riferimenti ben precisi: Bella di giorno di Luis Bunuel, il cinema felliniano e Dracula di Bram Stocker.

Che si tratta di dichiarazioni che causano stupore, anche per la scelta di non citare lo scontato Frankenstein, non c’è dubbio, ma è possibile offrire un motivo del perché di tali selezioni: Bella di giorno, che ha vinto anch’esso un Leone d’Oro al Festival di Venezia e che destò scandalo in tutto il mondo, provocando anche una reazione piuttosto importante della censura, racconta di Séverine Sérezy, donna di un medico ospedaliero che decide di affrontare il distacco che vive nei confronti del marito con il sesso. Scegliendo la prostituzione nei bordelli di Parigi, per indursi a provare piacere, la donna tenta così di venire a contatto con la propria identità sessuale e corporale, praticando una forma di psicanalisi corporea che la porti a superare la frigidità; la Bella Baxter di Yorgos Lanthimos è il frutto di un cervello di pochissimi anni che si trova in un corpo quasi trentenne e che, benché abbia già conosciuto il sesso nella propria vita passata (nel libro di Alasdair Gray si racconta con molta cura dell’ira provata da Duncan Wedderburn nello scoprire della deflorazione di Bella, credendola vergine), non ne ha memoria. Il modo in cui il personaggio interpretato da Emma Stone vive il sesso, dunque, è maggiormente inconsapevole – almeno in un primo momento – rispetto alle intenzioni di Séverine, ma assume comunque una funzione identitaria: il rapporto sessuale assume, dunque, la forma del completamento di se stessi e della propria dimensione corporale e mentale, tanto da portare Bella a sperimentare il lavoro nel bordello per giungere ad un grado completo e pieno di conoscenza di se stessa.

Il cinema felliniano costituisce la base da cui il film muove i suoi passi in termini di ricerca identitaria e configurazione del sociale: le diverse civiltà europee (e non solo) rappresentate da Lanthimos sono appena tratteggiate, immergendo lo spettatore e il suo sguardo entro le medesime coordinate della protagonista, ma si lascia comunque spazio affinché la definizione umana possa risultare memorabile per lo spettatore; gli uomini di Lanthimos sono tutti cinici, egoisti e schiavi del proprio egocentrismo, con un’esaltazione del femminile che deriva non tanto da una precisa volontà del regista di creare un confronto uomo-donna, quanto più da un rapporto che si genera naturalmente all’interno della pellicola, come da caratteristica tipica anche del cinema di Federico Fellini. Vi si aggiunge, naturalmente, anche un desiderio di mostrare l’atto del vagabondaggio come estremamente formativo per la protagonista: la crescita di Bella è non soltanto fisica (poiché il suo corpo impone al cervello di invecchiare a ritmi molto più accelerati rispetto alla norma), ma anche psicologica: lo si comprende dalla differente funzione del parlato, dal cambiamento dei costumi – di seguito un cenno -, dalla maggiore consapevolezza del personaggio e dalle differenti rappresentazioni del circostante. È piuttosto interessante, in tal senso, leggere anche le parole che Willem Dafoe ha utilizzato, nella sua conferenza stampa italiana per la presentazione del film, per descrivere il tema principale della pellicola: «Nel film viene mostrata la superiorità femminile a livello di resistenza sessuale rispetto agli uomini e questa probabilmente è una delle ragioni per le quali il genere maschile ha fatto di tutto per tenere le donne sottomesse per così tanto tempo». Di Dracula di Bram Stocker Lanthimos riprende naturalmente le atmosfere vittoriane, che sono rappresentate all’interno del film con estrema dovizia.

Le citazioni di Povere creature ad altri film

Fondamentalmente, il rimando principale di Povere creature è a Frankenstein, la celebre opera che dapprima il riferimento letterario di Alasdair Gray, poi il film decidono di omaggiare. L’indizio principale di tale operazione risiede nel personaggio di Godwin Baxter, l’unico del quale nel film si lasciano volutamente – e abbondanti – cicatrici, quasi a voler trasferire, sul volto dello stesso dottore, la fisionomia del mostro e ibridando (così come il corpo di Bella si unisce al cervello del suo nascituro) così i due volti del mostro e del suo creatore; Godwin è, non a caso, il cognome di Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin e creatrice del primo romanzo di fantascienza gotico della storia: Frankenstein: or, The Modern Prometheus. In un tentativo di avvicinare storie e tradizioni che vengono condensate nella risultante di Povere creature, a veder bene, si potrebbe risalire anche a Mary Wollstonecraft, madre della Shelley, che storicamente viene considerata l’anticipatrice e la creatrice del primo movimento femminista della storia: Bella, che è la più moderna della immagini del Prometeo, è allora figlia di un incontro tra la letteratura ottocentesca e l’arte surrealista che da essa si è sviluppata, mediata – naturalmente – dalla vena satirica di Alasdair Grey.

A proposito di letteratura, è impossibile non citare il lavoro di composizione dello stesso Alasdair Grey, che arricchisce il suo romanzo di note, didascalie e riferimenti ad altri lavori che sono palesemente fittizi o della cui attendibilità si è a lungo discusso. L’intero lavoro, a suo dire, muove i suoi passi dalla scoperta di un volume (evidentemente falso) suo e di due amici, Michael Donnelly ed Elspeth King, che avevano scoperto un manoscritto appartenente al medico Archibald McCandless: un libro di memorie all’interno del quale lo scienziato raccontava – in maniera distorta – della sua vita con Bella Baxter, salvo poi essere smentito dalla stessa donna, che dichiarava come il medico avesse inventato tutto per effetto del carattere gotico del tempo. La necessità e la volontà di credere e di immergersi nel fantastico sono effetto anche del film di Lanthimos: Shona Heath, una dei due scenografi del film, ha parlato della volontà del regista greco di costruire dei set che ricreassero – principalmente in miniatura – le città visitate dai personaggi, affinché però fossero rimpiccioliti e distorti seguendo la percezione dell’occhio dello spettatore, da cui deriva anche l’evoluzione da bianco e nero a colore e l’utilizzo reiterato del fish-eye. Ancora, a proposito di quanto si diceva precedentemente: da un lato la narrazione colorita e fantastica di McCandless, dall’altro la cruda verità di Bella Baxter, in ultima analisi il sottolivello storiografico che Gray tenta di restituire allo spettatore ricreando il più evidente dei falsi d’autore.

Lo scrittore scozzese intitola l’ultimo capitolo del manoscritto originale: “Lettore, lei mi ha sposato”, in un rovesciamento del “Lettore, io l’ho sposato” presente in Jane Eyre. Nell’opera di Charlotte Brönte, probabilmente il riferimento letterario più importante per libro e film di Povere creature, il sottofondo è il medesimo: l’età vittoriana che reprime e soggioga la donna, la quale ha il solo desiderio di esprimere se stessa attraverso l’affermazione (in questo caso anche) della propria passione. Che Alasdair Gray abbia voluto creare diversi sotto-testi, allora, è certamente chiaro, ma nel tentativo globalizzante dell’autore la tematica femminista non è preminente, rispetto ad un tentativo di soggiogare il lettore che sarà poi consapevole di scegliere la sua rotta: l’opera di Lanthimos contribuisce alla restituzione del fantastico e dell’iperfemminista allo stesso tempo, aggiungendo dove il romanzo originale difettava e arricchendo, specie nella rappresentazione della donna, di contenuto tale tematica.

Iconograficamente parlando, Povere creature però è anche il cinema che si apre al suo sguardo, omaggiando un altro grande capolavoro della sua storia: La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock. Nel film di Lanthimos vi è, più che una voglia di obnubilare il passato, una (ri)scoperta dello stesso: Bella crede alla storia che le viene raccontata da Godwin – e non avrebbe motivo di non farlo – così come ascolta, osserva e percepisce sulla base di quegli insegnamenti di nuova vita che ottiene nell’atto della rinascita. Del suo corpo non cambia nulla – addirittura il suo accento è lo stesso, di Manchester, poiché il suo organismo conserva la memoria muscolare del passato -, mentre la mente è assimilabile a quella di una “ritardata” (come la definisce McCandless nel primo confronto con Godwin), che però progredisce con risultati straordinari: la riconquista del passato diventa la riconquista dell’essenza per Bella Baxter, che può conoscere e dunque – definitivamente – evolvere fin oltre l’ostacolo della privazione dell’apprensivo padre. Con Frankenhooker, una commedia degli anni ’90, si chiude la scia dei riferimenti: nella commedia di Frank Henenlotter uno scienziato ubriaco decide di rianimare la sua ragazza uccisa da un tosaerba ma, a causa di un intervento tutt’altro che illuminato, la sua ragazza inizierà ad amare corporalmente ogni uomo fino alla morte. Molte delle espressioni e delle pose assunte da Emma Stone all’interno del film, soprattutto nella sua dimensione puramente corporea, costituiscono un riferimento al film del 1990.

I costumi di Poor Things e l’opera di Holly Waddington

L’idea di creare nuova vita attraverso la dimensione del corpo che si disallinea rispetto a quella della mente è stata richiesta, da Yorgos Lanthimos, anche in sede di creazione dei costumi. Il tutto è stato affidato ad Holly Waddington, che ha spiegato quali siano state le ispirazioni e gli antecedenti, nel mondo dell’arte, che hanno comportato la nascita del Bella Style, ovvero del complesso di costumi che Emma Stone ha indossato all’interno del film. In termini generici, si parla di costumi che traggono ispirazione dalla concezione dell’età vittoriana, ma che vengono arricchiti da un tocco di contemporaneità, specie per alcuni modelli che servono a comunicare lo stato psicologico della protagonista. Sulla base di biancheria intima degli anni ’30 e di camicette color carne, si individua un pezzo raro, la manica a sbuffo, in questa forma utilizzato soltanto in una brevissima parentesi storica di fine ‘800. Come spiegato dalla costumista: “C’è stata una brevissima finestra nel 1890 in cui le donne indossavano queste maniche enormi e, quando abbiamo iniziato a girare, le dimensioni delle maniche bloccavano le angolazioni della telecamera. Davano una sensazione di potere, erano come polmoni pieni di respiro e di aria che accendevano e rianimavano Bella”.

Con la disposizione e il colore della camicetta Lanthimos ha deciso di ricreare l’immagine di una vagina, come da leitmotiv del film che – in molti dei suoi punti – inserisce forme falliche e vaginali; si tratta non soltanto di uno stimolo visivo per lo spettatore, ma anche di una rottura rispetto alla rigida formalità delle vesti dell’epoca, che vengono così arricchite di orli e pieghe affinché perdano l’aura di essenzialità che tentava di restituire alla donna pudicizia e chiusura del corpo. L’utilizzo di tessuti e materiali, spesso piume o perline, serve invece a far vivere maggiormente l’abito, affinché segua lo stesso stato di evoluzione della mente di Bella: si parte con una disposizione piuttosto indisciplinata, prima di giungere – man mano – ad un costante equilibrio formale all’interno del film. Ovviamente, anche i momenti precisi della pellicola vengono richiamati dall’uso dei costumi: se l’inizio è in bianco e nero e spoglio in termini di utilizzo della costumistica (una fase che si potrebbe definire embrionale), con l’evolversi della dimensione circostante Bella finisce per indossare il cappotto-profilattico, un lattice che la ricopre e che assume il colore del preservativo in età vittoriana, soprattutto nel periodo di Parigi. La restante parte del vestiario si eredita da tradizioni differenti: il costume nero della fase universitaria tende a comunicare l’effetto paradossale di corpo celato/scoperto, trattandosi di un vestito nero ma che lascia la gamba nuda, mentre gli stivali in pelle bianca sono propri degli anni ’60 e dei modelli di André Courrèges e Pierre Cardin.

La colonna sonora di Jerskin Fendrix

Si conclude con la colonna sonora di Jerskin Fendrix, che completa idealmente il lavoro costruttivo di Povere creature e che è stata commissionata, al polistrumentista inglese, prima che le riprese del film potessero iniziare: il 95% delle tracce era stato già completato da Fendrix che ha dichiarato di godere di una grande libertà creativa, attraverso alcuni indirizzi che ritornano nelle manifestazioni musicali presenti all’interno del film. A seguito di un inizio impetuoso dominato principalmente dargli archi, in crescendo fino al tema di Bella/Victoria, la colonna sonora si arricchisce di manifestazioni sub-urbane e aderenti ai canoni della musica pop, di cui Fendrix è estremo conoscitore come da formazione. Nel suo Winterreise, del 2020, l’inglese aveva già dimostrato una grande padronanza della cultura pop, con brani come Onigiri, in cui si rifaceva alla tendenza strumentale del k-pop riportata in elettronica. Il techo-pop di Fendrix è stato, poi, di grande ispirazione nei movimenti attuali della musica londinese e, tra gli altri, il compositore ha collaborato anche con una band molto in voga negli ultimi anni, i black midi.

La colonna sonora di Povere creature è stata realizzata – spiega Fendrix – come il lavoro di God, un chirurgo: le tracce sono state concepite separatamente prima di essere successivamente sezionate e ricucite nella dimensione definitiva della soundtrack, volta ad esaltare psicologicamente la figura di Bella. Mai una traccia pulita, dunque, dal momento che l’identità della protagonista è costantemente mutevole e oggetto di inquietudine nei confronti del circostante: in tal senso è importante notare la funzione degli archi, che tendono a simulare l’effetto di un grido da parte della protagonista (che sia esso di spavento o dettato dall’orgasmo); una curiosità finale è la presenza in cameo di Fendrix all’interno del film, nella scena di danza di Bella e Duncan, in cui il compositore veste i panni di uno dei musicisti.