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Paola Cortellesi arriva sul New York Times: una rinascita per il cinema italiano al femminile?

Il successo di C’è ancora domani sta superando i confini nazionali e, a confermarlo, è stato l’articolo pubblicato sul New York Times sul fenomeno che ha investito i cinema italiani.
Paola Cortellesi sul New York Times: una rinascita del cinema femminile

L’omicidio di Giulia Cecchettin ha avuto un eco che in pochi si sarebbero aspettati. La scomparsa (e la morte) della giovane studentessa a pochi giorni dalla sua laurea ha risvegliato gli animi su un tema, come quello del femminicidio, che in Italia è sempre al centro del dibattito pubblico. La violenza di genere è attuale e il modo in cui, nelle ultime settimane è ritornata al centro dell’attenzione grazie alle parole della famiglia di Giulia e alle tantissime manifestazioni in piazza che si sono tenute il 25 novembre per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ha dato alla questione la rilevanza che merita. In un paese come l’Italia, ancora profondamente legato alle logiche del patriarcato di inizio ‘900, è necessario qualcuno che “alzi la voce” attraverso i media per raccontare sentimenti, sensazioni e paure che non tutte le donne sono ancora pronte per urlare a pieni polmoni. A prendersi la responsabilità di questa missione è stata Paola Cortellesi che grazie a C’è ancora domani, sua opera prima che continua a macinare record su record al botteghino, è riuscita a portare questa denuncia tutta femminile addirittura sulle pagine del New York Times.

Paola Cortellesi, tutti i numeri di C’è ancora domani

Parlare di Paola Cortellesi come una semplice comica sembra molto riduttivo. Al momento rimane una delle poche attrici italiane capaci di cambiare registro con enorme facilità, passando dal comico al drammatico, fino ad arrivare anche, in certi casi, al fantasy. Nel corso della sua carriera, Paola Cortellesi le ha “provate” tutte riuscendo ad ottenere risultati impensabili anche da regista, alla sua opera prima, entrata di diritto nella top 10 degli incassi più alti della storia del cinema italiano e conquistando il secondo posto (superando Oppenheimer di Christopher Nolan) come film che ha prodotto i maggiori introiti in Italia nel 2023. Arrivato nelle sale alla fine di ottobre, si ha quasi l’impressione che C’è ancora domani sia uscito nel posto giusto al momento giusto per diventare un manifesto di temi che, in questo momento, sono necessari da raccontare. Dopo aver sfondato il tetto dei 27 milioni di dollari (un vero e proprio miracolo in Italia), il film non è solo un grande successo del cinema italiano sul fronte dei guadagni ma, soprattutto, per la rinnovata attenzione nei confronti delle registe. La Cortellesi, con la sua fama di attrice passata dietro la macchina da presa è diventata un ottimo modo per puntare l’obiettivo verso una categoria, quella delle “cineaste”, che molto spesso viene messa in un angolo rispetto ai colleghi uomini.

Paola Cortellesi sul New York Times: una rinascita del cinema femminile

Paola Cortellesi al New York Times: «Molte cose sono rimaste le stesse»

L’articolo pubblicato dal New York Times ha analizzato non solo i motivi del successo del film, in rapporto all’atmosfera che attualmente si respira in Italia ma anche come, le differenze di genere, siano qualcosa di ancora profondamente radicato nella cultura nazionale. “Ho voluto realizzare un film contemporaneo ambientato nel passato, perché penso che purtroppo molte cose siano rimaste le stesse. Naturalmente ci sono stati dei progressi, sono cambiati i diritti, sono cambiate le leggi, ma non del tutto, non nella mentalità” ha raccontato la Cortellesi nel corso dell’intervista. C’è ancora domani è una pellicola che può avere tante letture. Quella più inflazionata riguarda, ovviamente, il racconto moderno e contemporaneo che fa della violenza di genere nonostante la pellicola sia ambientata subito dopo la Seconda guerra mondiale. L’analisi meno affrontata ma che in un paese come il nostro è fondamentale riguarda, invece, come C’è ancora domani sia diventato un “canalizzatore d’attenzione” nei confronti del cinema fatto da donne.

Nonostante sia un problema generalizzato anche ad Hollywood, dall’altra parte dell’oceano, periodicamente, arrivano registe in grado di far sentire la propria voce (Kathryn Bigelow, Greta Gerwig, Jane Campion, Sofia Coppola) mentre, in Italia si continua a faticare. Il nostro paese, che è stato culla di figure femminili leggendarie del mondo della regia come Lina Wertmuller e Liliana Cavani, nel corso degli anni ha visto questa “spinta” tutta femminile spegnersi gradualmente o, almeno, ridursi di intensità. La maggior parte dei titoli diretti da donne che salgono agli onori della cronaca sono esordi alla regia di attrici già famose che decidono di cimentarsi dietro la macchina da presa, proprio come nel caso della Cortellesi. Negli ultimi anni abbiamo visto interpreti come Kasia Smutniak (con MUR), Valeria Golino (con Miele), Micaela Ramazzotti (con Felicità) e Margherita Buy (con Volare) arrivare alla regia con esordi più o meno di successo. L’elemento particolare, però, è che si parla sempre di “attrici” prestate alla regia e mai di donne la cui occupazione principale è “fare la regista”. Il successo avuto dal film della Cortellesi, che a differenza di altre colleghe attrici ha dimostrato di avere una “visione” da autrice, potrebbe aver aperto un faro necessario sull’importanza delle donne dietro la macchina di presa e sulla storia di tantissime artiste che in Italia non hanno mai ottenuto un riconoscimento pari a quello dei colleghi uomini.

L’Italia delle registe: il talento di Alice Rohrwacher e la freschezza di Giulia Steigerwalt

Uno degli esempi più eclatanti dell’ultimo periodo è sicuramente Alice Rohrwacher, arrivata al cinema a fine novembre con il suo ultimo lungometraggio La Chimera, largamente acclamato da pubblico e critica. Dopo l’esordio nel 2011 con Corpo Celeste, la Rohrwacher ha realizzato solo grandi film capaci di esplorare tematiche complesse e profonde. La realizzazione di una vera e propria trilogia basata sull’esplorazione del passato con Le meraviglie (2014), Lazzaro Felice (2018) e La Chimera, conferma quanto la regista abbia sulle spalle un bagaglio artistico, tematico e poetico che pochi registi italiani al momento sono in grado di permettersi. La distribuzione delle sue pellicole non l’aiuta in alcun modo a raggiungere in grande pubblico. Nonostante ne La Chimera sia presente il classico “star appeal” che tanti distributori cercano (la presenta della stella inglese di The Crown Josh O’Connor nei panni del protagonista) sembra che in Italia, da parte delle case di produzione e di tutta la filiera cinematografica, ci sia ben poco interesse a promuovere questo tipo di prodotti che poi, periodicamente, si confermano essere dei grandissimi film in grado di ottenere il riconoscimento tanto atteso solo con il passare del tempo. Il riscontro ottenuto lo scorso anno dalla critica internazionale per il suo cortometraggio Le Pupille (candidato agli Oscar) e le ottime recensioni raccolte per La Chimera stanno diventato un passo importante per dare ad Alice Rohrwacher lo status da grande regista che merita.

Paola Cortellesi sul New York Times: una rinascita del cinema femminile

Se nel corso della sua carriera l’autrice e regista di Lazzaro Felice ha ottenuto un minimo di visibilità anche per il modo in cui è stata apprezzata a livello internazionale, ancor più complessa è la situazione di Giulia Steigerwalt. Dopo l’esordio come attrice nel 1999 con Gabriele Muccino, ha ricoperto ruoli più o meno importanti in alcuni film, decidendo poi di passare solo nel 2013 alla sceneggiatura. È lì che si è rivelato il suo vero talento. Nel corso di pochi anni ha firmato la scrittura di ottime commedie come Moglie e Marito e Croce e Delizia, entrambe con la regia di Simone Godano. Il passaggio alla regia arriva solo nel 2022 con Settembre, sua opera prima che l’ha vista trionfare ai David di Donatello come miglior regista esordiente. Anche in questo caso, si parla di una regista sconosciuta al grande pubblico che, nel suo primo film, mal distribuito e tenuto in considerazione ancor meno dalle grandi sale, ha confermato, oltre che di essere un’autrice con una propria visione cinematografica precisa, una scrittrice capace di raccontare storie che attingono dalla modernità e, in particolare, da esperienze di cui tutti potrebbero essere protagonisti.  La speranza è che il riscontro avuto da Paola Cortellesi con C’è ancora domani possa essere una luce (o ancor di più un faro) in grado di far aprire gli occhi ai produttori e ai distributori e far capire che, il sostegno alle donne non passa solo attraverso film che raccontano il tema ma anche sostenendo, attraverso i fondi e la distribuzione in sala, tanti talenti che meritano di avere, al pari di altri colleghi, il proprio posto al sole.