SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: Fog
Genere: Horror, Thriller
Anno: 1980
Durata: 93′
Regia: John Carpenter
Sceneggiatura: John Carpenter, Debra Hill
Cast: Jamie Lee Curtis, Janet Leigh, Hal Holbrook, Tom Atkins, Adrienne Barbeau, Nancy Kyes
Fotografia: Dean Cundey
Montaggio: Charles Bornstein, Tommy Lee Wallace
Colonna Sonora: John Carpenter
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
L’incipit di Fog, il quarto lavoro cinematografico di John Carpenter, ha radici in un male che si risveglia per un solo motivo: la vendetta. Eppure la nebbia nasconde tante altre insidie, ecco quali nella recensione di Fog, film del 1980 con Jamie Lee Curtis, Janet Leigh e Hal Holbrook.
La trama di Fog, diretto da John Carpenter
Di seguito la trama di Fog, quarto lavoro del regista di Halloween – La notte delle streghe:
“21 aprile 1980: la popolazione di Antonio Bay è in procinto di festeggiare il centenario di fondazione della città quando, a mezzanotte in punto, iniziano ad accadere strani fatti, come fenomeni di poltergeist, di elettromagnetismo e lo sterminio raccapricciante dell’intero equipaggio di un peschereccio dopo essere stato completamente avvolto dalla uno strano banco di nebbia. La notte stessa il prete della città, Padre Malone (Hal Holbrook), scopre, celato in una parete della sua chiesa, un diario nel quale suo nonno ha confessato un fatto tenuto segreto agli attuali abitanti di Antonio Bay. Il diario rivela che, nel 1880, i sei fondatori della città avevano fatto intenzionalmente affondare la Elizabeth Dane, un veliero guidato da un tale di nome Blake, su cui viaggiava un gruppo di lebbrosi che volevano stabilirsi in una colonia vicino a Antonio Bay. Per realizzare il loro intento, i sei avevano attirato la nave verso un gruppo di scogli usando un fuoco di bivacco come segnale guida ingannevole, mentre sulla zona gravava una fitta nebbia. A cento anni di distanza, la nebbia assassina è tornata, portando con sé i fantasmi dell’equipaggio del veliero e quelli dei lebbrosi ingiustamente uccisi.”
La recensione di Fog: i fantasmi secondo Carpenter
Un anziano signore racconta una storia spaventosa a dei bambini attorno ad un falò. I bimbi, affascinati dalle parole del vecchio, ascoltano con interesse mentre l’uomo espone i fatti di una narrazione che ha dell’incredibile. John Carpenter sfrutta l’allegoria della storiella usata per far rabbrividire i più piccoli (dove il vecchio narratore è lui e i bambini sono gli spettatori) per raccontare l’orrore puro di una ghost story tetra e lugubre. Realizzato con il solito budget risicato (solo un milione e mezzo di dollari), il regista di Halloween scrive, insieme a Debra Hill, la sceneggiatura del suo quarto film ispirandosi ai grandi scrittori dell’horror gotico di metà ‘800, in particolar modo ad Edgar Allan Poe. I versi del poeta e scrittore di Boston, in apertura del film, da questo punto di vista sono esplicativi: “Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo, non è che un sogno dentro a un sogno“, Carpenter fa suo il concetto stesso di incubo portando in scena un horror magnetico e non convenzionale, in novanta minuti di tensione dove la paura la fa da padrona. Esattamente come nei suoi precedenti lavori, Carpenter non usa la scorciatoia dello splatter e del gore per spaventare il pubblico; al contrario, stupisce lo spettatore con espedienti visivi e narrativi che richiamano la suspense del thriller vecchio stile piuttosto che dell’horror puro e semplice. Niente jumpscare telefonati, niente sangue a fiumi, ma solamente giochi di luci ed ombre: con un setting quasi completamente notturno, Carpenter sfrutta lo stratagemma della nebbia per mascherare gli spettri del film (truccati con un ottimo look piratesco) in modo da poter creare la giusta atmosfera per terrorizzare i protagonisti dell’opera, completamente inermi davanti ad una minaccia apparentemente intangibile ma maledettamente concreta nella sua crudeltà.
A salire in cattedra, difatti, è il comparto attoriale: Jamie Lee Curtis, ad esempio, torna in un ruolo ben più pacato rispetto alla sua precedente collaborazione con Carpenter. L’attrice premio Oscar, sebbene sia accreditata come protagonista, in realtà risulta solamente una buona spalla per degli interpreti di tutto rispetto come Adrienne Barbeau e Tom Atkins; il motore trainante di Fog, difatti, è il lavoro collettivo degli attori, una squadra ben assortita di caratteristi e veterani (con una splendida Janet Leigh a spiccare su tutti) che riesce, nel suo insieme, ad essere la forza vincente di un film somigliante più ad un’opera teatrale che ad un lungometraggio. A mettere la ciliegina sulla torta ci pensa il buon Carpenter, con una messa in scena minimale ma inquietante allo stesso tempo. Il cineasta americano, anche in un horror di stampo ectoplasmatico come questo, non risparmia un certo tipo di critica sociale: la Chiesa, intesa come istituzione, viene vista dal regista-sceneggiatore come avida e senza scrupoli, decisa a tutti i costi di far prevalere il suo dominio allungando i suoi artigli sul vile denaro anche a scapito delle vite di un’intera nave, tutto in nome di una finta benevolenza per la comunità di Antonio Bay. Un punto di vista interessante che in realtà viene solamente abbozzato da Carpenter e da Hill, che si concentrano più sulla figura paurosa degli spettri nebbiosi, accantonando per buona parte della durata i reali motivi di stampo vendicativo per cui i mostri tornano in vita.
Fog, un horror breve ma intenso
In definitiva, Fog è un “vorrei ma non posso”: la durata troppo scarna fa prendere il volo agli eventi in maniera troppo sbrigativa e fa a cazzotti con una sceneggiatura che non brilla per originalità, nonostante le buone premesse degli autori. Una mezz’ora in più avrebbe giovato all’economia di un prodotto comunque convincente per tanti motivi: a partire dal cast ben assortito, passando per le atmosfere tenebrose di natura ottocentesca che ben si amalgamano in un soggetto evocativo e potente nella messa in scena. Carpenter, col suo quarto lavoro, forse non gira il suo film migliore ma rimane sul pezzo grazie ad un horror più che discreto che, al netto dei difetti, non sente il peso dei suoi quarantatre anni d’età.