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I migliori film sul mondo del pugilato

I migliori film sul mondo del pugilato

La boxe, conosciuta anche come “Nobile Arte”, è uno degli sport più antichi del mondo, una disciplina che affonda le proprie radici nell’Antica Grecia e che continua tutt’oggi ad essere una delle competizioni più seguite di sempre. Il mondo della celluloide è coinvolto più che mai nella realizzazioni di opere cinematografiche dedicate allo sport di combattimento per eccellenza: quando la Settima Arte incontra la Nobile Arte il risultato non può che essere esplosivo. Ecco la lista dei migliori film ambientati nel mondo del pugilato, tutti rigorosamente in ordine cronologico d’uscita.

Lassù qualcuno mi ama (Robert Wise, 1956)

Thomas Rocco Barbella (Paul Newman), detto Rocky, è un giovane italoamericano figlio di un ex pugile fallito, che vive di piccoli furti ed è poco incline alle regole. Dopo una bravata con la sua gang, Rocky viene arrestato ed in prigione fa la conoscenza di Frankie Peppo, un detenuto ex manager di boxe. Dopo aver scontato la pena con una piccola parentesi nell’esercito (dove avrà altri problemi disciplinari), Rocky contatta Peppo nel tentativo di avere gli agganci giusti per entrare ufficialmente nel mondo del pugilato.

 

Il biopic (romanzato) del vero Rocky Graziano viene trasposto sul grande schermo da uno dei registi più importanti del secolo scorso, uno spaccato di vita urbana di un pugile scontroso ed irriverente magistralmente interpretato da un giovane Paul Newman, subentrato a James Dean dopo la morte di quest’ultimo nel 1955. Robert Wise mette in scena un melodramma sportivo che sa di redenzione dove la boxe viene rappresentata come un’ancora di salvezza, una valvola di sfogo per sfuggire ad una vita fatta di crimine ed immoralità. L’autore di Ultimatum alla Terra, ben sessantasette anni fa, firmava uno dei suoi capolavori assoluti in un film maledettamente veritiero nella sua schiettezza, una pellicola che fa da apripista a tutti i film sul pugilato dell’epoca moderna.

Rocky (John G. Avildsen, 1976)

Rocky Balboa (Sylvester Stallone) è un pugile di bassa lega che per sbarcare il lunario riscuote i debiti per conto di uno strozzino. L’occasione della vita gli bussa alla porta quando Apollo Creed (Carl Weathers), campione del mondo dei pesi massimi, decide di organizzare l’incontro per il titolo sfidando un pugile sconosciuto, scegliendo Rocky per via del suo soprannome: lo Stallone Italiano. Inizialmente riluttante, Rocky accetta per dimostrare a se stesso di non essere solamente un bullo di periferia.

 

Scritto ed interpretato da Sylvester Stallone, Rocky è la storia della rivincita personale di un emarginato che sfrutta una chance più unica che rara, una storia di rivalsa e di puro american dream che si rifà parecchio alla vita personale del protagonista principale. Il regista John G. Avildsen sfrutta lo script di Stallone per fotograre uno spaccato di vita metropolitana in una Philadelphia periferica, col mondo della boxe a fare da sfondo ad una vicenda umana fatta di ottime interpretazioni al servizio di una grande storia. Rocky frutterà a Stallone due nomination all’Oscar (miglior attore e miglior sceneggiatore), lanciando definitivamente la stella dell’attore italoamericano nell’Olimpo di Hollywood e dando vita ad una fortunata saga con cinque sequel più tre spin-off.

Toro scatenato (Martin Scorsese, 1980)

New York, anni ’40. Jake LaMotta (Robert De Niro) è un pugile italoamericano che ambisce al titolo dei pesi medi. Dal carattere violento, paranoico e brusco, LaMotta sfoga le sue frustrazioni sul quadrato dove viene soprannominato “il toro del Bronx” proprio per la brutalità con cui affronta gli incontri. Allenato dal fratello Joey (Joe Pesci), Jake subirà una parabola discendente che lo porterà ben presto ad avere problemi con la legge.


Girato quasi totalmente in bianco e nero, Toro Scatenato è riconosciuto universalmente come uno dei capolavori immortali di Martin Scorsese. Ispirato dall’autobiografia del vero Jake LaMotta, adattata sul grande schermo da Paul Schrader (sceneggiatore di Taxi Driver), Scorsese gira un ritratto violento ed autodistruttivo di uno sportivo truce e rabbioso non solo sul ring ma anche (e soprattutto) nella vita di tutti i giorni, contestualizzato nell’ambiente di un pugilato corrotto dai vertici mafiosi degli anni ’40. Scorsese regala ai posteri uno dei film più importanti della storia del cinema, con una delle interpretazioni più intense del grande Robert De Niro, premiato con l’Oscar al miglior attore protagonista.

Bomber (Michele Lupo, 1982)

Bud Graziani (Bud Spencer) è un marinaio senza lavoro che si arrovella come può per tirare a campare. Dal carattere buono e dotato di un destro micidiale, Graziani è in realtà un ex astro del pugilato caduto in disgrazia conosciuto nell’ambiente col nome di “Bomber”. La vasta conoscenza della boxe permette a Jerry (Jerry Calà) di avvicinare Bud nel tentativo di convincerlo ad allenare uno dei suoi (scarsi) pugili per l’imminente match contro un boxer americano allenato da Rosco Dunn, un bieco sergente dell’esercito dedito a loschi affari. Durante una rissa in un locale, Bomber nota Giorgio Desideri, detto Giorgione, un ragazzo napoletano disinteressato allo sport (ma dal pugno d’acciaio) che potrebbe fare al caso suo.

 

Grandi mangiate, botte da orbi e tante risate con una spruzzata di buoni sentimenti: il cinema di Bud Spencer (al secolo Carlo Pedersoli) si è sempre contraddistinto per questi elementi con film divertenti e spensierati, sia nella sua carriera da solista che in coppia con l’amico di sempre Terence Hill. Bomber sposta il setting nel mondo del pugilato senza però discostarsi più di tanto dagli stilemi narrativi tanto cari all’indimenticabile gigante napoletano. La presenza di Jerry Calà nel cast, qui al suo secondo film ed autentico comic relief dell’opera, impreziosisce una pellicola divertente e di cuore, girata con mestiere dall’esperto regista siciliano Michele Lupo

Hurricane – Il grido dell’innocenza (Norman Jewison, 1999)

America, Anni ’60. Rubin Carter (Denzel Washington), soprannominato “Hurricane” per la furia con cui stende gli avversari, è un pugile afroamericano che ambisce a vincere la corona dei pesi medi. Dopo aver perso l’incontro per il titolo, Carter viene ingiustamente accusato di triplice omicidio e condannato a ben tre ergastoli. Durante la detenzione, Rubin scrive la sua autobiografia incontrando l’interesse di un ragazzo di Brooklyn che, leggendo il libro, si rivede molto nella vicenda personale del pugile. Dopo un fitto scambio di lettere, il giovane decide di agire per cercare di dimostrare l’assoluta innocenza di Carter.

 

Hurricane – Il grido dell’innocenza è la perfetta diapositiva di uno dei periodi più oscuri della storia americana, una storia che mise alla gogna un uomo che venne condannato esclusivamente per il colore della sua pelle. Il film di Norman Jewison, tramite una toccante interpretazione di Denzel Washington, mette in risalto i difetti di un sistema giudiziario americano, con il microcosmo del pugilato usato come pretesto per narrare una storia commovente e decisamente accattivante.

Alì (Michael Mann, 2001)

La vera storia di uno dei pesi massimi più forti ed importanti della storia del pugilato. La vita di Cassius Clay (Will Smith) raccontata da un Michael Mann in splendida forma:  dalla vittoria contro Sonny Liston all’amicizia con Malcom X (Mario Van Peebles), passando per la conversione all’Islam assumendo il nome di Mohammed Alì, al rifiuto di combattere la guerra in Vietnam fino all’incontro del secolo contro George Foreman a Kinshasa, nello Zaire. Mann descrive dieci anni di vita dell’ex campione in tre atti distinti, senza tralasciare nessun minimo dettaglio: girato completamente in digitale, il regista di Heat e Collateral racconta, tramite lo sguardo di un formidabile Will Smith nel ruolo della vita, il momento storico di un’America devastata dai suoi conflitti interni in uno dei film biografici più importanti degli ultimi trent’anni.

Undisputed (Walter Hill, 2002)

Subito dopo la condanna per violenza carnale, il campione dei pesi massimi George “Iceman” Chambers (Ving Rhames) viene trasferito nel penitenziario di Sweetwater, situato nel deserto del Mojave, dove  si tengono incontri di pugilato clandestini nei quali Monroe Hutchen (Wesley Snipes), incarcerato per omicidio, è il campione imbattuto da ben dieci anni. Iceman, egocentrico e violento, inizia ad istigare Monroe per dimostrare di essere l’unico vero fuoriclasse presente nel carcere. Vedendo questo, un anziano boss mafioso appassionato di pugilato organizza un incontro tra i due detenuti con lo stile della boxe ottocentesca: niente arbitro, niente guantoni, niente regole.

 

Ispirato alla leggenda metropolitana secondo la quale Mike Tyson, incarcerato con l’accusa di stupro nel 1992, incrociò i guantoni contro un detenuto in un incontro illegale, Undisputed è un ritratto machista della vita carceraria fatta di sfide, testosterone e lotta per la sopravvivenza. Impreziosito dalla presenza di caratteristi del calibro di Michael Rooker, Wes Studi e Peter Falk, l’indimenticato tenente Colombo della tv, Snipes e Rhames si danno battaglia in uno scontro all’ultimo sangue in un film sporco e ruvido, sapientemente girato da un Walter Hill in stato di grazia.

Million Dollar Baby (Clint Eastwood, 2004)

Los Angeles, primi anni 2000. Frankie Dunn (Clint Eastwood) è un anziano manager di boxe che ha passato la vita in una palestra, prima come pugile e poi come allenatore. A causa del suo carattere burbero e schivo, Frankie non ha amici eccetto Scrap (Morgan Freeman), un ex pugile di colore rimasto cieco ad un occhio per via di un pugno preso sul ring. La routine di Frankie è destinata a cambiare quando nella sua vita entra Maggie (Hillary Swank), una cameriera di 31 anni decisa a diventare pugile professionista nonostante la tarda età. Dopo un iniziale rifiuto, Frankie decide di allenare Maggie prendendola sotto la sua ala protettrice.

 

Million Dollar Baby, diretto ed interpretato da Clint Eastwood, è considerato all’unanimità come uno dei migliori film del cineasta americano. Eastwood, con la consueta delicatezza, descrive la determinazione di una ragazza pronta a tutto pur di inseguire il suo sogno: riuscire a sollevarsi dalla mediocrità di una vita quotidiana fatta di stenti e di povertà. Sullo sfondo della boxe femminile, l’ex ispettore Callaghan dirige un sogno sportivo che lentamente si trasforma in un incubo reale e tangibile: con un cambio drastico di rotta, Eastwood dirige uno dei film più toccanti della sua vasta e variegata carriera.

Cinderella Man – Una ragione per combattere (Ron Howard, 2005)

Ispirato alla vera storia di Jim Braddock, Cinderella Man (soprannome con il quale Braddock veniva chiamato) narra le vicende di un giovane pugile irlandese che si trova costretto a ritirarsi dopo essersi più volte fratturato la mano destra. Costretto a lavori di fatica durante il periodo della grande depressione americana (fine anni ’20)  per mantenere la famiglia, Braddock torna a combattere nonostante le reticenze del suo manager (interpretato da Paul Giamatti) e di sua moglie Mae (Renée Zellweger). Ron Howard dirige un Russell Crowe in odore di Oscar in un film biografico ambientato durante uno dei periodi più tragici della storia americana. Un’opera che racconta le speranze di un uomo che non rinuncia al desiderio di lottare per far uscire la sua famiglia da una condizione di povertà estrema, in una storia di rivalsa sportiva ben orchestrata da un regista sempre a suo agio nel gestire storie particolarmente umane.

The Fighter (David O. Russell, 2010)

Micky Ward (Mark Wahlberg) è un pugile irlandese che ambisce al titolo dei pesi leggeri, tuttavia la sua scalata verso il successo viene ripetutamente ostacolata dalla presenza della madre manager (Melissa Leo) e dal fratellastro Dicky (Christian Bale), ex promessa del pugilato divenuto tossicodipendente. L’eccessiva presenza dei familiari, invadente ed eccessiva, si rivela deleteria per Micky, sarà la conoscenza della barista Charlene (Amy Adams) a far aprire gli occhi a Ward sulla sua famiglia.

 

Un cast stellare (Christian Bale premiato con l’Oscar al miglior attore protagonista, Melissa Leo Oscar per la migliore attrice non protagonista) per un film biografico autentico e sincero. David O. Russell gestisce i tempi di un’opera che fa della realismo della messa in scena il suo marchio di fabbrica: The Fighter è una pellicola che parla di tossicità, non solo intesa come l’abuso di sostanze stupefacenti ma anche (e soprattutto) per la mancanza di un certo tipo di tranquillità a livello mentale che viene meno, un elemento che dovrebbe essere fondamentale per la vita di qualsiasi sportivo.

Real Steel (Shawn Levy, 2011)

In un futuro prossimo, i robot vengono usati per combattere negli incontri di boxe al posto degli esseri umani. Charlie (Hugh Jackman), ex pugile, è ormai costretto ad allenare i robot per cercare di racimolare qualche soldo e, suo malgrado, deve badare al figlio Max con il quale non ha nessun tipo di rapporto. Nonostante un primo difficile periodo di adattamento, il ragazzo aiuta il padre nella ricerca di alcuni pezzi di ricambio in una discarica: insieme troveranno Atom, un vecchio robot d’allenamento ridotto molto male. Inaspettatamente, Atom si rivela un pugile ben più promettente del previsto: Charlie e Max, grazie alle gesta del vecchio robot, si ritrovano a scalare i vertici delle classifiche arrivando a sfidare il campione in carica, il terribile Zeus.

 

Ispirato ad un racconto di Richard Matheson, Real Steel stravolge gli standard della boxe in un film di fantascienza che, nonostante il tono sci-fi, si rifà a classici del genere come Rocky. Ed esattamente come nel film con Sylvester Stallone, la pellicola di Shawn Levy (regista di Una notte al museo, Free Guy e l’imminente Deadpool 3) mette al centro dell’attenzione la rivalsa di un emarginato che trova in un vecchio pugile di latta l’occasione per una svolta. Real Steel, seppur non originalissimo nel concetto, trova delle basi solide per la costruzione di una storia fatta di buoni sentimenti, sullo sfondo di un contesto fantascientifico originale e divertente.