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Recensione – Kafka a Teheran, film iraniano presentato in anteprima a Cannes76

Uno dei film più interessanti e discussi di Cannes76 arriva in Italia: Kafka a Teheran.
Il nuovo film diretto da Ali Asgari ed Alireza Khatami, Kafka a Teheran

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Kafka a Teheran 
Genere: Drammatico
Anno: 2023
Durata: 77′
Regia: Ali Asgari, Alireza Khatami
Sceneggiatura: Ali Asgari, Alireza Khatami
Cast: Majid Salehi, Gohar Kheirandish, Farzin Mohades, Sadar Asgari, Hossein Soleimani, Faezeh Rad, Bahram Ark, Sarvin Zabetian, Arghavan Shabani, Ardeshir Kazemi
Fotografia: Adib Sobhani
Montaggio: Ehsan Vaseghi
Paese di produzione: Iran, Lussemburgo

La recensione di Kafka a Teheran (Terrestrial Verses), film diretto da Ali Asgari e Alireza Khatami, presentato in anteprima nella sezione Un Certain Regard della 76esima edizione del Festival di Cannes e distribuito nelle sale italiane grazie ad Academy Two a partire dal 5 ottobre. Di seguito, ecco trama e recensione del film.

La trama di Kafka a Teheran, il film di Ali Asgari e Alireza Khatami presentato al Festival di Cannes

Prima di addentrarsi nell’analisi e nella recensione del film, è bene chiarire da subito di cosa parla e qual è la sua trama: Kafka a Teheran (Terrestrial Verses) è un film ad episodi diretto dai registi iraniani Ali Asgari e Alireza Khatami. Con questa suddivisione, l’opera segue la quotidianità di persone comuni di diversa età ed estrazione sociale, che devono vedersela con questioni tra le più disparate, religiose piuttosto che culturali o istituzionali. Si tratta dunque di un ritratto della complessa società iraniana dove però, come dimostrato dai suoi protagonisti, c’è ancora chi ha voglia di combattere e di non sottostare al regime e ad una società che li opprime. 

La recensione di Kafka a Teheran, film diretto da Ali Asgari e Alireza Khatami

La recensione di Kafka a Teheran: Ali Asgari, Alireza Khatami e la resistenza iraniana

Se c’è una cosa che questo 2023 ci ha insegnato – e ribadito – è che il cinema iraniano è tra i migliori e più vivi di tutto il mondo. Film come Leila e i suoi Fratelli di Saeed Roustayi, Holy Spider di Ali Abbasi o Tatami di Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi – i primi due del 2022 ma distribuiti da noi solo quest’anno, il terzo uno dei migliori titoli di tutta Venezia80, ancora in attesa di una distribuzione ufficiale in Italia – hanno dimostrato come ci siano però persone che non hanno intenzione di sottostare ad un governo e regime come quello iraniano e che, dato il loro grande amore per la propria terra e la loro posizione di artisti, hanno deciso di scommettere tutto sul cinema e le storie che volevano raccontare, per uscire dal confine nazionale e parlare a tutto il mondo di quello che succede ormai da anni in Iran. Persone, ancor prima che artisti, che hanno seguito l’eredità di grandi autori del passato e del presente come Abbas Kiarostami, Asghar Farhadi, Mohammad Rasoulof o Jafar Panahi e che, pur di realizzare le proprie opere, hanno lavorato clandestinamente, di nascosto, mettendo a repentaglio molto più del loro lavoro: basti pensare al caso di Saeed Roustayi, ma anche a quello che è successo ad Ali Asgari, regista – insieme ad Alireza Khatami – di questo Kafka a Teheran.

 

Di rientro dal 76esimo Festival di Cannes – dove aveva presentato in anteprima nella sezione Un Certain Regard Kafka a Teheran – gli è infatti stato confiscato il passaporto e gli è stato proibito di realizzare film fino a nuovo ordine. Nonostante l’attenzione che i più importanti festival cinematografici del mondo ripone in questi artisti infatti, in Iran la situazione è a dir poco instabile e loro stanno pagando a caro prezzo le loro scelte. Scelte da loro prese con la consapevolezza dei rischi che avrebbero corso, realizzando dunque queste opere mossi dalla necessità d’espressione e denuncia di una realtà inaccettabile e di cui tutto il mondo deve essere a conoscenza. È proprio al Festival di Cannes del 2017 che Asgari conobbe Alireza Khatami, che gli parlò di come il Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico avesse bloccato poco prima delle riprese il suo ultimo progetto. I due decidono così di collaborare, in due settimane scrivono una sceneggiatura e, una volta conclusa, iniziano immediatamente a girare per evitare di dover attendere un’autorizzazione che, probabilmente, non sarebbe mai arrivata. Per il loro film si ispirano al classico genere “di dibattito” della poesia persiana, da cui deriva anche il titolo: Kafka a Teheran è infatti la sola – e discutibile – traduzione italiana, perché il titolo originale, Terrestrial Verses, non è solamente più bello, ma è anche il titolo omonimo dell’opera cui si ispira maggiormente, ovvero Versetti Terrestri della poetessa Forough Farrokhzad.

 

Il film è diviso in 12 episodi dal sapore neorealista, piani sequenza in cui la macchina da presa non è altro che un occhio che osserva, quasi come in un Grande Fratello orwelliano, che viene rappresentato alle volte come uno specchio, alle volte come un amico, alle volte invece come qualcuno che ci giudica. Non c’è improvvisazione, solo il racconto di una realtà inaccettabile, dove c’è un sistema che controlla ogni aspetto della vita dei cittadini e li giudica, li sanziona, li condanna se non seguono la retta via, o almeno quella che ovviamente loro considerano tale. Le 12 storie non raccontano altro se non avvenimenti accaduti davvero a parenti, amici o conoscenti, situazioni che si sono davvero verificate e che non possono rimanere nascoste ed impunite. Nonostante la macchina da presa non si muova, Ali Asgari e Alireza Khatami riescono a raccontarci tanto anche con il solo fuori campo, che alle volte diventa più importante di ciò che si trova davanti l’obiettivo proprio perché si tratta di un qualcosa che non vediamo, invisibile, buio ma che va percepito e compreso per poterlo affrontare. Questo è stato possibile in primis grazie al lavoro di scrittura dei due registi che, nella sua semplicità, riesce ad essere impattante e raggiungere il proprio obiettivo, ovvero rendere lo spettatore consapevole. Non è un caso che il film si apra con il sorgere del sole con una panoramica di Teheran e si conclude con un terremoto, scelta che può essere interpretata sia come estremamente pessimista per il futuro della città e del paese ma, volendo, anche come il terremoto generato da artisti e uomini come loro che non hanno intenzione di rimanere in silenzio e che finirà per scuotere la nazione intera. Si tratta dunque dell’ennesimo film iraniano di estrema intelligenza ed importanza, che probabilmente non regge il confronto con i titoli sopracitati ma che di certo non si preoccupa di piacere più o meno di un’altra opera, soprattutto quando l’obiettivo è il medesimo: resistere.

Voto:
3.5/5
Alessio Minorenti
3.5/5
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Data di rilascio:
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