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Recensione – Manhunter – Frammenti di un Omicidio: Michael Mann e l’arte della sottrazione

Manhunter di Michael Mann è il film in cui appare per la prima volta la figura di Hannibal. Cult o film da dimenticare?
Il film Manhunter, diretto da Michael Mann nel 1986

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Manhunter – Frammenti di un Omicidio
Genere: Thriller, drammatico, giallo, poliziesco
Anno: 1986
Durata: 119 min
Regia: Michael Mann
Sceneggiatura: Michael Mann
Cast: William Petersen, Brian Cox, Tom Noonan, Kim Greist, Joan Allen, Dennis Farina
Fotografia: Dante Spinotti
Montaggio: Dov Hoening
Colonna Sonora: The Reds, Michel Rubini
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

La retrospettiva sul cinema di Michael Mann continua con la recensione di Manhunter – Frammenti di un Omicidio, film diretto da Michael Mann nel 1986 ed in cui appare, per la prima volta nella storia del cinema, il personaggio di Hannibal Lecktor. Di seguito, ecco trama e recensione del film. 

La trama di Manhunter – Frammenti di un Omicidio, il terzo lungometraggio di Michael Mann

Come per ogni articolo, prima di passare alla recensione ed analisi dell’opera, è importante capire di cosa si sta parlando, spendendo due parole sulla trama del film. Manhunter – Frammenti di un Omicidio segue la storia dell’ex agente dell’FBI Will Graham che, dopo aver fatto arrestare Hannibal Lecktor – che viene mostrato al cinema per la prima volta proprio in questo film – torna a lavorare su un caso per aiutare un amico, ma si tratterà di un caso che lo investirà completamente, mettendolo a dura prova sia da un punto di vista fisico che mentale e che lo spingerà a chiedere aiuto proprio ad Hannibal. Si tratta del caso del Dragone Rosso, ovvero Red Dragon, dal titolo dell’opera di Thomas Harris.

Manhunter, film diretto da Michael Mann nel 1986

La recensione di Manhunter – Frammenti di un Omicidio, diretto da Michael Mann

È il 1986 e Michael Mann non è ancora il regista che conosciamo oggi, ma una nuova leva che, dopo tanto lavoro in tv e due soli film all’attivo come Strade Violente e La Fortezza – tre, se consideriamo anche La Corsa di Jericho – aveva ancora tutto da dimostrare, nonostante ci fossero già stati ottimi segnali dal mezzo capolavoro con protagonista James Caan. Mann sforna un lavoro dopo l’altro, è uno stakanovista e, dopo aver lavorato per circa tre anni su una sceneggiatura nata a partire dal romanzo Red Dragon di Thomas Harris, il progetto inizia a vedere la luce. Non sarà però Red Dragon il titolo del film – lo sarà invece per il pessimo remake di Ratner del 2002 – per questioni di scaramanzia tutte italiane visto che Dino De Laurentiis, produttore del film, non voleva rimandi al flop dell’anno precedente ottenuto con L’anno del Dragone di Michael Cimino: si opta dunque per un altro titolo, forse fin troppo distaccato dall’opera di Harris ma che si rivelerà perfetto: Manhunter (in Italia Manhunter – Frammenti di un Omicidio, perché ci piace sempre spiegare grossolanamente le cose).

 

Oltre a Dino De Laurentiis, un’altra figura paradossalmente decisiva per il destino e la storia di questo film è quella di William Friedkin. Lo è innanzitutto perché pare che Michael Mann abbia scelto come suo protagonista William Petersen dopo aver visto il capolavoro Vivere e Morire a Los Angeles, rimanendone talmente colpito da decidere di cucirgli intorno il ruolo di Will Graham senza pensarci due volte. Ma lo è anche perché Mann farà causa allo stesso Friedkin per plagio, perché proprio il film di quest’ultimo del 1985, secondo il regista di Chicago, sarebbe una copia di alcuni episodi ed idee presenti in Miami Vice, la serie tv prodotta da Mann a partire dal 1984 e di cui, nel 2006, trarrà un film con Jaime Foxx e Colin Farrell protagonisti. In ogni caso, Manhunter inizia a prendere vita e lo fa in pieno stile Michael Mann, ovvero a partire dallo studio. Per realizzarlo infatti, Michael Mann chiede aiuto ad esperti del settore come agenti FBI, criminologi, psichiatri e, per non farsi mancare nulla, anche di un serial killer come Dennis Wayne Wallace: in questo senso, meraviglioso l’aneddoto a lui legato secondo cui Michael Mann inserì all’interno della colonna sonora il brano In-A-Gadda-Da-Vida degli Iron Butterfly proprio perché amato da Wallace, tra l’altro in una delle scene più iconiche e pazzesche del film. 

 

È il 1986 e Manhunter esce nelle sale. Gli incassi sono scarsi, la critica lo bolla immediatamente e, come ci insegna la storia del cinema, questo può significare una sola cosa: è un capolavoro. Ce ne sono voluti di anni per comprenderlo, ma Manhunter è un film fondamentale, il capostipite di un filone crime che è esploso tra gli anni ’90 e 2000 e che è fortissimo ancora oggi. È il primo film che mostra al cinema Hannibal Lecktor – con gli anni diventerà Lecter – e che si pone quasi come antitesi del film che uscirà nel 1991, ovvero Il Silenzio degli Innocenti di Jonathan Demme, dove Hannibal sarà interpretato da un Anthony Hopkins meraviglioso nella sua esplosione di violenza. Antitesi perché l’Hannibal di un sontuoso Brian Cox è invece l’opposto, un personaggio metodico che sembra reprimere i suoi istinti, lavorando di sottrazione. Il concetto di sottrazione sembra essere proprio la chiave del personaggio, se non di tutto il film e l’esempio perfetto sono proprio i momenti con Lecktor: poche scene, pochi oggetti di scena, quasi sempre da solo in una stanza completamente bianca, dove recita perlopiù attaccato alla cornetta di un telefono per la. Ma è l’intero film a lavorare di sottrazione, a limitarsi a fare ciò che serve fare, ma facendolo alla perfezione. D’altronde, è questo il filo sottile che divide un film qualunque da una grande opera autoriale. Nel 1986 tutti pensarono si trattasse del solito film thriller ma oggi, per fortuna, tutti conoscono Manhunter per il capolavoro che è. Meglio tardi che mai.

Voto:
5/5
Christian D'Avanzo
5/5
Riccardo Marchese
4/5
Matteo Pelli
5/5
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