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Recensione – The Bear 2: la serie TV di Cristopher Storer su Disney Plus

Recensione - The Bear 2: la serie TV di Cristopher Storer su Disney Plus

SCHEDA DELLA SERIE

Titolo della serie: The Bear 2
Genere: Commedia, drammatico
Anno: 2023
Durata: 30-63 minuti
Regia: Cristopher Storer
Sceneggiatura: Christopher Storer, Karen Joseph Adcock, Sofya Levitsky-Weitz, Alexander O’Keefe
Cast: Jeremy Allen White, Amo Edebiry, Ebon Moss Bachrach, Abby Elliott
Fotografia: Andrew Wehde, Adam Newport-Berra
Montaggio: Joanna Naugle, Adam Epstein
Colonna Sonora: J.A.Q.
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Distribuita integralmente sulla piattaforma di streaming di Disney Plus a partire dal 16 agosto 2023, The Bear 2 è ideata da Christopher Storer, anche regista di alcuni episodi della serie (tra cui il nevralgico “The Berzattos”, sesto episodio della stagione). Nella seconda stagione di The Bear si decide di alzare particolarmente il tiro e di fuoriuscire dalla cucina di Chicago, spesso segmentando le narrazioni e focalizzandosi sui singoli personaggi. Di seguito, la trama e la recensione della stagione in questione.

La trama di The Bear 2 su Disney Plus

Prima di concentrarsi sulla recensione di The Bear 2, vale la pena offrire innanzitutto la trama della serie ideata da Christopher Storer: Nel dare nuova luce al ristorante, la squadra intraprende un viaggio di trasformazione e ognuno di loro è costretto a confrontarsi con il passato e a fare i conti con chi vuole essere in futuro. Naturalmente, si scopre che l’unica cosa più difficile della gestione di un ristorante è aprirne uno nuovo, e la squadra deve destreggiarsi tra la folle burocrazia dei permessi e degli appaltatori e la bellezza, e allo stesso tempo la difficoltà creativa, della pianificazione del menu. Questo cambiamento porta anche una nuova attenzione all’ospitalità. Mentre i membri dello staff sono costretti a lavorare insieme in modi nuovi, sfidando i limiti delle loro capacità e relazioni, il team impara anche cosa significa essere al servizio, sia dei clienti che l’uno dell’altro.

La recensione della seconda stagione di Disney Plus

Il successo della prima stagione di The Bear è stato piuttosto sorprendente, considerando soprattutto l’eco mediatico e critico che la serie ha ottenuto, culminando con la vittoria di Jeremy Allen White nella categoria di miglior attore protagonista in una serie TV commedia o musicale dei Golden Globes. Naturalmente, le possibilità per la seconda stagione erano molto più elevate, anche in termini di budget e di carta bianca destinata agli autori, con effetti che sono sotto gli occhi di tutti: The Bear 2 è una serie televisiva che affianca, a quel cuore e a quella sapiente qualità espressa nella prima stagione, una maestria tecnica e narrativa che alza il tiro della seconda stagione della serie. Non si fa fatica a dire che The Bear 2 riesca a soppiantare totalmente la prima stagione, per quanto si tratti di un’affermazione che – considerando la qualità complessiva del prodotto di Cristopher Storer – apparirebbe senz’altro inverosimile, considerando soprattutto quei naturali limiti della serialità.

 

 

L’espediente è molto semplice: uscire dalla cucina di Chicago, già osservata e sviscerata nell’ambito delle piuttosto convincenti puntate della prima stagione. Ripetere, anche esteticamente, l’esperienza di quest’ultima sarebbe piuttosto semplice, ma avrebbe comportato un risultato in grado di scadere nel ridondante: del resto, The Bear è una delle serie che per prima ha “svelato” il lato oscuro e nevrotico della cucina, aprendo la strada a tante altre produzioni (tra cui quella del film di Philip Barantini, Boiling Point); adesso, se ribadire quanto già affermato apparirebbe anche piuttosto mainstream nei suoi contenuti, The Bear si sposta verso l’accezione generale della vita, allargando il suo universo tematico e ponendo l’accento sulla narrazioni dei singoli personaggi.

 

Il tutto viene ottenuto per mezzo di una sapiente scrittura, capace di sfruttare quei brevi cenni che erano stati già offerti nel corso della prima stagione e che qui vengono ampliati con delle vere e proprie backstories: in tal senso, The Bear riesce quasi ad evolversi a serie antologica, capace di raccontare la storia di ogni “Orso” attraverso il filo conduttore delle settimane che mancano all’apertura del ristorante di Carmen Berzatto. Ogni guest star viene posizionata in maniera equilibrata all’interno della stagione, rendendo funzionale la sua presenza e lasciando intendere anche l’idea di un prodotto particolarmente ambito dall’attore di turno, in grado di regalare (Jamie Lee Curtis su tutti, che ruba la scena) prestazioni rare ed eccezionali. Il tutto viene sapientemente cadenzato attraverso l’amore per il proprio lavoro: The Bear è una serie che parla e affronta il tema del fallimento, della sconfitta, delle difficoltà e dei problemi che talvolta diventano quasi grotteschi in virtù del loro numero e del loro peso, eppure l’animo collettivo delle puntate della serie rimane sempre lo stesso; c’è una forza vitale ed intestina, nella serie, in grado di surclassare la scrittura ben resa, il montaggio eccezionale e i primi piani spasmodici, tali da enfatizzare il pregio interpretativo di ogni attore: trattasi di quella voglia, di quella bramosia di fare che accomuna gli autori e i registi di The Bear, in un prodotto risultante che supera i naturali limiti seriali, imponendosi come qualcosa di nuovo e potenzialmente perfetto.

Un’opera destinata a fare la storia della televisione 

Se si offre la recensione della seconda stagione di The Bear non si può prescindere da un approfondimento dell’episodio centrale: The Berzattos. Il sesto episodio della seconda stagione di The Bear vede la regia di Christopher Storer e una presenza piuttosto fitta di guest star, tra cui spiccano Jamie Lee Curtis e Bob Odenkirk su tutti, in grado di regalare una grande e memorabile interpretazione. La deriva simil-antologica precedentemente descritta trova qui compimento grazie ad un episodio che appare alieno nel contesto generale di The Bear ma che, per mezzo di collegamenti strutturali determinati da una grande scrittura, offre il contesto basico da cui l’intera serie muove. 

 

Un episodio che può essere preso anche a se stante, dunque, e che da solo si preannuncia già in grado di fare la storia della televisione: il ritmo frenetico delle scene si accompagna ad un montaggio illuminato, capace di mettere in risalto il cibo nella sua preparazione, oltre che un processo climatico incalzante, che conduce verso l’incredibile finale. The Bear è però anche un gioiello di scrittura: nell’episodio in cui Marcus si reca in Danimarca segue le indicazioni di Carmen, che gli chiede di dar da mangiare al gatto, per quanto il pasticciere non ne veda mai uno; in questo sesto episodio, prima ancora che Carmen e Marcus possano conoscere, lo chef stellato confida a suo fratello di vivere in una barca in Danimarca e di dar da mangiare ad un gatto invisibile. Così, nell’episodio in cui Carmy rincontra Claire, si sente il suo numero di telefono dato ad una ditta per lavori da effettuare all’interno del ristorante: un dettaglio irrilevante, se non fosse per la capacità di cristallizzare quel momento nella mente dello spettatore, tanto da far sì che si renda conto del fatto che Carmen dà il suo numero di telefono volontariamente sbagliato a Claire. Questi dettagli, uniti alla didascalia “256 settimane all’apertura di The Bear” che inquadrano l’episodio sei in un tempo di 5 anni prima gli eventi raccontati, rappresentano piccole chicche di una sapiente capacità di gestire il materiale visivo, concependo un’opera che, nella sua totalità, rasenta la perfezione. The Berzattos è un episodio frenetico, ritmico, adrenalinico e spassionato, che strizza l’occhio a quella claustrofobia degli spazi interni a quell’ossessione che diventa sporco – anche letterale – sulle mani dei protagonisti. Un episodio in cui lo spettatore viene indotto a vivere lo spasmo di una messa in scena destinata a fare la storia.

Voto:
4.5/5
Andrea Boggione
4.5/5
Gabriele Maccauro
4.5/5
0,0
Rated 0,0 out of 5
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Voto del redattore:
Data di rilascio:
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