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Recensione – Sanctuary, con Margaret Qualley e Christopher Abbott

Presentato in anteprima mondiale al Toronto international film festival e, nel nostro paese, all’ultima Festa del Cinema di Roma (in concorso), esce nelle sale italiane Sanctuary – Lui fa il gioco. Lei fa le regole. diretto da Zachary Wigon, da una sceneggiatura di Micah Bloomberg e con protagonisti Margaret Qualley e Christopher Abbott. Si elenca di seguito la trama e la recensione del film.

La trama di Sanctuary, il film con Margaret Qualley e Christopher Abbott

Hal è l’erede multimilionario di un’importante catena di hotel di lusso. Dopo la morte del padre è prossimo all’insediamento come capo dell’azienda di famiglia. Da qualche tempo intrattiene, sotto lauto compenso, delle “sessioni creative” (durante le quali non è previsto il contatto fisico) con Rebecca, una giovane e affascinante mistress.

Sanctuary – la recensione del film di Zachary Wigon

Premettiamo che, se una produzione volesse ricercare degli attori carismatici, un bravo regista, che sia in grado di gestire gli spazi e i tempi di una storia, una direttrice di fotografia più che competente, oltre che scenografi con un certo gusto, potrebbe farsi proiettare questo film e, nel giro di novanta minuti, avrebbe trovato chi chiamare a raccolta. Purtroppo, per la crew dell’opera seconda di Wigon, questa può essere considerata solo una delle qualità di un audiovisivo, non la sua ambizione. Sanctuary è un film perfetto per essere inserito nel curriculum di chiunque vi abbia partecipato, ma nulla di più.

  

 

Sin da subito Abbott e Qualley (slave e mistress) duettano senza che gli si possa recriminare nulla, interpretando i ruoli con la credibilità che un impianto scenico di questo tipo concede loro. Dal primo atto non sono certo le sferzate che i due si rivolgono a mancare il colpo, quanto l’erotismo al quale queste dovrebbero portare. Le umiliazioni che permettono ad Hal di raggiungere l’orgasmo non riescono a restituire a chi guarda quel misto di disagio ed eccitazione che dovrebbe permettere allo spettatore di aderire appieno alla visione. Giunti al secondo atto viene approfondita la figura di Hal, un uomo che non si sente all’altezza del proprio padre e che, tramite le sedute con Rebecca, ha acquisito sicurezza anche nella vita professionale. Difatti quest’ultima lo minaccia con un video girato nell’intimità allo scopo di ottenere più denaro del pattuito, sostenendo di essere stata la figura chiave del suo successo lavorativo dell’ultimo periodo. Ecco che arriva la sequenza migliore dell’intero film: Hal distrugge la stanza d’albergo cercando una videocamera nascosta mentre Rebecca gli lancia provocazioni danzando con la musica ad alto volume. 

 

Risulta poco credibile che Rebecca sia riuscita ad installare una camera nascosta nella suite dell’albergo di proprietà di Hal, mentre i due svolgevano il loro gioco di ruolo, ma lo si accetta. Anche questo secondo atto termina con una scena di sesso che sembra essere inserita per meritare la targhetta “film erotico”.

Si va verso la conclusione ed ecco che, in seguito a una colluttazione, Rebecca, legata alla testiera del letto, impaurisce il suo slave fingendo di essere il fu padre di lui; se fino a questo punto il ridicolo era solo dietro l’angolo ora è il protagonista della vicenda ed è seduto in sala al nostro fianco. Li scopriamo innamorati l’una dell’altro, lei troppo orgogliosa per dichiararlo fino a quel momento, lui imbarazzato nell’ammetterlo a se stesso (chi l’avrebbe mai detto?). 

 

I due si riappacificano nel bagno e poi scendono al piano terra in ascensore. Hal si spoglia del suo ruolo di figlio/uomo di successo e chiede alla sua mistress, ora innamorata, di ricoprire lei il ruolo di nuovo amministratore delegato della catena alberghiera. Se gli attori, il comparto tecnico, anche il regista, dimostrano una certa abilità, lo stesso non vale per Bloomberg (sceneggiatore): non sono sufficienti dialoghi ben scritti per sostenere l’impianto di un film; se per un attimo si pensa al finale, assurdo (seppur volutamente), al fatto che vi è una safe word per porre fine al “gioco”, ma il protagonista vi ricorra soltanto nell’ultimo atto, sebbene inutilmente, allora si intravede una struttura debole, che scricchiola senza però avere attrattiva, e cerca di essere camuffata da un’estetizzazione eccessiva, da videoclip. Un film che viene venduto come thriller erotico ma che non regge il confronto con alcun vero Thriller o vero film erotico non può considerarsi riuscito, eppure si ha la sensazione che sia un prodotto perfetto per una fruizione su piattaforma, forse lì troverà il suo pubblico d’elezione.

Voto:
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