Cerca
Close this search box.

I migliori film di fantascienza dal 2000 al 2009

La fantascienza al cinema ha sempre regalato grosse soddisfazioni e con l’avvento del nuovo millennio, grazie alla crescita della computer grafica, i passi da gigante sono stati enormi. Ecco la classifica dei migliori film di fantascienza dal 2000 al 2009, in ordine cronologico d’uscita.

Mission To Mars (Brian De Palma, 2000)

Nel 2020 l’uomo riesce finalmente ad organizzare la prima spedizione su Marte inviando quattro astronauti a bordo della nave Mars-1. Arrivati sul Pianeta Rosso, i quattro scoprono una formazione cristallina con degli strani segnali provenienti dalla regione di Cydonia. Mentre stavano raccogliendo dei campioni da analizzare la spedizione viene spazzata via da un tornado, con l’unico superstite, il comandante Graham, che riesce in extremis a lanciare un segnale di soccorso alla Terra. La nave Mars-2, quindi, viene lanciata nel tentativo disperato di salvare i colleghi astronauti da un destino incerto.

 

Primo e unico film di fantascienza nella lunghissima filmografia del maestro Brian De Palma, Mission To Mars unisce il manierismo cinematografico dei film a basso budget mischiandoli, piuttosto furbamente, al cinema degli autori ben più quotati ed importanti.  Come se Il Pianeta Proibito fosse uscito a cena con 2001: Odissea nello spazio, De Palma fa di questo mantra il suo cavallo di battaglia in un film infarcito di grandi nomi (Gary Sinise, Tim Robbins, Don Cheadle e Connie Nielsen), tecnicamente ineccepibile e attorialmente inappuntabile.  Forse non il miglior film della carriera del regista di Scarface, ma sicuramente uno di quelli con più cuore.

Fantasmi da Marte (John Carpenter, 2001)

Nell’anno 2176 il pianeta Marte è stato quasi totalmente terraformato, permettendo agli umani di stabilire grosse colonie con una società di stampo matriarcale.  Una squadra di polizia viene incaricata di recarsi a Shining Canyon, un avamposto sorto su una vecchia miniera, per prelevare John “Desolazione” Williams, un pericoloso omicida reo di aver ucciso svariati ufficiali delle forze dell’ordine. Arrivati a destinazione, tuttavia, la squadra scoprirà che l’avamposto è stato decimato da una forza invisibile che prende possesso degli esseri umani trasformandoli in mostri.

 

John Carpenter, autentica divinità del cinema hollywoodiano, è famoso per la sua artigianalità e con Fantasmi da Marte realizza un autentico B-Movie di stampo autoriale: grezzo nella sostanza, corposo nella forma. Nato inizialmente come il terzo capitolo delle avventure di Jena Plissken (progetto naufragato dopo il flop di Fuga da Los Angeles), Fantasmi da Marte altro non è che una sorta di remake fantascientifico di Distretto 13 – Le brigate della morte: violento, arrogante e assolutamente sboccato, il film di Carpenter diverte e convince pur essendo scarno e minimalista nella messa in scena.  

Minority Report (Steven Spielberg, 2002)

Anno 2054, la città di Washington è senza criminalità da ben sei anni grazie alla Precrimine, una branchia del corpo di polizia che sfrutta le potenzialità cognitive di tre individui (chiamati Precog) per impedire i delitti ancor prima che possano accadere.  Il capitano John Anderton, capo della divisione Precrimine, scopre suo malgrado di essere il prossimo potenziale colpevole di un crimine futuro: braccato dai suoi stessi colleghi e costretto alla fuga, Anderton dovrà scoprire la verità dimostrando nel frattempo la sua innocenza.

 

Tratto dal racconto Rapporto di minoranza di Philip K. Dick, Spielberg porta in scena uno dei film di fantascienza più significativi della sua enorme carriera con Tom Cruise come protagonista assoluto.
Uno spy movie mascherato da sci-fi in salsa noir, Minority Report non è solamente una pellicola al cardiopalma ma è anche un prodotto che fa del realismo la sua carta vincente: il buon Steven riesce a trasporre su pellicola il futuro pessimista dell’autore di Blade Runner in maniera convincente e mai barocca.

I figli degli uomini (Alfonso Cuaròn, 2006)

Regno Unito, anno 2027. Da 18 anni l’infertilità ha colpito la Terra e da allora non nasce più un bambino.
La popolazione mondiale piange la scomparsa di Baby Diego, l’essere umano più giovane del mondo e l’ultimo ad essere nato sul pianeta.  L’ex attivista Theo, che passa le sue giornate ad accudire la moglie inferma e a coltivare cannabis, viene contattato per una missione ad alto rischio: accompagnare una giovane immigrata verso un luogo sicuro. Inizialmente riluttante, Theo accetta per poi scoprire la vera natura dell’incarico, ovvero che la ragazza è incinta e che il destino della razza umana dipende solamente da lei.

 

 

Alfonso Cuaròn dirige con mano sicura un disilluso Clive Owen in un thriller di stampo post-apocalittico, distopico fino al midollo e sporco come una fonderia dopo una giornata di lavoro. Tratto dall’omonimo romanzo di P.D. James, edito nel 1992, I figli degli uomini è un racconto amareggiato su una società che ha perso ogni speranza, un viaggio nel delirio del decadimento più puro che prende vita grazie alla tecnica elegante di Cuaròn. Il regista messicano, due volte premio Oscar per Gravity e Roma, orchestra in maniera sublime un film che contiene uno dei piani sequenza più belli non solo del genere fantascientifico, ma degli ultimi 30 anni di storia cinematografica.

The Prestige (Christopher Nolan, 2006)

Londra, fine 800. Alfred Borden e Robert Angier, sono gli assistenti  di uno scenografo esperto di illusionismo. I due, in netto contrasto fin da subito, sono aspiranti illusionisti: Borden rivela di avere un trucco che solamente lui è in grado di eseguire, Angier dal canto suo vede nel giovane collega/rivale una superbia fuori dal comune. I due illusionisti, nel tempo, daranno vita ad un’ossessiva battaglia senza esclusione di colpi alla ricerca del numero perfetto.

 

Tratto dal romanzo di Christopher Priest e con la sceneggiatura scritta da Jonathan e Christopher Nolan, The Prestige è un film che racchiude un tema tanto caro al regista inglese: l’ossessione.  Hugh Jackman e Christian Bale, nei rispettivi ruoli di Angier e Borden, rispecchiano in forma umana ed in maniera efficace il tormento assillante che il regista de Il Cavaliere Oscuro vuole offrire allo spettatore: la “guerra” tra i due illusionisti, difatti, è una lenta discesa negli inferi, un vero e proprio viaggio di sola andata dove non esistono vincitori ne vinti. Il tutto infarcito da atmosfere fanta-thriller con un pizzico di steampunk, la scelta di ambientare le vicende della pellicola nel tardo XIX secolo risulta infatti vincente e affascinante.

Sunshine (Danny Boyle, 2007)

Il Sole sta morendo e l’umanità rischia l’estinzione. Per evitare questo immane disastro, viene inviata la spedizione Icarus II con una missione ad alto rischio: arrivare vicino all’orbita solare per sganciare un ordigno nucleare grande quanto l’isola di Manhattan, per far nascere una nuova stella all’interno di una morente. Arrivati intorno all’orbita di Mercurio, tuttavia, la Icarus II riceve uno strano segnale appartenente alla  Icarus I, la precedente spedizione che fallì l’obiettivo e che scomparve misteriosamente otto anni prima.

 

Cillian Murphy, Chris Evans e Michelle Yeoh in un thriller fantascientifico al cardiopalma magistralmente diretto dal regista di Trainspotting, il britannico Danny Boyle.  Grazie alla brillante sceneggiatura di Alex Garland, Boyle trasmette allo spettatore un senso di ansia mista a paura in un allucinante percorso verso il vuoto cosmico dell’ignoto:  piacevolmente ispirato dalle atmosfere di Alien di Ridley Scott strizzando anche l’occhio verso classici come Solaris e 2001: Odissea nello spazio, Sunshine è un film dal cast variegato e ben amalgamato. Boyle confeziona uno dei film di fantascienza più belli degli ultimi 20 anni, purtroppo poco conosciuto dal grande pubblico generalista.

WALL-E (Andrew Stanton, 2008)

Nel 2105 la Terra è completamente ricoperta dai rifiuti e la sua inabitabilità costringe la compagnia BnL (Buy N Large) a far migrare l’intera umanità a bordo di un enorme astronave, in attesa che i robottini denominati WALL-E (acronimo di Waste Allocation Load Lifter • Earth-Class) ripuliscano il pianeta. Tuttavia i robot iniziano a disattivarsi uno per uno e la missione di rientro sulla Terra fallisce, lasciando l’umanità alla deriva nello spazio.  Quasi 700 anni dopo, l’unico WALL-E rimasto attivo continua imperterrito la sua opera di pulizia e smistamento rifiuti: a spezzare la sua consueta routine e la sua innata solitudine ci pensa l’arrivo di un nuovo robot, EVE, inviato dalla BnL per sondare il pianeta.

 

Vincitore del premio Oscar come miglior film d’animazione nel 2009, il nono lungometraggio della Pixar è un prodotto tecnicamente ineccepibile, figlio di un certo tipo di fantascienza che il regista Andrew Stanton (Alla ricerca di Nemo e sceneggiatore di Toy Story) ha dichiarato di amare fin da ragazzo.  In WALL-E non c’è solamente una dedica sentita a tutto il cinema sci-fi degli ultimi 60 anni, c’è soprattutto una storia delicata fatta di tantissima umanità;  il piccolo robot spazzino (ispirato nel look a Johnny-5 di Corto Circuito) scalda il cuore degli spettatori, tanto per il carattere gentile e premuroso, quanto per il suo coraggio nell’affrontare una missione apparentemente impossibile.  WALL-E  è l’esempio palese di come la tecnica sia al servizio della sceneggiatura e viceversa: si ride, ci si commuove, si riflette: il film di Stanton riesce ad essere, nella sua semplicità, un piccolo capolavoro del genere.

Moon (Duncan Jones, 2009)

Sam Bell è un astronauta incaricato di presidiare la Sarang, una base spaziale di natura mineraria sulla Luna per conto della Lunar Industries.  Sam, che vive in totale isolamento da 3 anni, a sole due settimane dal rientro sulla Terra comincia ad avere dei forti mal di testa e delle allucinazioni, la perdita di lucidità lo porta a commettere un grave errore durante un lavoro all’esterno della base facendogli perdere i sensi.  Dopo essersi risvegliato frastornato nell’infermeria della base, Sam decide di tornare sul luogo dell’incidente per scoprire che all’interno dei veicolo lunare c’è un astronauta tramortito, tale e quale identico a lui. L’opera prima del figlio di David Bowie, Duncan Jones, è un viaggio allucinante all’interno della psiche umana con uno straordinario Sam Rockwell sugli scudi.

 

Un one man show appositamente scritto per le gigantesche spalle di Rockwell, autentico mattatore in una pellicola che sembra tanto un Cast Away nello spazio, in realtà il film di Jones ha una struttura ben delineata e coerente con quello che vuole raccontare: il tema del doppio, con rimandi anche piuttosto palesi ad autori come Edgar Allan Poe, Oscar Wilde o i più moderni Stephen King e Chuck Palahniuk, il tutto infarcito con atmosfere che si rifanno ai classici della fantascienza di metà secolo scorso.

 

District 9 (Neil Blomkamp, 2009)

Nel 1982, sopra il cielo di Johannesburg, appare un’enorme nave spaziale che rimane ferma immobile per settimane senza dare nessun segno di vita. Gli alieni al loro interno, rinominati successivamente in “gamberoni”, vengono trovati dalle autorità locali in evidente stato di malnutrizione, stanchi, sporchi e malati. Vengono così tratti in salvo ma a causa della diffidenza del popolo sudafricano, gli alieni vengono rinchiusi in un’area circoscritta chiamata Distretto 9 e controllati a vista dal governo nel tentativo di capire qualcosa della loro tecnologia. 


Nel 2010, a quasi trent’anni dall’arrivo della navicella e a causa del continuo malessere degli alieni, il governo sudafricano decide di mobilitare i gamberoni verso una zona franca a 240 chilometri dalla capitale.

Prodotto da Peter Jackson, District 9 (opera prima del sudafricano Neil Blomkamp) rilegge in chiave sci-fi il terrificante periodo dell’apartheid, il periodo storico nel quale i neri venivano ghettizzati dai bianchi, rimasto in vigore in Sudafrica dal 1948 al 1991.  Blomkamp, con un tono quasi documentaristico, porta in scena una metafora lineare: gli alieni immigrati, nel loro essere apparentemente disgustosi in realtà nascondono un’umanità ben più marcata degli umani stessi.  Questo porta gli spettatori ad immedesimarsi nella loro disavventura, in un fanta-action brutale tanto nella messa in scena (con sangue che scorre a fiumi) quanto nella moralità che c’è alla base del prodotto.

Avatar (James Cameron, 2009)

Anno 2154, gli esseri umani cercano sul pianeta Pandora l’unobtanium, un prezioso minerale che potrebbe risolvere i problemi energetici della Terra ormai devastata dall’inquinamento e in sovrappopolazione.  L’unico modo per ottenere il minerale è convincere la popolazione indigena di Pandora, i Na’vi, a collaborare e per farlo (date le condizioni atmosferiche proibitive del pianeta per gli esseri umani) vengono usati degli avatar, esseri biologici compatibili sia col DNA umano, resistenti all’atmosfera di Pandora e strutturalmente identici ai Na’vi adulti.  Per fare da tramite tra gli esseri umani e i Na’vi viene scelto Jake Sully, ex marine rimasto invalido, a cui spetta l’onere di insidiarsi all’interno della tribù degli Omaticaya per imparare usi e costumi del posto.


Il colossal che ha sbancato i botteghini incassando quasi 3 miliardi di dollari e diventando il film che ha incassato di più nella storia del cinema: Avatar, capolavoro del maestro James Cameron, è un film che non ha bisogno di troppe presentazioni. Primo film di una saga di cinque film (il secondo, La via dell’acqua, è uscito nel 2022), Avatar è un lungo viaggio alienante di 3 ore all’interno di Pandora: Cameron nella sua infinita maniacalità regala allo spettatore una vera e propria immersione all’interno della flora e della fauna del pianeta alieno, non dimenticandosi nel mentre di girare uno dei film fanta-action più belli di tutti i tempi.