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Recensione – Babylon: La fantasmagorica elegia di Chazelle

La recensione di Babylon, ultimo film di Damien Chazelle con Brad Pitt e Margot Robbie

Esce nelle sale italiane il 19 gennaio 2023, dopo un’uscita natalizia negli USA, “Babylon”, l’ultimo film del regista premio oscar Damien Chazelle. Il film presenta un cast ricco di star, a partire da Margot Robbie e Brad Pitt, e affronta forse il periodo di svolta più grande di tutta la storia della settima arte: il passaggio dal muto al sonoro che avvenne tra la fine degli anni 20 e l’inizio dei 30.


La trama di Babylon


Al fine di prendere in considerazione la recensione di Babylon, si vuole sottolineare la trama del film di Damien Chazelle. Come riportato sul sito ufficiale della pellicola: BABYLON è un originale film epico ambientato nella Los Angeles degli anni ’20, guidato da Brad Pitt, Margot Robbie e Diego Calva, diretto da Damien Chazelle, con un cast corale che include anche Jovan Adepo, Li Jun Li e Jean Smart. Una storia di ambizione sproporzionata ed eccessi oltraggiosi, ripercorre l’ascesa e la caduta di più personaggi durante un’era di sfrenata decadenza e depravazione all’inizio della storia di Hollywood.”

La recensione di Babylon

 

Inquadrare una pellicola come “Babylon” risulta un compito piuttosto arduo e questo per due ordini di ragioni differenti: in primo luogo l’opera, seppure presenti delle similitudini stilistiche e tematiche con i precedenti lungometraggi di Chazelle, appare come un unicum per un regista che è appena al suo quarto film; in seconda istanza perché negli ultimi anni (a partire da “C’era una volta a Hollywood” per arrivare a “The Fabelmans”) si è assistito a diverse elegie del cinema a stelle e strisce che fu, le quali, in modo più o meno direttamente biografico, restituivano una visione nostalgica del passato (sempre coincidenti con il periodo storico nel quale il regista ha mosso i primi passi o addirittura è cresciuto). Sotto entrambi questi punti di vista l’ultimo film dell’autore di “La La Land” si propone come qualcosa di inedito e stimolante.

 

“Babylon” è infatti un film parossistico nella messa in scena, elefantiaco negli intenti e sfarzoso nella realizzazione, è un’opera che nell’accezione più virtuosa possibile del termine può essere definita spettacolare. La prima lunghissima sequenza, a confronto della quale il piano sequenza di apertura di “La La Land” risulta essere sobrio, è in tal senso programmatica; fin dalle prime battute si è consapevoli di assistere a una overture da musical di Broadway lunga tre ore. Ciò che furono le sregolatezze degli albori di Hoollywood, le eroiche vite degli attori che ne hanno calcato i set sono restituiti da Chazelle in tutto il loro splendore, ciò che infatti maggiormente affascina è come per esaltare il cinema muto venga utilizzato un approccio stilisticamente ipermoderno. I lunghi piani sequenza, il montaggio chirurgico eppure incalzante che caratterizzano l’opera discendono direttamente infatti dal cinema dello scorso decennio e che ha visto tra i suoi esponenti di spicco film quali “The Wolf of wall street” e “La grande scommessa” (che con questa pellicola condividono la presenza di Margot Robbie nel cast).

 

La dilaniante battaglia interiore che deve aver scosso Chazelle e che viene riproposta tramite le immagini di questo lungometraggio può essere sovrapposta a quella del personaggio interpretato da Brad Pitt: sempre alla ricerca di nuove metodologie espressive, eppure indistricabilmente con il cuore ancorato a un cinema che non esiste più. Questa lotta, questo irrisolvibile e idiosincratico turbinio di emozioni e pensieri danno vita a un film parossistico che si presta a essere amato o detestato, senza lasciare grande spazio ad alternative intermedie.

 

Il film inoltre ha un notevolissimo pregio, specie nel panorama cinematografico contemporaneo, ossia narra perfettamente per immagini. Infatti quasi tutte le suggestioni, le speculazioni e i ragionamenti che si possono trarre da questa multiforme pellicola derivano dalla sua messa in scena, dalle sue soluzioni di montaggio e regia, dal suo perfetto montaggio sonoro e dalla mimica dei suoi attori. A non mancare poi sono quei momenti che stanno man mano diventando un marchio di fabbrica di Chazelle: cioè quelli in cui i personaggi cercano con tutte le loro forze, talvolta sacrificando persino tutto ciò che hanno, di tenere vive storie d’amore che sono destinate al fallimento fin dal primo sguardo e che tuttavia il regista è capace in un’occhiata o nell’attimo di un sospiro di far vivere per sempre nei nostri cuori. Forse l’unico vero limite di un film altrimenti notevole è il fatto che la costruzione di questi momenti risulta talvolta disomogenea all’interno di una pellicola che ha però la smisurata ambizione di abbracciare tematiche tra le più disparate.

I rimandi cinematografici presenti in Babylon di Damien Chazelle

Se dunque esteticamente l’opera è sfuggente e difficilmente inquadrabile, non meno arduo risulta l’inserirla nel panorama cinematografico contemporaneo. E’ in effetti interessanti interrogarsi sul perché un regista dell’età di Chazelle abbia deciso di affrontare in modo così sentito un periodo da lui così distante come quello della transizione tra il cinema muto e quello sonoro, frangente storico peraltro ripetutamente immortalato da molte pellicole, tra le quali ovviamente spiccano “Viale del tramonto” e “Cantando sotto la pioggia”. Una prima chiave di lettura potrebbe essere quella che il regista sia voluto risalire al momento in cui l’arte che più l’ossessiona ha fatto il suo ingresso nel panorama cinematografico: ovvero la musica. Non a caso un personaggio nel corso della pellicola affermerà come tutte le altre arti dovrebbero cercare di tendere alla purezza che caratterizza la musica, che peraltro è anche qui l’elemento predominante all’interno della pellicola, infatti la baraonda nella quale si viene immersi fin dai primi minuti è innanzitutto sonora.

 

 

Si può poi scorgere nell’opera di Chazelle e nella sua scelta di ambientazione temporale anche un intento più smaccatamente metatestuale. Quello che sembra emergere è infatti anche come il regista voglia sottolineare come l’illusione di un’età dell’oro ormai tramontata e di un passato glorioso ormai disperso nelle sabbie del tempo sia un qualcosa che da sempre caratterizza il modo di funzionare della memoria umana. Ecco perché alla luce di questo il finale del film tutto proiettato verso il futuro dell’immaginario cinematografico non può non far emergere un sorriso sulla bocca anche dello spettatore più cinico, che si vedrà finalmente soltanto come la più infinitesimale parte delle continue maree del tempo.

Voto
4/5
Andrea Barone
3.5/5
Andrea Boggione
3.5/5
Christian D'Avanzo
3/5
Bruno Santini
3.5/5
Gabriele Maccauro
0/5
Giovanni Urgnani
0/5
Paola Perri
3.5/5
Vittorio Pigini
5/5
0,0
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