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Recensione – Il tesoro della Sierra Madre: l’oro che corrode l’anima

La recensione di Il Tesoro della Sierra Madre, film di John Huston

Nel 1948 venne rilasciato nei cinema un western dall’approccio particolare, ma che nel rapporto triangolare uomo-natura-oro sarà particolarmente incisivo in futuro: Il tesoro della Sierra Madre, diretto da John Huston, adattamento dell’omonimo romanzo di B. Traven, pubblicato nel 1927. Alla sua uscita, il film ottenne un grande successo di critica, e fu adottato nel tempo come il capolavoro di Huston. La pellicola fu protagonista anche agli Oscar: Huston vinse per la regia e per la sceneggiatura. Il terzo premio della serata, il miglior attore non protagonista, lo ottenne Walter Huston, padre del regista e veterano di Hollywood che si cimentò in una delle sue ultime e più acclamate interpretazioni, quella dell’anziano cercatore d’oro Howard. Di seguito la trama e la recensione di Il tesoro della Sierra Madre, scritto e diretto da John Huston.

La trama di Il tesoro della Sierra Madre, western sull’uomo in rapporto all’oro

Le vicende sono ambientate, come riporta la didascalia iniziale, nel Messico del 1925. Dobbs (Humphrey Bogart) non ha un soldo e naviga in cattive acque, facendo la carità all’unico americano arricchito (John Huston) cui si imbatte. Durante il suo percorso di sopravvivenza incontra Curtin (Tim Holt), un uomo nella sua stessa precaria condizione; entrambi si ritrovano in dormitorio, e conoscono Howard (Walter Huston), un vecchio sdentato. L’anziano comincia a parlare della ricerca dell’oro, di come corrode l’anima di ogni uomo quando ci si entra in contatto. Incuriositi, i due avventurieri ascoltano.

 

Successivamente Dobbs e Curtin decidono, con i soldi che gli spettavano ma obbligati a prenderseli con la violenza, di partire per una spedizione in cerca di fortuna. Lo comunicano ad Howard, e con la vittoria di un biglietto alla lotteria di Dobbs, hanno la giusta somma per procurarsi tutto il necessario. I tre, muniti di tende, armi, cibo e acqua, partono per raggiungere un’isolata montagna messicana, dove nessuno sembra aver messo piede. In cerca dell’oro, e trovandolo, incomincia un susseguirsi di guai per i protagonisti.

 

Tra opportunisti, banditi, federali e tribù, sono tanti gli ostacoli che si frappongono tra loro e il bottino scovato. Come se non bastasse, c’è la catena di dubbi imbastita consequenzialmente all’entrata in possesso dell’oro: Dobbs e Curtin, ma in particolare il primo, minano la reciproca fiducia con atteggiamenti pseudo aggressivi. L’avidità è tiranna.

La recensione di Il Tesoro della Sierra Madre, film di John Huston

Il tesoro della Sierra Madre: la recensione del film diretto da John Huston

Su Il tesoro della Sierra Madre si è discusso abbastanza riguardo il genere d’appartenenza: è un western o un film d’avventura drammatico? La risposta, per chi scrive, è che presenta elementi di tutte e tre, e non solo. E non può essere casuale il fatto che sia stato ripreso da altri western arrivati dopo. Basta pensare a La ballata di Buster Scruggs (2018) dei fratelli Coen, per citare un titolo recente; ma anche in The Hateful Eight (2015) di Quentin Tarantino il valore in denaro della prigioniera assume un meccanismo che ricorda quello inserito da Huston in Il tesoro della Sierra Madre.

 

D’altronde gli stilemi classici del genere ci sono: si parte da una comunità senza valore per i personaggi protagonisti, per poi arrivare all’appropriazione di un confine territoriale da proteggere da minacce esterne; tali minacce sono incarnate in un connazionale in cerca di opportunità, da banditi messicani che si fingono federali e dalle credenze tribali indiane. Il tutto è condito da uno spirito d’avventura in grado di incrementare gradualmente la tensione e innestare dubbi sulla veridicità dei fatti (chi vuole fregare chi?); si alternano momenti di commedia per inserire leggerezza in un film capace di “spezzare il fiato” allo spettatore. In principio viene presentata la tragicità della situazione iniziale con Dobbs e Curtin senza speranza, sfruttati per un duro lavoro la cui ricompensa andrà riscossa con la forza; sopraggiunge il western di confine, all’altezza di indagare sul valore dell’animo umano come si vede in altri titoli di estremo valore. Persino i tratti comedy hanno un sapore amaro quasi grottesco, come la risata finale del vecchio Howard, trasmessa poi a Curtin.

 

Il tesoro della Sierra Madre ritrae il percorso individuale di Dobbs, inizialmente decostruito da elemosina e lavori pagati (e nemmeno) appena 8 dollari l’ora. Quando l’uomo si ritroverà di fronte l’occasione di riscattarsi e di elevarsi ad eroe, come accade per altri protagonisti di western classici, cadrà nel baratro della paranoia e della diffidenza nonostante un rapporto d’amicizia nato tra lui e Curtin, ed anche con il saggio Howard. La ricostruzione non avverrà mai davvero, l’epicità verrà scalzata dalla tragedia dell’isolamento forzato e dell’essere umano egoista e avido; in questo Huston fonda il nucleo della modernità apportata al genere. I veri buoni della pellicola sono Howard, estremamente comprensivo e un passo avanti a tutti anche per anzianità, e Curtin, un personaggio gentile e di buon cuore, tanto da salvare la vita a Dobbs dopo il crollo di una miniera.

La recensione di Il Tesoro della Sierra Madre, film di John Huston

Il tesoro della Sierra Madre, il rapporto triangolare uomo-natura-oro

La natura viene messa al centro del rapporto, come da titolo di paragrafo, perché è un elemento che si interpone tra i ricercatori e l’oro. Madre Natura fa da sfondo, non genera pericoli eccessivi se non un rettile che sfortunatamente scova il bottino di Dobbs, e viene trattata con gratitudine e rispetto da Howard. Il territorio resta perennemente in profondità, perché in primo piano nell’inquadratura c’è spazio per gli esseri umani che comunicano con la loro espressività, ma che soprattutto rappresentano in prima persona la minaccia. Tuttavia il vecchio del gruppo riesce a trasmettere alla nuova generazione il valore che ha la scenografia in questione, un elemento più che mai vivo ed in grado di offrire ricchezze per cui va ringraziata e risistemata dopo averne approfittato trafiggendola, scavando miniere.

 

L’oro è potenzialmente un bene, ma il conflitto che genera è dovuto all’uso spropositato che gli uomini ne fanno. L’animo è tentato, cade in trappola avvolto dall’ingordigia di volerne sempre di più, come alla roulette; non c’è scampo per colui che è destinato a prendere le sembianze del vero villain del film, Fred Dobbs, che non riesce a scrollarsi di dosso fantasmi, ansie e diffidenza. Ne viene internamente logorato, e più volte si lascia pervadere da sensazioni tali che tendenzialmente destabilizzano l’ambiente, con un possibile omicidio dietro l’angolo (o dietro la tenda, in questo caso). E ciò potrebbe accadere ben presto, vedendo al minutaggio della pellicola, eppure c’è Howard a fare da collante e a tenere saldo il gruppo trasmettendo conoscenze e serenità.

 

Il tesoro della Sierra Madre è, in sostanza, un autentico capolavoro ed uno dei migliori film di John Huston, qui in grado di presentare elementi classici del western mescolati a una profonda modernità apportata nei personaggi, in particolare Dobbs. Infatti, si spazia da un genere all’altro, si mette in scena con caparbietà l’evoluzione costante di protagonisti multidimensionali, magistralmente interpretati. Si riflette sull’uomo, sulla natura e su ciò che offre, in questo caso l’oro, un elemento in grado di influenzare lo spirito nel profondo e distruttore di un uomo che tenta di costruirsi da sé. Incessante la tensione che si viene a creare tra i tre, ognuno con un personale approccio alla vita (alla natura, all’oro e all’altro da sé), e a nulla servono gli ostacoli rappresentati da Jim Cody (Bruce Bennett) prima, e dei banditi di Cappello d’oro (Alfonso Bedoya) poi, inconsapevolmente portatori di un’occasione di coesione per il gruppo. Con il crescere della posta in gioco, decresce il valore spirituale.