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The Northman: L’Amleto dimezzato

L’uomo e la natura, l’uomo e gli dei, i fantasmi del passato che tornano, il senso del destino che segna le nostre azioni terrene: era inevitabile che prima o poi, in modo più o meno diretto, il percorso di Robert Eggers incrociasse l’opera di William Shakespeare.

“The Northman” è la terza opera del talentuoso regista del New Hampshire che in questo caso si avvale della collaborazione del poeta e scrittore Sjòn (spesso anche collaboratore di Björk, qui presente in qualità di attrice) nella stesura della sceneggiatura. La storia del film è ispirata a “La leggenda di Amleto”, un racconto sassone immortalato in forma scritta, segnatamente in latino, solo nel 1200 da uno storico danese. Non è chiaro come e in che misura questa opera abbia poi influenzato l’immortale tragedia shakespeariana, tuttavia la questione non presenta grande rilevanza ai fini dell’analisi del film in quanto la storia tende a discostarsi sia dal poema danese che dall’opera del poeta inglese. Questo breve excursus sulle fonti risulta indispensabile se si fa riferimento ad un’opera di Eggers in quanto il suo tentativo, spesso riuscito, di immergere lo spettatore in un tempo passato e di rendere credibile il punto di vista e il sistema valoriale e culturale dei personaggi che popolano le sue pellicole poggia le sue basi su un’ampia e capillare raccolta di materiale relativo all’epoca che vuole andare a trattare. Questo procedimento artistico è estremamente complesso dal momento che richiede una sensibilità e una capacità di effettuare una cernita dello sterminato materiale di partenza non comuni. La formula adottata da Eggers nel suo primo film (e per ora unico capolavoro) “The Witch” era stata assolutamente vincente; infatti questo enorme lavoro era stato magistralmente sublimato sotto traccia all’interno della pellicola, inserendo dettagli e elementi mai espliciti che purtuttavia instillavano dubbi e incertezze circa le reali motivazioni dietro gli accadimenti nella pellicola che rimanevano, fino allo splendido finale, ammantati da un velo arcano che donava al film la sua incredibilmente opprimente atmosfera.

Non si può dire che questo approccio abbia dato in “The Northman” gli stessi frutti che diede in “The Witch”, se da una parte è infatti vero che questo grande livello di approfondimento può arricchire il film dall’altra bisogna osservare come un suo abuso possa portare lo spettatore a rompere la sempre delicatissima sospensione dell’incredulità. In questo film la costruzione del mondo narrativo è molto più ambiziosa che nelle prime due pellicole del regista e a questo allargamento dimensionale sembra corrispondere una quasi bulimica ricerca di accumulo di dettagli, gesti, rituali, simboli e allegorie che finiscono per sommergere e soffocare lo spettatore che rischia di perdere la cognizione di ciò che veramente l’autore sta tentando di narrare. Questo crea un senso di distacco nei confronti dei personaggi che non si sperimentava nelle prime due pellicole del regista che mirabilmente approdavano ad un risultato in grado sia di evocare un’età così antica, intarsiandolo con venature tra il sovrannaturale e l’orrorifico, senza che però questo creasse una distanza eccessiva dalle ossessioni, le idiosincrasie e le aspirazioni dei protagonisti della narrazione.

A questo problema, nel complesso di un’opera comunque riuscita e di cui sottolineeremo i meriti, se ne affiancano altri due: uno di carattere stilistico e uno di tipo narrativo.

Da un punto di vista registico Eggers adotta una scelta marcata, che in quanto tale provocherà giudizi discordanti al riguardo, ovvero decide di girare tutte le sequenze di azione in forma di piano sequenza o long take senza cioè ricorrere ad alcuno stacco di montaggio. Ovviamente questa soluzione non raggiunge l’onanismo stilistico che aveva caratterizzato l’immotivato unico piano sequenza di “1917”, ma contribuisce purtroppo a conferire al film una patina che mal si addice a ciò che avviene sullo schermo e più in generale all’approccio che Eggers decide di utilizzare. Se è infatti vero che questo modo di riprendere favorisce una maggiore chiarezza espositiva per immagini dall’altro crea un evidente distacco con le azioni compiute dal protagonista in battaglia, donando al tutto se non un senso di posticcio quantomeno di estremamente artefatto. Il montaggio, unica arte unicamente propria del mezzo cinematografico, visivamente aggiunge quelli che letteralmente chiameremmo segni di interpunzione, serve cioè a scandire il ritmo della narrazione e in una sequenza movimentata a evidenziare la dinamica dell’azione, sottolineando eventuali momenti significativi. Rinunciandoci totalmente Eggers conferisce innanzitutto a le scene di scontro tra armate e ai duelli uno stile disomogeneo rispetto a quello del resto della pellicola e inoltre crea un’estetica che in quei frangenti, come spesso avveniva anche nel succitato “1917”, ricorda quella di un videogioco nel quale il personaggio compie azioni come risposta agli impulsi da noi dettati con il controller, questa fluidità sembra quasi privarci del punto di vista del regista.

Narrativamente il difetto risiede nel tono con il quale Eggers decide di tratteggiare i personaggi. Se infatti può essere apprezzabile la scelta di mettere in scena una storia di stampo epico così filologicamente fedele bisogna tuttavia, come precedentemente argomentato, avere l’abilità di calare lo spettatore nell’ottica voluta. In questo senso il film funziona ma solo a metà, il talento comunque innegabile di Eggers è in grado di creare squarci suggestivi e di mettere in scena anche due o tre momenti cruciali degni della tragedia da cui trae ispirazione, tuttavia la furia cieca, la rabbia incontrollabile e la violenza brutale che caratterizza sostanzialmente tutti i personaggi della pellicola appiattisce la varietà di sfaccettature psicologiche che ci si aspetterebbe di trovare in un’opera comunque ispirata seppur indirettamente alla tragedia shakespeariana. L’Amleto del regista nordamericano è guidato da un semplice obiettivo ed è un coacervo di violenza omicida e vendetta inarrestabile che non lascia grande spazio ad eventuali riflessioni etiche o esistenziali, chiunque si pone tra lui e il suo obiettivo viene trucidato, più o meno consapevolmente, senza particolari convenevoli. Inutile dunque confrontare questo personaggio con quello creato da Shakespeare che invece respinge fino all’ultimo l’atto della vendetta pur non potendolo evitare in quanto sospinto impetuosamente verso esso dal destino. La sensazione che se ne ricava è che questo Amleto sia una versione dimezzata e incompiuta di quella del principe danese resa immortale dai versi del Bardo e che per quanto storicamente rilevante la leggenda danese vada a costituire solo una minima parte dello scheletro che compone l’opera datata 1600. E’ un Amleto privo di poesia e dunque privo del senso di tragedia.

A queste problematiche vanno però doverosamente affiancati anche i numerosi meriti che compongono la pellicola, partendo innanzitutto da uno puramente produttivo. E’ infatti positivo che ad un regista al suo terzo film venga affidato un budget di sessanta milioni per portare su schermo la visione di un’opera comunque ostica e che evidentemente questo autore abbia potuto, nel bene e nel male, esprimere senza alcun tipo di filtro la propria visione, senza dover incorrere in censure o limitazioni di sorta portando su schermo la sua versione della storia. In un momento di difficoltà per la sala è positivo che questo genere di film riceva ancora una grande distribuzione e anche se il rischio di insuccesso al botteghino è alto vi sono buone possibilità che diventi l’incasso maggiore di Eggers, allargando sempre di più il suo pubblico di riferimento.

Impossibile poi negare come la storia abbia almeno due passaggi di grande finezza e potenza, uno riguarda il ridimensionamento della vendetta e avviene più o meno ad inizio film mentre il secondo è una rivelazione che, per quanto prevedibile, umilia gli scopi del nostro protagonista che vede il suo ideale supremo lentamente sgretolarsi di fronte ai suoi occhi nel corso della pellicola.

Il regista statunitense inoltre è in grado di portare su schermo l’efferatezza della morte come pochi altri registi suoi coevi, non c’è gloria e spesso neppure redenzione, aleggia sui personaggi un senso di sconfitta latente e spesso sembrano fantasmi che si trascinano per enormi lande desolate in attesa della loro fine.

Meno convincente l’uso degli effetti speciali che però sono riscattati da un comparto fotografico e prostetico di assoluto livello.

Per il futuro sarebbe interessante vedere Eggers tornare su storie di questa portata imperniando però la scrittura su una più solida costruzione drammaturgica più incline a tingersi di sfumature differenti.

Voto
3.5/5
Christian D'Avanzo
3/5
Andrea Barone
4/5
Paola Perri
0/5
Giovanni Urgnani
3.5/5
Paolo Innocenti
4/5
Carlo Iarossi
0/5
Andrea Boggione
4/5
0,0
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