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Agente Carter: il primo film Marvel femminista

Captain Carter

Oggi si da per scontato che nel Marvel Cinematic Universe ci siano donne protagoniste sia sul grande che sul piccolo schermo, ma molti non sanno che l’ideatore e produttore Kevin Feige ha faticato moltissimo prima di ottenere il risultato appena descritto. Com’è possibile direte voi? Facciamo un passo indietro.

Nel 2012 avvenne la consacrazione definitiva dell’ambizioso universo creato da Feige grazie allo straordinario successo del crossover “Avengers“, il film che unì per la prima volta il celebre gruppo di supereroi della Marvel: Iron Man, Captain America, Thor, Hulk, Occhio Di Falco e la Vedova Nera. Quest’ultima viene mostrata nel film come una donna che, nonostante l’assenza di poteri, è perfettamente astuta e capace di aiutare i suo compagni combattendo gli alieni e sfidando il Dio dell’Inganno senza paura. Era diventata già un’icona della cultura pop proprio come gli altri personaggi.

Era quindi già deciso per Feige che, dopo il lancio nel crossover, Natasha Romanoff avrebbe avuto un film stand-alone tutto suo e lo propose immediatamente come uno dei prossimi progetti a cui dare la precedenza. Il produttore tuttavia ai tempi non aveva ancora l’ultima parola con le decisioni della Marvel Entertaintment e, con grande sorpresa, il progetto gli venne respinto. Noi lo scopriremo solo diversi anni dopo grazie alla pubblicazioni di email ufficiali, ma il motivo del rifiuto dell’opera fu che l’allora CEO Ike Perlmutter sostenne che i film supereroistici con protagonisti le donne non potevano funzionare. Come argomentazione per sostenere questa convinzione, Perlmutter citò come esempio tutti i film supereroistici femminili usciti fino ad allora: “Supergirl” e “Catwoman” tratti da fumetti DC Comics ed “Elektra” tratto da un fumetto Marvel. Il CEO di allora ricordò a Feige che i tre lungometraggi incriminati fossero stati dei grossi flop al botteghino, omettendo tuttavia il fatto che fossero considerati anche e soprattutto un grande fallimento dal punto di vista qualitativo.

Kevin Feige non prese molto bene questa riluttanza creata solo a causa di un pregiudizio, ma aveva comunque le mani legate, così cercò di trovare la strategia giusta affinché il suo tentativo di creare un universo che rispettasse in pieno lo spirito delle creazioni di Stan Lee (e quindi un mondo in cui ogni comunità ha il giusto spazio, cosa su cui i fumetti Marvel insistono dagli anni 60) non fosse ostacolato. Tuttavia come convincere dei produttori che le donne nelle vesti di supereroine possono attirare davvero il pubblico in un film cinematografico se non si ha la possibilità di produrre un lungometraggio? Il film si fece, ma attraverso un’altra modalità. Infatti fino a quel momento i prodotti dei Marvel Studios avevano toccato ogni forma di distribuzione, tra cui i Marvel One-Shots, cortometraggi che non superavano i 4 minuti e realizzati per piccole sperimentazioni fatte con lo scopo di creare piccole gag e personaggi che potessero essere simpatici al pubblico ma senza un chiaro futuro.

Fu proprio quella sezione ad essere sfruttata da Feige, che decise però di utilizzare un maggior dispendio di mezzi per realizzare un cortometraggio che per la prima volta arrivasse alla durata di 15 minuti ed avesse la stessa credibilità di un lungometraggio attraverso delle scene d’azione che non avessero nulla da invidiare a quest’ultimo. A differenza dei corti precedenti che erano semplicemente degli sketch, stavolta il pubblico doveva avere l’impressione di guardare un’opera con una storia carica di tensione che appassionasse dall’inizio ed avesse una fine. Questo cortometraggio, che uscì nel 2013, era “Agente Carter“. L’opera parla di Peggy Carter che, dopo aver perso l’amato Steve Rogers durante gli eventi di “Captain America: Il Primo Vendicatore“, continua a lavorare per i servizi segreti americani anche dopo la fine della guerra, ma senza mai riuscire ad ottenere una missione che la vedesse intervenire direttamente sul campo, a differenza dei suoi colleghi maschi… fino a quando la stessa Carter non deciderà di eludere alcune regole andando a fare una missione senza che i suoi superiori lo sappiano.

Il poster del film.

La struttura del cortometraggio è semplice: mostrare la protagonista sfidare agenti segreti nemici della nazione attraverso le sue grandi abilità sia nel combattimento che nell’intelligenza. Al di là delle scene d’azione, che sono girate bene sfruttando scenografie che richiamano apparentemente ad un noir per poi puntare su una messa in scena spionistica con stampi fumettistici, il cuore del film è la voglia di riscatto di Peggy Carter, messa da parte subito dopo la fine della guerra ed a cui non viene data possibilità di andare avanti e sviluppare la propria carriera solo perché è una donna.

Il film infatti vuole rappresentare attraverso dettagli semplici ma efficaci la presenza forte di misoginia diffusa negli anni 40 attraverso le discutibili decisioni del superiore di Carter, che è l’agente John Flynn. Tale agente rappresenta tutto ciò che è negativo in un posto di lavoro: l’incapacità di vedere oltre i preconcetti a tal punto da considerare qualsiasi dimostrazione del contrario come un affronto, perché, anche quando i risultati dimostrano con obiettività chi possiede straordinario talento che possa portare benefici a tutti, pur di non mettere in discussione le valutazioni di un uomo presente al potere allora quella persona deve essere bloccata. Non contano le abilità, ma il volto a cui appartengono quelle abilità e se ciò è in contrasto con le proprie convinzioni, allora deve essere messo a tacere. Questa è la misoginia denunciata nel film.

Peggy Carter invece rappresenta la voce di tutti coloro che vogliono combattere perché sanno di poter essere utili del mondo e sanno di valere qualcosa, prendendo iniziative che mostrano le proprie capacità e trovando il coraggio di affrontare chi la guarda con disprezzo. Peggy ha lo stesso carisma di qualsiasi grande supereroe mostrato nel cinema fino ad allora, riuscendo nell’obiettivo di esaltare chi la guarda compiere grandi imprese e che allo stesso tempo riesce a riscattare tutte le persone che si sentono messe da parte senza meritarselo. Non è un caso che Feige abbia deciso di produrlo, perché l’intera narrazione rappresenta una protesta contro i suoi superiori per dimostrare loro che le donne spaccano e non hanno nulla da invidiare ai supereroi maschi, proprio come l’Agente Carter lo dimostra all’agente Flynn.

Bradley Whitford e Hayley Atwell nel ruolo degli agenti Flynn e Carter.

Il cortometraggio venne accolto molto bene dalla critica e soprattutto procurò numerose standing ovation durante le sue proiezioni fatte durante iniziative come il Comicon di San Diego (per chi volesse recuperarlo, può tranquillamente trovarlo su Disney Plus o tra i contenuti speciali dell’edizione blu-ray di “Iron Man 3“). Tuttavia, nonostante l’ottima accoglienza, il piano di Kevin Feige, che aveva intenzione di sfruttare il personaggio di Peggy Carter più volte nel MCU, ebbe un inaspettato cambiamento: la reazione molto positiva fu notata dall’ABC che propose alla Marvel Television di realizzare una serie TV che si collegasse a quel corto. La Marvel Television, a quei tempi non controllata ancora da Feige, accettò di farlo e venne creata “Agent Carter” che durò due stagioni. A causa di ciò, tutto l’entusiasmo scatenato dal cortometraggio per continuare puntare ruoli femminili più forti nell’universo cinematografico fu dirottato nel piccolo schermo che all’epoca non aveva ancora l’importanza che le serie su Disney Plus hanno adesso. In questo modo tutta l’operazione venne relegata a dei prodotti che, pur avendo pubblico, non raggiungevano lo stesso impatto delle opere cinematografiche e per questo i dirigenti Marvel di allora persero subito interesse per le donne al cinema costringendo nuovamente al rimando di questi progetti il povero Feige (che si vendicherà negli anni successivi, rendendo non canonica “Angent Carter” come succederà anche alla serie “Agents of S.H.I.E.L.D”).

Sappiamo come le cose sono andate dopo: nel 2017 arrivò il successo economico di “Wonder Woman” che vedeva per la prima volta una donna protagonista in un cinecomic, cosa che poi venne seguita da “Captain Marvel” che ottenne un riscontro di pubblico ancora più forte. Da lì in poi le donne troveranno sempre di più il loro riscatto supereroistico sia nei blockbuster cinematografici che nelle serie tv dal budget importante, ma se ci sono voluti anni per convincere la produzione di opere stand alone nonostante il grande numero di fan di personaggi come la Vedova Nera, Tempesta e Gamora, vuol dire che la lotta non è stata vana e c’è ancora bisogno di andare avanti.