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Euphoria 2×01: Glitter e Sangue 

Le porte di un vagone che si chiudono, un treno che parte, lacrime che solcano le gote del viso, un addio soltanto sospirato nella speranza che non sia definitivo: così avveniva lo straziante commiato tra Rue e Jules alla fine della prima stagione di “Euphoria”, lasciando tutti gli spettatori col fiato sospeso e il cuore ricolmo di commozione in attesa della seconda stagione. Nel corso di questo arco temporale tuttavia, causa i tristemente noti eventi degli ultimi due anni, le nostre vite (non solo) spettatoriali hanno subito un forte sconquasso e i due bellissimi special della serie, rilasciati a cavallo tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, “Trouble Don’t Last Always” e “Fuck Anyone Who’s not a Sea Blob” dedicati rispettivamente a Rue e Jules (Zendaya e Hunter Schafer nella serie), sembravano cogliere con estrema puntualità il disagio e il disperato bisogno di supporto psicologico ed emotivo che molti appartenenti alla Generazione Z manifestavano e continuano a manifestare, come testimoniato inesorabilmente dalla cronaca quotidiana.

Il primo episodio di questa seconda stagione “Tryin’ to Get to Heaven” (titolo di una celebre canzone di Bob Dylan) si apre adoprando un registro che sembra esulare dai canoni tipici di Euphoria. La macchina da presa segue una donna uscire da un’auto con una pistola e un incipit molto simile a quello di “Goodfellas” di Martin Scorsese ci introduce in quello che si rivela fin da subito essere un flashback che narra l’infanzia e l’adolescenza di Fezco e Ashtray, i due dealer grandi amici di Rue. I richiami al cinema gangster tuttavia non si esauriscono qui, infatti un montaggio più concitato rispetto agli standard della serie ed una sequela di richiami più o meno espliciti a diversi gangster movie (impossibile non cogliere il riferimento alla scena della mazza da baseball di “The Untouchables” o il richiamo al massacro nell’appartamento di “Scarface”, con tanto di poster in bella mostra sulla parete) si ibridano con l’atmosfera crepuscolare e torbida di Euphoria creando un mix tra il grottesco ed il comico veramente riuscito. Il tutto viene narrato dall’immancabile (e come sempre inaffidabile) voce narrante di Rue che ci conduce fino all’inevitabile morte della nonna di Fez, la donna con la pistola dell’inizio, che lascia i due ragazzi soli e con a disposizione un gran quantitativo di droga che, come sappiamo a posteriori dalla serie, diventerà la loro maggior fonte di sostentamento.


Il primo episodio di questa seconda stagione “Tryin’ to Get to Heaven” (titolo di una celebre canzone di Bob Dylan) si apre adoprando un registro che sembra esulare dai canoni tipici di Euphoria. La macchina da presa segue una donna uscire da un’auto con una pistola e un incipit molto simile a quello di “Goodfellas” di Martin Scorsese ci introduce in quello che si rivela fin da subito essere un flashback che narra l’infanzia e l’adolescenza di Fezco e Ashtray, i due dealer grandi amici di Rue. I richiami al cinema gangster tuttavia non si esauriscono qui, infatti un montaggio più concitato rispetto agli standard della serie ed una sequela di richiami più o meno espliciti a diversi gangster movie (impossibile non cogliere il riferimento alla scena della mazza da baseball di “The Untouchables” o il richiamo al massacro nell’appartamento di “Scarface”, con tanto di poster in bella mostra sulla parete) si ibridano con l’atmosfera crepuscolare e torbida di Euphoria creando un mix tra il grottesco ed il comico veramente riuscito. Il tutto viene narrato dall’immancabile (e come sempre inaffidabile) voce narrante di Rue che ci conduce fino all’inevitabile morte della nonna di Fez, la donna con la pistola dell’inizio, che lascia i due ragazzi soli e con a disposizione un gran quantitativo di droga che, come sappiamo a posteriori dalla serie, diventerà la loro maggior fonte di sostentamento.

 

Questa sezione iniziale è seguita dall’avvicendamento di Fez a Mouse (il dealer da lui ucciso nella prima stagione) nel suo giro di affari, non senza peripezie che coinvolgono anche Rue, dedita nuovamente all’uso di stupefacenti, e Ashtray. Il cuore di questa prima puntata è tuttavia costituito dalla triplice linea narrativa su cui si dipana la narrazione dell’oceanica festa di Capodanno con cui gli studenti della East Highland High School salutano il vecchio anno per abbracciare il nuovo. Con una magistrale gestione degli spazi Sam Levinson mette in scena: il flirt ed il successivo rapporto sessuale tra il mefistofelico Nate e Cassie ormai in preda alla disperazione, l’incessante ricerca da parte di Jules di Rue (che nel frattempo rischia di andare in arresto cardiaco a causa di una overdose) e il mistico dialogo tra un meditabondo, ma non inattivo, Fezco e Lexi. Questi fili di una stessa tela andranno a culminare nel romantico e sanguinario finale di puntata che ci lascia in trepidante attesa della prossima iterazione della serie.

 

Da un punto di vista prettamente stilistico poi questa prima puntata conferma tutti i punti di forza della prima stagione: il registro espressionista e surrealista del comparto fotografico sono con grande perizia amalgamati da una regia barocca ma che mai sfocia nell’autocompiacimento o nell’onanismo visivo, dimostrando di nuovo come approcci di questa fatta possano approdare agli stessi risultati contenutistici ottenuti da narrazioni più spiccatamente realistiche o addirittura documentaristiche (il pensiero corre immediatamente all’egregia fotografia dell’America attuale che restituiscono serie quali “Cheer” o “Last Chance U”). Brillante dimostrazione di tutto questo gli effetti di luce a chiusura della puntata che, ricordando scatti di polaroid, intrappolano i personaggi in questa sorta di eterno ritorno in cui sono condannati, come all’interno di questa festa simil-GironeDantesco, a ripetere errori già commessi e a scavare solchi ancora più profondi nelle ferite di interminabili dolori.

Euphoria si serve di una lente distorta, plasmata da un comparto visivo dalla rutilante estetica, per penetrare fin nelle viscere del disagio degli Stati Uniti post-11 Settembre, rendendo l’ottica di finzione della serie strumento conoscitivo e di analisi per eccellenza. I personaggi sono privi di mezzi per cambiare la propria situazione, costruire nuovi rapporti sociali sinceri o emanciparsi in quanto avviluppati e soffocati dall’opprimente ambiente che li circonda e che loro stessi, il più delle volte, contribuiscono a creare. Questo senso di sopraffazione è abilmente veicolato tramite un frequente ricorso al primo e primissimo piano (talvolta sfociando addirittura nel particolare) e una quasi totale assenza di piani lunghi, che anche quando presenti contengono ampie sezioni di oscurità, come a privare i personaggi di un adeguato spazio vitale.

 

Date queste premesse risulta impossibile non aspettare con enorme curiosità la prosecuzione di questa stagione la prossima settimana.

 

 

P.S. Come anche specificato da Zendaya sui suoi social la visione di questa serie è consigliata ad un pubblico adulto e in grado di sostenere la trattazione cruda di tematiche quali la dipendenza da stupefacenti e la depressione, il consiglio è di tenersene alla larga se si è particolarmente suscettibili in tal senso.

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