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Don’t look up: Il film simbolo del nostro tempo

Dopo aver affrontato retroscena di eventi passati che hanno plasmato la nostra storia recente come la crisi economica del 2008 e la guerra in Afganistan e Iraq, Adam McKay sposta la lente del suo cinema satirico su quello che è forse il più grande problema dei nostri tempi. L’incapacità della società contemporanea, nonostante i continui allarmi lanciati dalla comunità scientifica, di rendersi conto di quanto sia reale e tangibile la minaccia dei cambiamenti climatici e di quanto sarebbe importante porvi rimedio prima che sia troppo tardi.

Eh si! Probabilmente pensava proprio a questo il regista di Vice nello scrivere Don’t look up nel 2019, mentre poneva quella terrificante cometa che punta dritta sul nostro pianeta, ma che finché resta visibile solo agli astronomi, agli occhi della massa rimane semplicemente argomento di dibattito da terza serata piuttosto che pericolo imminente, come metafora del surriscaldamento globale. Ciò che però non avrebbe mai potuto immaginare è che una nuova invisibile minaccia sarebbe arrivata di lì a poco a ritardare la produzione del suo film e a rendere la sua intuizione iniziale ancora più geniale. Perché se Don’t look up è di per se una spietata satira che tocca ogni aspetto della nostra società contemporanea e sull’incapacità dell’uomo di sacrificate i propri interessi presenti per evitare catastrofi future, il suo messaggio diventa ancora più terribilmente attuale se pensiamo alla pandemia e a ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni. Prendete la cometa Dibiasky, mettete al suo posto il COVID-19, ed ecco che da un film fantascientifico-catastrofico otterrete un perfetto ritratto degli primi anni 2020.

“Voglio morire, come mio nonno, nel sonno… non gridando nel terrore come quello che erano in macchina con lui”

Don’t look up è il film manifesto della Pandemia. C’è tutto. Ci sono gli scienziati che cercano inutilmente di avvisarci del pericolo imminente ritrovandosi incastrati nelle becere dinamiche dei talk show che rendono qualsiasi argomento ambiente di chiacchiericcio e insulso dibattito, i politici che agiscono solo in base alle proprie convenienze elettorali, l’incapacità dei più di relazionarsi con il metodo scientifico e l’analisi dei dati con tutte le interpretazioni errate che ne derivano, gli imprenditori che puntano al profitto a qualsiasi costo, i guru, i meme, gli scettici del finché non vedo non credo, gli eroi da copertina e i complottisti. Ogni reazione della nostra società di fronte alla minaccia del Covid-19 è messa alla berlina con raffinata intelligenza, sempre in perfetto equilibrio tra parodia e realismo, tra commedia e dramma, senza mai scadere nel demenziale, facendoci sempre riflettere su quanto quei personaggi e quelle situazioni così tragicomiche non siano poi così distanti da quelle che vediamo ogni giorno in tv. Infiniti gli spunti di riflessioni, tante le piccole chicche satiriche sparse qua e là, i sottotesti, i messaggi palesi e tra le righe. Nota di merito per il significato dietro la vendita di acqua e snack (chi ha visto il film sa).

Adam McKay firma a mio parere la sua sceneggiatura più profonda, confezionata come solo lui sa Fare, con un montaggio e una regia dinamica e innovativa, decisamente poco convenzionale, accompagnata anche da una ottima colonna sonora. Gioca con i cliché del genere catastrofico, li deforma e li piega al suo volere pur restandone perfettamente nei binari, sia nelle scelte di scrittura sia in quelle visive. Non mancheranno quindi rimandi a film come Armageddon, Deep Impact e Emmericcate varie. C’è l’America al centro del mondo come se la catastrofe riguardi solo lei, ci sono gli shuttle che partono accompagnati da musiche solenni, il discorso del presidente degli Stati Uniti all’intero pianeta. C’è tutto quello che un fan del genere potrebbe chiedere.

Ciò che però ancora di più contribuisce ad elevare la pellicola è il ricco Cast. In primis i due protagonisti. Un Di Caprio che torna sul grande schermo con l’ennesimo ruolo della vita e torna a dare sfogo a tutta la sua verve tragicomica già ampiamente dimostrata in “The Wolf of Wall Street” e una stupenda Jennifer Lawrence perfettamente in parte e autoironica. Tutto intorno a loro un susseguirsi di grandi star sapientemente impiegate da Adam McKay come dei veri e propri caratteristi. E così Mark Rylance è chiamato al ruolo che, dopo Ready Player One, gli riesce meglio: il ceo visionario e fuori dal mondo in stile Steve Jobs. Jonah Hill l’irritante ricco edonista. Ron Perlman l’eroe americano razzista e guerrafondaio. Ariana Grande è una versione parodizzata di se stessa e ci regala una canzone originale da Oscar. E così via. McKay sa però anche giocare con lo spettatore e con i suoi attori con scelte sovversive e inaspettate come quella di usare l’hipster fatto attore Timothee Chalamet per il ruolo di uno sciatto skeater o quella della rassicurante mamma d’America Meryl Streep, paladina del Me too, per il ruolo di vero e proprio un presidente Trump al femminile.

Passerei ore a raccontarvi i dettagli di questa pellicola, tutte le piccole geniali trovate, ogni elemento ma non voglio rovinarvi la Visione. Fatevi un favore, non aspettate che esca su Netflix, correte al cinema, portate i vostri amici, aprite la mente e lasciatevi ammaliare da una delle pellicole più godibili degli ultimi anni. Don’t look up è il film da far vedere ai nostri nipoti per raccontargli degli anni che stiamo vivendo con la speranza che i suoi messaggi non vengano ignorati perché chiusa questa triste parentesi chiamata pandemia c’è ancora una immensa cometa che punta dritta su di noi con cui avere a che fare. Adesso ancora non la vediamo, ne sentiamo solo parlare ma presto, purtroppo, basterà alzare lo sguardo al cielo per osservarla ad occhio nudo.

Voto: 10/10

Carlo Iarossi

Andrea Barone: 10
Andrea Boggione: 9
Christian D’Avanzo: 9
Paolo Innocenti: 10
Paola Perri: 8
Giovanni Urgnani: 9
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