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“Raw – Una Cruda Verità”: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta in chiave horror

Ben tornati nella rubrica “IConsigliati”, sezione in cui analizziamo dei film cinematografici davvero validi che vi consigliamo caldamente. Il film in questione è “Raw – Una cruda verità” (“Grave”), horror del 2016 scritto e diretto da Julia Ducournau, qui al suo esordio dietro una macchina da presa. Presentato nella sezione Settimana internazionale della critica al Festival di Cannes 2016, dove ha vinto il premio FIPRESCI (La Fédération internationale de la presse cinématographique). Possiamo inserire quest’opera nell’interessantissimo filone del new horror francese, che vede protagonisti registi come Pascal Laugier, Alexandre Aja, Alexandre Bustillo, Xavier Gens.

La protagonista è Justine (Garance Marillier), una timida adolescente francese che si è appena iscritta all’università in Belgio per diventare veterinaria, così come fecero i suoi genitori e come sta facendo tua sorella maggiore Alexia (Ella Rumpf) al secondo anno. Come tutte le altre matricole, è vittima di atti di nonnismo, e per non farsi emarginare più di quanto non lo sia già per il suo essere vegetariana viene costretta a mangiare per la prima volta la carne come rito di iniziazione, e dopo aver assaggiato quel boccone la sua vita cambia inesorabilmente, viene afflitta da voglie incontrollabili e attacchi di rabbia che la condurranno al cannibalismo.

L’incredibile lavoro svolto dalla regista sta nel presentare un’opera in cui si rivisita in chiave horror un aspetto drammatico della vita: come si cresce e come ci si riesce a distaccare dal nucleo familiare per poi raggiungere la propria maturazione. Il come è splendido da un punto di vista tecnico, con una messa in scena che fa invidia per come cura i dettagli, una regia geometrica e claustrofobica che alterna primi piani più intimi a campi lunghi freddi, distaccati, e una fotografia che mette in evidenza i colori negli interni mentre si concede un grigiore generale negli esterni, risultando molto fredda come le scenografie (la struttura dell’università malconcia ad esempio) ma allo stesso tempo mettendo anche in risalto il colore del rosso (il sangue, non a caso). Ma anche per quanto riguarda la stesura della sceneggiatura, Julia Ducorunau si accinge a dare forma all’informe con un horror psicologico disturbante che proprio non si riesce a smettere di guardare, nonostante il suo essere crudo possa recare fastidio, alla fine a prevalere è l’estrema curiosità nel vedere e scoprire cosa accadrà al personaggio di Justine. Fantastico proprio questo aspetto, ossia il come lo spettatore venga catapultato in un lungometraggio di 95 minuti capace di attrarre e allontanare nello stesso tempo, ed è un’abilità non da poco. La storia della protagonista è semplicemente un passaggio dall’adolescenza all’età adulta, quando ci si stacca dalla nostra casa d’infanzia, dalla nostra amata famiglia per passare allo step successivo, l’indipendenza, in questo caso il diventare donna. Questo passaggio viene segnato dall’assaggio di un rene di coniglio crudo che scatena in Justine quella che si pensava essere un’intossicazione alimentare (chiazze rosse e prurito), e invece si rivela essere qualcosa di molto più profondo, un distacco dalla famiglia vegetariana da sempre, in favore di un qualcosa di nuovo, in questo caso la carne (simbolicamente questo passaggio viene fatto notare con la pelle della ragazza che si squama, quindi c’è proprio un cambio di pelle fisico e metaforico). Ci sono tanti elementi che ci instradano verso l’ipotesi di come Justine e sua sorella Alexia siano state cresciute in modo molto rigido dai loro genitori (ad esempio, è un caso che entrambe stiano studiando veterinaria alla stessa università frequentata in passato sia dalla mamma che dal papà?), mostrandoci anche la differenza tra le due sorelle che condividono la stessa condanna: una voglia irrefrenabile di carne cruda (dal titolo del film “Raw”). La differenza sta nella personalità, perché mentre Justine è sempre stata un prodigio a scuola ma introversa e con palesi problemi sociali, al contrario Alexia è estroversa, amica di molti all’università, ma ritenuta quasi come la pazza della famiglia. Anche per quanto riguarda la caccia alla carne, Justine ha attacchi di rabbia che cerca di controllare o comunque lasciar sfogare per conto proprio, al contrario Justine è un’impavida cacciatrice in attesa di una preda.

Justine (Garance Marillier) mentre viene costretta dalla sorella Alexia a mangiare il rene di coniglio crudo

In tutto questo c’è la scoperta corporea della ragazza che diventa donna, sensazioni mai provate prima e soprattutto pulsioni sessuali dovute all’attrazione per un ragazzo in particolare, il compagno di stanza di Justine, Adrien (Rabah Naït Oufella), nonostante si fosse dichiarato omosessuale. Nel frattempo la giovane donna si ritrova quindi ad affrontare tante verità tutte insieme, e questo non può far altro che farla vacillare più e più volte mentre è alla scoperta della propria identità. La carne rappresenta la sessualità, le pulsioni che l’essere umano non può far a meno di provare, ricordandoci quanto siamo anche essenzialmente composti da istinti animali e selvaggi, e rappresenta anche l’oggetto o l’amato che si vuole possedere (come possederlo al meglio se non ingerendo la sua carne?). Il rapporto tra le due sorelle è a tratti composto da momenti di compassione e amore fraterno, a tratti di momenti quasi d’odio ed estremamente conflittuali, con una messa in scena anche violenta per rendere al meglio l’idea. Questo perché sono due persone cresciute nello stesso modo ma che hanno sviluppato due personalità totalmente differenti, e questo si rispecchia come accennato già in precedenza, anche nella loro fame: da un lato Justine tenta sempre di controllarsi, di combattere il suo istinto, la sorella al contrario l’abbraccia completamente in modo cinico, freddo, spietato.

Insomma, fatevi un favore e recuperato questo gioiellino che va ad affiancarsi imponentemente a film come “Martyrs” e “La Casa delle Bambole” (di Pascal Laugier). Come la maggior parte dei film di questo filone, anche “Raw” mescola i sottogeneri dell’orrore, principalmente in questo caso il body horror e quello psicologico, con una tecnica sontuosa ad affiancare una sceneggiatura a tratti complessa nella sua costruzione. Ad avercene di horror così ogni anno!

– Christian D’Avanzo