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“Accadde una notte”: recensione di un classico del cinema americano

Ben tornati nella rubrica “IConsigliati”, sezione in cui analizziamo dei film cinematografici davvero validi che vi consigliamo caldamente. Il film in questione è “Accadde una notte” (“It Happened One Night”) del 1934 diretto da Frank Capra. Fu il primo a vincere i cinque maggiori premi Oscar, chiamati non a caso i “Big Five” (miglior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e attrice protagonista), successivamente vinti solo da “Qualcuno volò sul nido del cuculo” nel 1976 e da “Il silenzio degli innocenti” nel 1992. Lo si può considerare un grande classico del cinema americano anche in virtù delle caratteristiche presenti all’interno dell’opera e ragion per cui viene visto come uno dei capisaldi del cinema classico.

Proprio per lo spirito e i temi che ci propone Frank Capra a suo modo, “Accadde una notte” incarna perfettamente quello che è il cambiamento sociale, politico e culturale negli Stati Uniti e nel cinema americano. Quest’ultimo si impegna socialmente e le sue caratteristiche cambiano rapidamente consentendogli di aiutare il presidente Roosevelt ad attuare il suo piano di riforme, il New Deal, per riprendersi dal crollo delle certezze dopo la Grande Depressione e per proporre una ricostruzione del paese creando lavoro e rilanciando l’economia. L’obiettivo era quello di riportare nei cittadini fiducia per le istituzioni, speranza per il futuro, gioia di vivere e restituire credito ad alcuni valori fondamentali come il rapporto di coppia, la famiglia e il lavoro. Come cambia il cinema in virtù di questo? Innanzitutto occorreva un cinema che fosse chiaramente accessibile a tutti, leggibile da tutti i livelli culturali e senza fare distinzioni di classe; poi doveva essere uno strumento per interpretare il mondo, che aiutasse gli spettatori a comprenderlo, e per questo si specializzò nella narrazione di storie e si ebbe il primato dell’azione. Questo implicava dei cambiamenti anche per quanto riguarda lo stile e il modo in cui fare i film: lo stile non è più personale ma una marca collettiva, un paradigma comune a tutta la produzione (infatti si inizia a parlare di stile della casa di produzione); le caratteristiche comuni a tutti i film appartenente a questo periodo storico si sposano perfettamente con gli ideali politici dell’epoca, infatti lo spettatore si sentiva onnipresente e onnisciente attraverso l’illusione di realtà (è un sistema di rappresentazione retorica che induce lo spettatore a dimenticare o accantonare il cinema come sistema per godersi solo la storia), il montaggio narrativo era il più utilizzato proprio per creare una continuità temporale e spaziale illusoria, tramite inquadrature discontinue, girate in luoghi e tempi diversi e montate in una sequenza unica, vi era una trasparenza del linguaggio cinematografico (movimenti di macchina limitati, messa a fuoco dei personaggi dando poca importanza agli ambienti e lo sfondo, montaggio pressoché invisibile e regolato sui movimenti e gli sguardi dei protagonisti, fotografia che cerca di imitare gli interni reali, degli obiettivi che devono dare un’immagine chiara della scena), e infine doveva esserci un happy ending dopo che si è passati per una situazione sfavorevole. Uno dei maestri a cui si deve la conquista di questa complessa grammatica del film narrativo è Frank Capra, che è forse il regista più importante del New Deal, autore di alcune delle più belle commedie hollywoodiane di sempre. Lui fu la prova che nella “gabbia” del cinema americano classico ognuno doveva cercare la propria identità e conquistarsela (infatti non veniva tolto tutto lo spazio ai singoli artisti), dando vita a un gioco fra norme e trasgressioni, e nel 1934 con “Accadde una notte” esplose il successo di Capra e della casa di produzione per cui lavorava, la Columbia (all’epoca era una piccola casa di produzione).

Il film ci racconta la storia dell’incontro tra Ellie (Claudette Colbert), una bella e simpatica ereditiera in fuga dal padre che vuole impedire il suo matrimonio con un aviatore, e Peter (Clark Gable), un giornalista dalla spiccata personalità ma squattrinato. Nel corso di un lungo viaggio in cui Peter si prende cura di lei, i due s’innamorano, ma il loro amore non può andare a buon fine poiché il padre di Ellie vuole farle sposare un uomo ricco; ma sarà proprio il padre che alla fine, accortosi del dolore della figlia e della profonda onestà di Peter, farà saltare il matrimonio con l’aviatore.

Lo stile di Frank Capra è caratterizzato da una dominanza assoluta dell’azione e lo spettatore viene coinvolto dentro la storia fino in fondo. Abbiamo un montaggio invisibile basato su raccordi di movimenti (la cinepresa cambia luogo seguendo il movimento di un personaggio che ci guida attraverso una serie di spazi diversi) e dialoghi serrati, brillanti, con trovate ingegnose e simboliche come la famosa coperta stesa da Peter fra i due letti nelle notti che passano insieme prima del matrimonio, concentrando l’attenzione dello spettatore interamente sul contenuto. Non c’è una sola inquadratura nella quale non accada qualcosa, il flusso dell’azione e dei dialoghi è trascinante e lo stile è talmente limpido da diventare trasparente con questo effetto flou che sembra ripulire le immagini e trasmettere quasi un’aura di sogno. Insomma, il cinema inteso come macchina da presa scompare a vantaggio della storia che racconta. La tesi intelligente e nuova di questa commedia è che nello scontro tra uomo e donna non c’è soltanto un’intesa sessuale ma anche il recupero del piacere di giocare che caratterizza l’infanzia; i protagonisti infatti hanno bisogno di vincoli ma anche di libertà, cercano l’ordine ma anche il disordine, e la loro storia racconta una vera e propria rinascita (ci si libera delle convenzioni sociali), giocano tra di loro (e per giocare intendo non solo scherzare ma mettere in gioco tutto, buttare all’aria ciò che si è conquistato per ricreare nuove situazioni, orizzonti e prospettive).


Ellie (Claudette Colbert) e Peter (Clark Gable) divisi dalle famose “Mura di Gerico” in una scena del film

Capra conosce bene la psicologia dei suoi concittadini e inserisce del simbolismo nascosto nell’inquadratura, facendo riferimento al puritanesimo americano con ironia. Non a caso sono tre le volte in cui Ellie e Peter dormano insieme ed in cui vediamo tratti fondamentali per la psicologia e lo sviluppo dei personaggi: prima in una camera di motel, una volta in un pagliaio e infine di nuovo in una camera di motel, ed il gioco del sesso è tutte e tre le volte in primo piano. Quando sono al motel la prima notte appendono una coperta a una corda separando i due letti, le “mura di Gerico” la chiamano, ed è simbolo di una separazione rassicurante, che però già comincia a cedere quando la protagonista butta sopra la corda la sottoveste (primo segno di comunicazione involontaria). Il maschio alpha domina, Ellie ne è lieta e dispiaciuta allo stesso tempo. Spenta la luce, dai vetri della finestra bagnata dalle gocce filtra il chiarore della luna, una sottile magia che traduce visivamente il desiderio dei due. Man mano che Peter e Ellie vivono insieme, attraverso rotture, bisticci e malintesi non nasce soltanto l’amore come in una qualsiasi banale commedia, ma anche la consapevolezza che nessuno dei due finora è stato sé stesso. La seconda volta nel motel, quando Ellie non attendeva altro che l’amore, Peter esce di nascosto dalla camera e va a telefonare al giornale dicendo che avrebbe sposato lui la giovane miliardaria. Ellie si sveglia, non lo vede, crede di essere stata abbandonata. Dunque, è stato tutto uno sbaglio. Ellie è convinta che Peter sia andato a riscuotere il premio che suo padre aveva promesso a chi avrebbe ritrovato sua figlia. La ripicca è subito pronta ed Ellie decide di tornare a casa e sposare l’aviatore. Quando la cerimonia elegante e sfarzosa sta per culminare nel sacro vincolo del matrimonio, la nostra protagonista non resiste, abbandona la festa e scappa. L’ultima inquadratura ci mostra un’altra volta in un motel, con le “mura di Gerico” fra i due letti, sentiamo uno squillo di tromba e viene lasciato intendere che finalmente le bibliche “mura” sono state fatte cadere e quindi il desiderio viene appagato. Il viaggio dei due protagonisti li ha cambiati, hanno conosciuto loro stessi e si sono innamorati perdutamente l’uno dell’altro dopo che per tutto il film Peter è stato dipinto come un uomo alla mano, sveglio e comprensivo, incarnando i “poveri” che sono l’anima del populismo roosveltiano, mentre Ellie non è un’inetta ma una donna con una personalità forte e spigliata (e così che cambiano anche i divi del cinema in questo periodo: dalla provocante Gloria Swanson alla spigliata, vivace, polemica, brillante ma un pò più conformista, Claudette Colbert) i milioni, e il matrimonio elegante, hanno importanza ma non tanta da annullare nella ragazza il bisogno di conoscersi e di essere riconosciuta per quello che è. Inoltre il film consacrò Gable come sex symbol maschile mostrandolo a torso nudo nella celebre scena in cui si toglie la camicia nella prima volta al motel, ma anche la Colbert ebbe la sua scena-simbolo, quando per chiedere un passaggio in autostop anziché usare il pollice mostra la giarrettiera bloccando all’istante un automobilista di passaggio.

“Accadde una notte” per tutte le ragioni discusse fino ad adesso, rimane un film senza tempo che ha segnato inevitabilmente il genere della commedia mescolando elementi appartenenti a diversi sottogeneri come la commedia sofisticata, la svitata e quella di situazione (anticipando anche un po’ quello che sarà un nuovo genere negli anni 60’, ossia l’on the road) e che ha in sé caratteristiche proprio del cinema classico. Un must se ancora non lo avete visto, fatevi questo piacere e regalatevi 1 ora e 45 di emozioni!

– Christian D’Avanzo

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