Articolo pubblicato il 7 Giugno 2025 da Gabriele Maccauro
Il 6 giugno 2025 ha fatto il suo esordio, sulla piattaforma di streaming Netflix, la nuova serie sudcoreana Mercy for None, diretta da Choi Sung-eun e con So Ji-sub, Huh Joon-ho, Gong Myeong, Cho Young-woo, Ahn Kil-kang e Jo Han-chul nel cast. Benché molti di questi possano dire ben poco allo spettatore tradizionale, parliamo di alcuni dei volti più rappresentativi del cinema e della televisione sudcoreana, soprattutto So Ji-sub, che costituisce una vera e propria icona di questo tipo di genere; in effetti, seguendo a pieno merito uno dei filoni più fecondi e costitutivi della cultura cinematografica e televisiva asiatica, Mercy for None si affida ad un crudo intrattenimento intriso di violenza, sangue e scazzottate, con scene d’azione che dominano la narrazione. Un prodotto pensato solo ed esclusivamente per piattaforme, o qualcosa di più? Tentiamo di considerare tutto ciò che c’è da sapere, a proposito di Mercy for None, nella recensione della miniserie sudcoreana su Netflix.
Un impero costruito sul sangue
Con 7 episodi dalla durata media di 45 minuti e seguendo a pieno merito le logiche dell’intrattenimento da piattaforma, Mercy for None ha fatto il suo esordio su Netflix un po’ in sordina, nel più febbrile dei mesi per quanto riguarda le distribuzioni seriali in streaming. Fin dalla tagline promozionale della serie TV, ne possiamo apprezzare i contenuti fondamentali: il sangue è l’elemento su cui si struttura il regno delle gang a Seul, nonché la componente che osserviamo maggiormente all’interno della miniserie.
Con un ritmo serrato e con un ricorso costante alle scene d’azione, che lasciano spazio a ben poco altro e che si strutturano in forma di una coreografia in climax ascendente, Mercy for None racconta la storia di Nam Ki-jun (interpretato dal noto So Ji-sub), uno spietato ex membro di gang criminali che aveva deciso di ritirarsi a vita privata e di vedere al fascino della tranquillità, dopo aver provocato una guerra tra gang che aveva cambiato la struttura del potere nella città. Il suo ritorno all’azione coincide con la morte del fratello, che decide di vendicare sterminando non soltanto tutti coloro che hanno ordito contro di lui, ma smascherando anche nuove forme di potere all’interno della città.
La recensione di Mercy for None, tra violenza e intrattenimento per piattaforma
Se dovessimo stilare una classifica basata non su solide statistiche, ma sulla percezione comune dell’intrattenimento e del prodotto-base che maggiormente piace allo spettatore, accanto al true crime non potremmo che collocare anche le revenge stories. Il senso della vendetta, l’espressione costante della violenza e la realizzazione di un intero impianto thriller e d’azione sono parte di un intero meccanismo di incredibile valore, che connota numerosi prodotti indipendentemente dalla cura strutturale e dagli investimenti produttivi con cui questi sono realizzati. In ciò, la Corea del Sud ha una certa preminenza: è al contempo epicentro di un mercato asiatico particolarmente dedito all’intrattenimento violento e vicino al gusto e alle rappresentazioni tanto care alla cultura occidentale. In questo senso, un prodotto come Squid Game non arriva certamente dal nulla, ma è il risultato perfetto di quei calcoli algoritmici di cui le piattaforme sono intrise, con il successo globale sotto gli occhi di tutti.
E non arriva certamente dal nulla neanche Mercy for None, che sfrutta le medesime componenti pur sostituendone la cornice. Non il calcolo matematico della scenografia escheriana, bensì l’ampio respiro della città di Seul, teatro organizzato di scontri tra gang, sangue e violenza a profusione, colta nelle sue luci al neon e nelle insegne che di riflesso illuminano il pugno o la coltellata del momento. Per questa miniserie, a dire il vero, l’elemento tecnico – seppur presente e apprezzabile – è certamente più parco e meno influenzante di quanto non lo sia per Squid Game, lasciando all’interazione fisica tra i personaggi l’intero scettro della rappresentazione.
Il tutto, allora, si traduce nella presenza costante, quasi spasmodica, di So Ji-sub sullo schermo. La sua è un’interpretazione assolutamente riuscita, per cui l’attore fa valere non soltanto le sue grandi qualità, ma anche l’incarnazione di un personaggio che vive lo spirito della lotta e la disillusione per il risultato che questa può provocare, in quel costante sguardo stanco che accompagna il suo claudicante (e la zoppia è un fattore fisico interessantissimo, benché lontano dalla verosimiglianza dell’azione) agire all’interno della miniserie. Come per tutte le revenge stories ad personam, però, che il protagonista sia lo stesso So Ji-sub, Liam Neeson o addirittura Bob Odenkirk, il risultato è sempre lo stesso: la narrazione è così tanto egoriferita da non lasciar spazio ad alcuna possibilità di sviluppo altro; tutto ciò che contorna l’azione del protagonista, allora, ha lo stesso valore del quadretto bucolico: un’impalcatura vuota, che certo sta bene in piedi ma che non ha alvun elemento di merito se non il suo essere confinante.
Quello di Mercy for None è un intrattenimento coinvolgente, almeno per chi scrive, in cui il senso della gestione dei corpi è molto interessante. Accanto a coltellate, sangue che sgorga e (ridotti, per fortuna) colpi di pistola ciò che merita menzione è quella funzione quasi plastica dei fisici, che sembrano resistere a tutto, non patire mai il dolore, mostrando in maniera tronfia e netta l’aspetto della finzione. Di fronte al Nam Ki-jun che resiste a qualsiasi attacco, che non tentenna neanche con un coltello che gli recide i tendini, allora, sembra quasi di guardare ad un più terreno Superman, per cui si fa valere la dimensione della sub-umanità, del sangue e della lotta. Ma c’è anche un altro ragionamento da fare, a questo punto: Mercy for None è l’emblema di prodotti che nascono per lo streaming e che solo a questo sono destinati, tanto per il cinema quanto per la televisione; le logiche dell’intrattenimento cambiano, così come il mondo e il suo sguardo, e proposte di questo genere sembrano aver finalmente trovato una comoda e precisa collocazione, dove certo l’algoritmo domina e decide, ma dove – in fondo – si può decidere anche della malleabilità dei corpi, delle logiche della morte e di quanto davvero poco sia importante la realtà.