iHostage è l’ennesimo nuovo prodotto Apple sempre uguale al precedente

Basato su una storia realmente accaduta ad Amsterdam nel 2022, iHostage è un film thriller diretto da Bobby Boermans, che racconta di un uomo tenuto in ostaggio: ma con quale risultato?
La recensione di iHostage, il nuovo film olandese tratto da una storia vera

Articolo pubblicato il 20 Aprile 2025 da Bruno Santini

Ha fatto il suo esordio su Netflix a partire dal 18 aprile 2025, con una distribuzione in tutti i paesi in cui è attualmente attivo il servizio, iHostage, film thriller adrenalinico che racconta di un evento realmente accaduto ad Amsterdam nel 2022. Con lo sfondo di un Apple Store, in cui l’attentatore tiene in ostaggio un uomo, iHostage diventa ben presto un film che, portando avanti la sua narrazione piuttosto convenzionale e stereotipata, diventa il pretesto per mettere in scena – in maniera anche piuttosto grossolana – una sequela di prodotti Apple, ma siamo ben lontani dal bicchiere di Starbucks che figurava in Fight Club di David Fincher. 

Un nuovo thriller Netflix perfettamente uguale al precedente

Quando il termine thriller venne inventato per riuscire a connotare un genere di per sé indefinibile, difficilmente ci si aspettava una serie di aspetti (relativi soprattutto alla messa in scena, alla concezione del racconto e alla cornice strutturale) che sarebbero poi diventati tutti uguali, almeno in uno specifico modo di fare cinema. Di film come iHostage, ogni anno, ne vengono distribuiti numerosissimi e tutti hanno in sé delle caratteristiche che ci permettono di comprendere immediatamente qualcosa: il livello di disistima, innanzitutto artistica, che molto spesso porta questi prodotti ad essere realizzati. 

Non parliamo soltanto di budget, che sono evidentemente bassi e che dunque riportano a decisioni per ottimizzare spazi, tempi e risorse, ma anche di costrutti decisamente stereotipanti e stereotipati, che annullano un qualsiasi tipo di fruizione altra del racconto. Siamo entro i confini del thriller, ci si dice in soldoni, dunque è giusto che l’intera tipologia di film si svolga solo ed esclusivamente in un determinato modo: questo discorso diventa ancor più marcato quando non soltanto l’aspetto prettamente tecnico del racconto segue un modello precostituito, ma quando anche la tematizzazione dello stesso (di per sé un elemento di presumibile originalità) segue i medesimi canoni. 

Bobby Boermans dirige allora un thriller molto pigro – a tratti anche piuttosto noioso – in cui la funzione stessa del racconto sembra esaurirsi in due o tre elementi (non di certo intuizioni, poiché sono parte dello schema di cui sopra) da collegare l’uno all’altro, con un abbondante ricorso a dettagli ripetitivi e sfilacciati che tentano di tenere in piedi il film. Il tutto viene, allora, sorretto non soltanto da una sceneggiatura debole e colma di topoi, ma anche da un’interazione tra personaggi e attori che risolve esattamente nel modo in cui ci si aspetterebbe: incontri-scontri, tensioni, allenamento delle tensioni e poi ancora incontri-scontri, fino alla risoluzione finale che sgonfia tutto in maniera così goffa e repentina da delegittimare ancor più ciò che si è visto prima. Il restante posizionamento strutturale (da tutti gli altri attori alle storie soltanto pallidamente tratteggiate sullo sfondo) resta innocuo e incolore, tanto da essere immediatamente dimenticato. 

Un’immagine di iHostage, il nuovo film olandese tratto da una storia vera

La recensione di iHostage, o di come Apple conquista spazi d’arte (annientandoli)

Ogni anno, contemporaneamente con l’uscita del nuovo iPhone, lunghe file di potenziali compratori si creano al di fuori degli Apple Store, molto spesso filmate e con la gioia, gli applausi e lo champagne per i primi che riescono finalmente ad accaparrarsi l’ultimo modello. Che piaccia o meno, anche questo è parte di un mercato che si fa sempre più radicato in formule che non interessano (più) soltanto la qualità, la prestazione o l’efficienza, ma anche la comunicazione e la narrativa del prodotto. Ora, questo discorso potrebbe sembrare tendente verso una pretesa ideologica che soppianti il prodotto, ma il ragionamento che si vuole realizzare è un altro, aggiungendo anche che chi scrive, del resto, un prodotto Apple lo sta utilizzando. 

C’è una tendenza molto interessante nel cinema, così come nell’arte in generale, che ha a che fare con gli spazi, che sono del resto piccole culle di una sacralità di pensiero in cui si innesta non solo l’azione e la narrazione, ma anche l’oggetto della pretesa artistica di un autore; accade, talvolta, che gli spazi diventino luoghi in cui il potere si manifesta in maniera simbolicamente molto rilevante: di recente, ad esempio, Chris Columbus ha spiegato di essersi pentito del cameo di Donald Trump in Mamma, ho riperso l’aereo, ma del resto non avrebbe potuto farne a meno dal momento che il tycoon offriva sì la possibilità di girare all’Hotel Plaza, ma a patto di una sua comparsa nel film. 

Ecco che, allora, quella che osserviamo in iHostage è una realtà molto interessante relativamente alla questione spaziale, questo poiché ci troviamo sostanzialmente in un – sociologicamente parlando – non-luogo: un Apple Store, per l’appunto. Una realtà che funziona esattamente allo stesso modo di un McDonald’s (si paga, si consuma, si va via nel modo più veloce possibile) e che diventa, in questo film, preminente. Lo dicevamo in partenza: in Fight Club c’è sempre un bicchiere di Starbucks da qualche parte, e ogni scena mostra gli effetti pseudo-temporanei di piccoli fotogrammi e del loro effetto sulla percezione collettiva: un intelligentissimo esperimento, dunque, che forse preannunciava ciò che qui vediamo; iHostage, allora, forse neanche andrebbe valutato: poiché è in un non-luogo, in uno spazio di solo potere comunicativo, dunque diventa un non-film, che crea una situazione-tipo (ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa) per mettere in primo piano i suoi prodotti e non soltanto in forma di vetrina, ma addirittura permettendo che ci sia una costante interazione. 

Dal logo Apple sulla maglia di un dipendente, che sarà casualmente l’eroe di tutta la storia, agli AirPods come motore della narrazione, passando per un Mac che può essere aggiustato in soli dieci minuti, cambiando la batteria: il film si chiude, e che motivo avrebbe per farlo?, con una canzone che viene riprodotta dopo aver lentamente indossato degli AirPods (di nuovo il cortometraggio di Spike Jonze con Pedro Pascal? Almeno quella era dichiaramente una pubblicità), e segue così la sua tendenza che non si limita a pubblicizzare dei prodotti, ma introduce lo spettatore in una non-realtà, lo fa vivere in un Apple Store per 100 minuti e lo fa familiarizzare addirittura con luci, musica, prodotti scaraventati a terra, vetrine e tanto altro. Siamo già in un meta-cinema che non è più in funzione del product placement, ma che è esso stesso un breve rito di passaggio rispetto a qualcosa di evidentemente più grande, che lo accoglie: il futuro è quanto mai interessante e da tenere d’occhio.

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iHostage
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Basato su una storia vera che ha interessato un Apple Store di Amsterdam nel 2022, iHostage è un film olandese diretto da Bobby Boermans che rispecchia a pieno i canoni del thriller.

Voto del redattore:

1 / 10

Data di rilascio:

18/04/2025

Regia:

Bobby Boermans

Cast:

Matteo van der Grijn, Loes Haverkort, Jasmine Sendar, Marcel Hensema, Louis Talpe

Genere:

Thriller

PRO

Nessuno
La sceneggiatura fiacca del film
Il cannibalismo di Apple che rende il film una vetrina di suoi prodotti