Recensione – Pain Hustlers, il film con Emily Blunt e Chris Evans su Netflix

Recensione - Pain Hustlers, il film con Emily Blunt e Chris Evans su Netflix

Articolo pubblicato il 10 Novembre 2023 da Bruno Santini

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Pain Hustlers 
Genere:  Crime, drammatico
Anno: 2023
Durata: 123 minuti
Regia: David Yates 
Sceneggiatura: Wells Tower
Cast: Emily Blunt, Chris Evans, Catherine O’ Hara, Chloe Coleman, Jay Duplass, Brian d’Arcy James
Fotografia: George Richmond
Montaggio: Mark Day
Colonna Sonora: James Newton Howard, Michael Dean Parsons
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Pain Hustlers – Il business del dolore è un film di David Yates che ha debuttato sul servizio di streaming Netflix a ottobre 2023, per tutti i paesi in cui è presente il servizio. Il film si arricchisce delle interpretazioni di Emily Blunt e di Chris Evans, che torna in un film Netflix dopo aver recitato in The Gray Man dei Fratelli Russo. Di seguito, la trama e la recensione di Pain Hustlers. 

La trama di Pain Hustlers – Il business del dolore, di David Yates

Prima di considerare la recensione di Pain Hustlers, vale la pena indicare innanzitutto la trama del film: “Pain Hustlers, film diretto da David Yates, racconta la storia di Liza Drake (Emily Blunt), una giovane donna che sogna una vita migliore per lei e sua figlia, dopo che ha abbandonato le scuole superiori. Tra un lavoro malpagato e l’altro, Liza trova impiego in una start-up farmaceutica sull’orlo del fallimento in un centro commerciale della Florida. La compagnia rischia il collasso a causa della direzione, che prende decisioni errate, ma in breve tempo, grazie all’intelligenza e al carisma della loro nuova dipendente, guadagna posizioni. È così che l’arrivo di Liza apre le porte a una notevole prosperità economica. Ma a quale prezzo? L’aspetto losco degli affari aziendali inghiottirà Liza, che si ritroverà coinvolta non solo nella vita mondana dell’azienda, ma anche in una cospirazione criminale…”

La recensione di Pain Hustlers, con Emily Blunt e Chris Evans

Nello stesso anno in cui, sulla stessa piattaforma di streaming, sono stati distribuiti anche la docu-serie Painkiller e la serie televisiva La caduta della casa degli Usher, che affrontano il medesimo tema (anche se con un approccio notevolmente differente), Netflix firma la sua personale tripletta con Pain Hustlers – Il business del dolore, film diretto da David Yates e con un cast particolarmente riconoscibile. Nell’offrire la recensione del film Netflix non si può che partire dall’elemento in questione: con approcci significativamente differenti, la realtà dello streaming ha provato a raccontare in tre occasioni il capitalismo sfrenato che si trovi alle spalle della vita rovinata di numerose persone con farmaci che causano assuefazione, dipendenza e morte, fallendo in tutti e tre i casi in un elemento fondamentale: riuscire a premere sull’acceleratore per quel che concerne il discorso etico. Se la serie televisiva di Mike Flanagan può temporaneamente essere messa da parte, per gli intenti del prodotto in questione, per Painkiller si sottolineava un problema che ritorna anche nel film di David Yates: la costruzione del dramma c’è, così come la spiegazione di un fenomeno realmente esistente e che necessitava di trovare spazio anche sul piccolo schermo. Tuttavia, ci si ferma proprio nel momento esatto in cui c’è da fare qualcosa in più, offrendo una connotazione ulteriore a quel dramma e scavando a fondo di un discorso etico che potrebbe andare oltre la didascalica conseguenza di un abuso o di una dipendenza da farmaco.

 

 

Di sicuro, nella sua presentazione della sfrenatezza capitalistica e del conseguente declino, il modello principale di Pain Hustlers è The Wolf of the Wall Street di Martin Scorsese, di cui il film – ben conscio di non riuscire a riprendere quelle “brutture” e quel declino morale che il lungometraggio sa sapientemente realizzare, attraverso l’eccesso smodato che diventa un fattore – tenta di replicare le atmosfere, servendosi di una connotazione glam che risulta però essere scialba e particolarmente lineare e tentando di aggiungere, soprattutto attraverso il personaggio della madre, un’ironia che non funziona praticamente mai. La parabola seguita dai protagonisti è piuttosto standardizzante, così la presentazione di quel declino che ci si aspetta, senza alcuna sorpresa, nel caratteristico secondo atto del film. David Yates si conferma un regista che non soltanto non sa innovare o avere un guizzo imponente ma che, anche soffermandosi alla materia che dovrebbe interessarlo, riesce ad essere particolarmente anemico. Il film, che ha la possibilità di portare sullo schermo qualcosa di interessante e calcare la mano sul delirio capitalistico, diventa una ridondante espressione di quanto il potere (inteso nella forma che il lungometraggio presenta) possa essere malvagio, lucrando e speculando sulla vita delle persone. 

 

 

Si aggiunge, a questo presupposto, anche la repulsione – da parte di chi scrive – verso scelte tecniche, di montaggio e di ritmo che appaiono assolutamente cacofoniche, considerando la natura della pellicola: da un lato preziosismi estetici impuri, che cozzano con ciò che il film dovrebbe essere e dovrebbe mostrare (split screen, fermo immagine o l’alternanza tra scene a colori e scene in bianco e nero, il cui senso estetico è ben lontano da quell’intuizione di Christopher Nolan in Oppenheimer); dall’altro interpretazioni scialbe che seguono scritture ancor più pallide. Pain Hustlers è un già visto, un già sentito e, ancor peggio, un more of the same che non aggiunge nulla a tanti altri esperimenti nello stesso campo ma che, anzi, fa avvertire quanto si sia ben lontani dal modo esatto in cui certi temi vanno trattati. Dulcis in fundo, se per Chris Evans il suo ruolo in Pain Hustlers segue la scia di interpretazioni discutibili negli ultimi anni, in collaborazione con Netflix, è un peccato anche solo pensare che, nello stesso anno in cui guadagnerà (almeno) la candidatura a miglior attrice protagonista per il già citato Oppenheimer, Emily Blunt sia presente anche in un film dimenticabilissimo, in cui regala esattamente il contrario di ciò che Christopher Nolan ha saputo cogliere dal suo volto. 

Voto:
2/5
Andrea Boggione
2.5/5
0,0
0,0 out of 5 stars (based on 0 reviews)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

PRO