Recensione – SubUrbia: il destino di una generazione 

SubUrbia di Richard Linklater

Articolo pubblicato il 2 Settembre 2023 da Andrea Boggione

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: SubUrbia
Genere: Drammatico, Commedia
Anno: 1996
Durata: 121′ 
Regia: Richard Linklater 
Sceneggiatura: Eric Bogosian 
Cast: Giovanni Ribisi, Steve Zahn, Amie Carey, Nicky Katt, Jayce Bartok, Ajay Naidu e Parker Posey
Fotografia: Lee Daniel 
Montaggio: Sandra Adair 
Colonna Sonora: Sonic Youth 
Paese di produzione: Stati Uniti d’America 

Dopo il successo di “Prima dell’Alba”, l’anno seguente Richard Linklater realizza “SubUrbia”, una libera interpretazione dell’omonima commedia teatrale di Eric Bogosian, qui in veste anche di sceneggiatore. Questa volta l’autore volge il suo sguardo verso il destino che si appresta ad affrontare la cosiddetta Generazione X. Un elemento ricorrente dei film del regista texano e che non abbandona quasi mai lungo la sua carriera. Sicuramente non tra le più riuscite opere del cineasta americano, ma l’ennesimo interessante affresco di un gruppo di giovani alle prese con il vivere le proprie vite. Di seguito la trama e la recensione del quinto film di Linklater. 

La trama di SubUrbia, il quinto film di Linklater 

Un gruppo di amici di Burnfield, un quartiere immaginario di Austin, si trovano quotidianamente a bere sul retro, vicino alla zona della spazzatura e rifiuti, di un minimarket gestito da una coppia di commessi. Jeff, il protagonista interpretato da Giovanni Ribisi, è il classico giovane adulto senza un vero e proprio obiettivo nella vita, la classica anima in pena che non vede prospettive sul suo futuro. Il resto del gruppo è composto da Sooze (Amie Carey), Buff (Steve Zahn), Tim (Nicky Katt) e Bee-Bee (Dina Spybey), c’è chi è un accanito bevitore, chi è stato da poco congedato dall’esercito, insomma un branco di giovani disillusi. Una sera il gruppo si incontra perché aspettano la visita di un vecchio amico degli anni del liceo, Pony (Jayce Bartok), il leader e cantante di una rock band emergente in tournée. Non potendo permettersi i biglietti per il concerto, il punto di ritrovo è il solito minimarket. Una nottata all’insegna di chiacchiere e riflessioni sul senso della vita e sui loro obiettivi futuri che, alla fine, scatenano un susseguirsi di avvenimenti a catena uno dopo l’altro. 

SubUrbia di Richard Linklater

La recensione di “SubUrbia” (1996) 

Proprio come i lungometraggi precedenti di Richard Linklater, anche “SubUrbia” si basa su eventi realmente accaduti e vissuti dall’autore, ma non si tratta dell’uomo protagonista della retrospettiva, bensì di Bogosian, il creatore dello spettacolo omonimo da cui è tratta la pellicola e, come già sottolineato in precedenza, sceneggiatore di questo adattamento cinematografico. Una scelta insolita e nuova da parte del cineasta statunitense, probabilmente dettata dallo spirito affine che accomuna le sue esperienze a quelle del suo collaboratore. La città di Austin, anche se non viene citata direttamente, resta il fulcro dei progetti di Linklater, la capitale texana dove è cresciuto il regista funge da grande punto di raccolta dei giovani facenti parte della Generazione X, quella che comprende i nati tra il 1965 e il 1980. La scelta di ambientare tutta la vicenda al di fuori di un angusto e sporco minimarket risulta molto descrittiva ed utile agli autori per passare un certo di messaggio al proprio pubblico: il punto di ritrovo una volta che è stato casualmente scelto non è importante che sia sfarzoso o notevole, basta che rispetti le esigenze di chi ci si ritrova. Un luogo popolare e apparentemente spoglio che descriva al meglio la situazione e le speranza di questi giovani adulti alle prese con il degrado della società. 

 

Se nei vari “Slacker” (1991) o “La Vita è un Sogno” (1993) Linklater mostra il ricordo gioioso dell’adolescenza, con “SubUrbia” propone uno sguardo più crudo e molto meno felice della stessa gioventù protagonista dei progetti precedenti. Si tratta di una sorta di esplorazione feroce e accurata, ma allo stesso tempo a tratti anche inquietante, di una società che rigetta i suoi stessi individui. I personaggi non fanno altro che esprimere il loro disappunto verso il nessun tipo di garanzia del proprio futuro e, tra loro, finiscono per nascondere o celare emozioni quali invidia, disprezzo o attrazione nei confronti degli altri componenti del gruppo. Probabilmente un passo indietro rispetto ai successi realizzati uno dopo l’altro, dai tempi dell’esordio “It’s Impossibile to Learn to Plow by Reading Books” del 1988. Una versione differente dello spirito filosofico di un autore che, nonostante diversi flop al botteghino lungo la sua carriera, ha saputo realizzare un paio di capolavori e più di qualche piccola perla che molto spesso viene scoperta più avanti, diversi anni dopo l’uscita. Solo al quinto film, Linklater comincia a mostrare un lato diverso del suo cinema, sempre legato a quello spirito indipendente che non abbandonerà mai per tutta la sua filmografia. 

SubUrbia di Richard Linklater

Il destino di un’intera generazione 

SubUrbia” è uno spaccato sui resti ed il destino di un’intera generazione, quella analizzata ed affrontata più e più volte da Richard Linklater attraverso i suoi film. In questo adattamento i personaggi, nonostante siano padroni del loro futuro, fanno delle scelte coerenti con il loro modus operandi e finiscono per imbattersi in situazioni diverse più o meno piacevoli. Nonostante una ricezione da parte di critica e pubblico abbastanza contrastante, oltre ad un pessimo risultato al box office, l’autore statunitense è sempre andato avanti e la sua ricca filmografia parla da sé. Dal 1996, data d’uscita di “SubUrbia”, fino ai primi anni 2000, il regista e sceneggiatore realizza una serie di progetti particolari e bizzarri che spaziano tra i generi e tra il classico film e la sperimentazione di nuove tecniche, alcuni di essi ancora oggi molto sottovalutati. Una serie di storie all’insegna di un tema principale legato al cambiamento, proprio come in questo film della seconda parte degli anni ’90. Un racconto che gioca sul dare vita a diverse situazioni che una dopo l’altra non fanno altro che raggiungere un finale dal sapore amaro e per nulla ottimista, dove si crea uno spazio che gira attorno ad una moltitudine di pensieri e parole.

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