Recensione – Mon Crime, il nuovo film di Francois Ozon con Isabelle Huppert

Mon Crime, un film di Francois Ozon

Articolo pubblicato il 7 Maggio 2023 da Bruno Santini

Dal 25 aprile in tutte le sale italiane grazie a Bim Distribuzione Mon Crime, l’ultimo film di Francois Ozon, regista francese noto ai più per il film Swimming Pool. Questa sua ultima opera, da lui stesso definita “un inno alla sorellanza“, vede come protagonista la nuova stella del cinema francese Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Fabrice Luchini, Dany Boon e la meravigliosa Isabelle Huppert. In attesa della sua uscita nelle nostre sale, ecco la trama e la recensione in anteprima di Mon Crime.

La trama di Mon Crime, il nuovo film di Francois Ozon

Ambientato nella Parigi degli anni ’30, Mon Crime segue la storia di Madeleine Verdier, aspirante attrice che viene ricevuta da un importantissimo produttore cinematografico nella sua casa, per discutere di un ruolo. Il produttore tenta di metterle le mani addosso e Madeleine scappa. Dopo il ritrovamento del corpo senza vita del produttore però, Madeleine viene accusata di averlo ucciso e, ad occuparsi della sua difesa, sarà Pauline Mauléon, sua amica ed avvocato senza clienti, che la porterà a farsi incriminare ed arrestare. Lo farà però, accusando esplicitamente la misoginia della società francese e l’incompetenza della giustizia. Le persone presenti in tribunale si commuovono e la vicenda viene stravolta, diventando per Madeleine un successo assoluto, che la porterà a cambiare completamente vita, riuscendo ad ottenere sempre più ruoli cinematografici e diventando ricca. Tutto fila liscio fino a quando un terzo personaggio non fa la sua comparsa in scena, reclamando ciò che ritiene essere suo di diritto, visto che ad assassinare il produttore è stata proprio questa persona.

Mon Crime, un film di Francois Ozon

La recensione di Mon Crime: contaminazione di genere ed analisi lucida della società francese

Come definito dallo stesso autore, Mon Crime è “un inno alla sorellanza“. Francois Ozon si conferma regista molto prolifico e, in attesa di vedere il già realizzato Peter Von Kant, realizza questo Mon Crime, un film contaminato da più stili e con cui Ozon continua a mescolare generi, a giocare con il mezzo cinematografico e, in questo caso specifico, anche a rendere onore ad un cinema antico ma, ancora oggi, influente in un certo modus operandi autoriale di cui lui fa certamente parte. Mon Crime fa esattamente questo gioco a partire dal titolo – in italiano, La Colpevole sono Io – andando subito a porre lo spettatore nella posizione da lui più gradita, per poi andare a scombinare ogni piano ed ogni logica tipica del thriller e dei film giudiziari: Madeleine ci viene descritta dal primo momento come colpevole, le prove sembrano incastrarla e lo spettatore è spinto a credere nella sua colpevolezza, eppure non ne può essere certo ed Ozon, col progredire della storia, ribalta tutto con l’ingresso in scena di un terzo personaggio che, a suo dire, è colui che ha assassinato il produttore.

 

Come mai però c’è questa sorta di corsa alla colpevolezza? Ozon non si limita a realizzare un film giudiziario ma lo rende sociale, attuale seppur ambientato negli anni ’30 – che sono ormai quasi 100 anni fa – mostrandoci come oggi, da un certo punto di vista, le persone non sono cambiate e continuano a commettere i soliti errori di giudizio. Il tribunale, nonostante si stia decidendo il futuro di Madeleine, diventa invece sfondo di un altro tipo di discorso legato non al presunto crimine da lei commesso, ma alla misoginia della società francese, aprendo l’infinito dibattito sul ruolo delle donne. Madeleine diventa una star nel momento in cui commette un crimine, diventa una beniamina del pubblico nel momento in cui uccide un uomo. Un paradosso dunque, per sottolineare la superficialità di un popolo e di un intero governo.

 

La narrazione stratificata di questo film aggiunge però un ulteriore livello di lettura nel momento in cui viene inserito un terzo personaggio che rivendica l’assassinio del produttore e che inizia una sorta di faida con Madeleine, sempre col fine ultimo di ottenere fama e ricchezza. Dunque una critica sì alla misoginia della società francese – i personaggi maschili sono, fondamentalmente, tutti degli inetti – ma senza cadere nel facile errore di elevare le donne a prescindere, bensì analizzando la situazione e sottolineando come ciò che conta è che si abbiano pari diritti e dignità, ma ricordando a tutti che uomini e donne sono egualmente capaci di compiere gesti meravigliosi ed azioni deplorevoli. 

Francois Ozon, Mon Crime ed un cinema di cui l’Italia avrebbe un gran bisogno

Mon Crime è un buonissimo film, ma di certo non un capolavoro. In questi anni è diventato fin troppo comune definire un film o capolavoro oppure orrendo, dimenticandosi però che esiste una fascia media di film ed autori che alla cinematografia di ogni paese possono fare solamente un gran bene. Francois Ozon fa probabilmente parte di questa fascia all’interno dell’industria francese – e ciò non è in nessun modo un difetto o una critica – eppure, nonostante Mon Crime non sia un capolavoro, a realizzarlo è un uomo intelligente, che ama il cinema e che riversa nelle sue pellicole questo amore, andando a citare il cinema muto, il passaggio al sonoro, dando una forma teatrale al film grazie soprattutto al modo di recitare degli attori ed inserendo nell’opera degli evidenti riferimenti ad autori del passato da Ozon molto amati, come Jean Renoir o Francois Truffaut, dunque avendo anche una consapevolezza di cosa sia e cosa rappresenti il cinema francese sia in patria che nel resto del mondo. Dunque, anche un buon film come Mon Crime si eleva nel momento in cui, al suo interno, ci sono così tanti elementi intelligenti ed interessanti. 

 

Tutte cose che, in Italia, mancano. Non è un voler essere cinici e negativi, non è un voler attaccare la nostra industria per partito preso, ma una semplice constatazione dello stato attuale delle cose. In Italia manca una fascia media di autori. Pensiamo di averla, ma non è così. In Italia abbiamo i grandi autori come Paolo Sorrentino, Matteo Garrone o Marco Bellocchio, una serie di registi che continuano a lavorare per ragioni certamente lontane dalla concreta qualità dei prodotti da loro realizzati ed un gran numero di autori interessanti ma che, per via di una pessima distribuzione e di svariati altri impedimenti di produzione, restano nascosti e sono obbligati ad andare all’estero, come Giacomo Abbruzzese. Un’autrice importante come Alice Rohrwacher, che viene selezionata al Festival di Cannes e vince premi, all’estero viene elogiata per l’autrice che è, ma qui in Italia continua a non essere considerata ai massimi livelli. Certo, degli autori che potrebbero far parte della fascia media del nostro cinema ne abbiamo, dai Fratelli D’Innocenzo a Paolo Virzì, eppure sembra quasi fargli un torto nel dirlo, quando non si tratta assolutamente di una critica. Non guardare le cose con un occhio un po’ più oggettivo però, ci porta a spingere determinati autori all’inferno, oppure ad elevarli a geni fin troppo presto, rischiando anche di bruciarli. Il problema è enorme ed avrebbe bisogno di molto più spazio e tempo per essere affrontato, ma va fatto, perché questi autori ci servono, ci serve Francois Ozon.

Voto:
3.5/5
Andrea Boggione
3.5/5
Riccardo Marchese
3.5/5
0,0
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Voto del redattore:
Data di rilascio:
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