Recensione − The Fabelmans: il film più personale di Steven Spielberg

La recensione di The Fabelmans, ultimo film di Spielberg in uscita al cinema

Articolo pubblicato il 3 Gennaio 2025 da Giovanni Urgnani

The Fabelmans è l’ultimo film scritto e diretto da Steven Spielberg, presentato al Toronto Film Festival e vincitore del Premio del Pubblico, arrivato in Italia in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. La distribuzione nelle sale cinematografiche nazionali è prevista per il 22 dicembre 2022, originariamente era fissata al 15 dello stesso mese. Nel cast, Michelle Williams, Paul Dano, Judd Hirsch, il regista David Lynch e i giovani Oakes Fegley, Julia Butters e Gabriel LaBelle. Di seguito la trama e la recensione di The Fabelmans, autentico film di Spielberg

La trama di The Fabelmans, l’ultimo film di Steven Spielberg

Cresciuto nell’Arizona del Secondo Dopoguerra, il sedicenne Sammy Fabelmans svela uno sconvolgente segreto di famiglia e scopre la magia e il potere salvifico del cinema, in grado di trasmettere veridicità. Una storia semi-autobiografica, basata sull’infanzia e l’adolescenza del regista Steven Spielberg, in grado di rappresentare l’America anni ’50 e ’60, ma è soprattutto un racconto di formazione.

 

La vita romanzata del maestro Spielberg si dispiana tra la sua famiglia, in particolare con il rapporto conflittuale che si viene a creare con sua madre, e la passione per le prime macchine da presa e di montaggio. Nonostante problemi di bullismo nella nuova scuola in California, Sam riesce a tirare avanti grazie al sostegno delle sorelle minori e soprattutto, all’amore per il cinema in quanto creazione di storie. 

La recensione di The Fabelmans, ultimo film di Spielberg in uscita al cinema

La recensione di The Fabelmans, un delicato semi-biopic di/su Spielberg

Il miglior film di Spielberg? Assolutamente no, e va benissimo così. A differenza di altri due film biografici girati dai registi stessi che si aprono al proprio pubblico, e cioè Belfast di Kenneth Branagh e Bardo di Alejandro González Iñárritu, il The Fabelmans di Spielberg ha una delicata umiltà. Tre pellicole della stessa tipologia distribuite nello stesso anno, almeno qui in Italia dato che Belfast è in realtà un film del 2021, ma che differenziano per l’approccio. I primi due sono artificiosi, autoreferenziali, e risultano finti nella tanto desiderata autocelebrazione; al contrario, Spielberg si conferma uno dei migliori registi viventi per il tatto con cui riesce a raccontare storie. Un infinito narratore di storie, una creatività senza pari messa al servizio di un racconto di formazione giustamente minimalista, con tanto di compromessi dovuti probabilmente alle decisioni del regista stesso. L’idea che si ha guardando The Fabelmans, è di uno Spielberg che ha scritto una sceneggiatura traendo ispirazione dalla propria vita, ma che si è lasciato andare ad un romanzato la cui finalità è destinata ad entrare genuinamente nel cuore degli spettatori. Soprattutto perché è possibile che in tanti possano rispecchiarsi nelle vicende del giovane Sammy, un protagonista affascinato dalla potenza delle immagini messe una di fila all’altra per narrare, come solo un mastro imbonitore sa fare. La sua divisione, ad alto rischio, tra la sua famiglia e la sua più grande passione, trova un genuino compromesso: aggiungere una patina di buonismo (non nel senso negativo del termine) che possa lasciare i personaggi intatti da giudizi morali, ma che allo stesso tempo possa far comprendere le difficoltà

 

Quali difficoltà? Il peso di un segreto innanzitutto, alla riscoperta della verità. Ciò è riconducibile inevitabilmente all’extra diegetico: Spielberg, da sempre, crea una realtà col suo cinema che è in grado di risultare maggiormente vera, filosoficamente e moralmente, rispetto alla realtà vissuta dove abbondano ipocrisie, evanescenze e contraddizioni. Insomma, così nella vita privata, così nei suoi film, Spielberg si fida della realtà del cinema e dell’immagine stessa, abilmente messa nelle condizioni di svelare elementi veritieri, e non di celarli come può accadere con delle “maschere” nella vita di tutti i giorni. Il peso del segreto del quale Sammy diventa consapevole, deriva proprio dal suo sapiente utilizzo del montaggio, la base del linguaggio cinematografico. Così scopre che sua madre è innamorata dell’amico di famiglia, Benny. La sofferenza è rilegata ai bordi, ma implodendo finirà per esplodere e rischierà di apportare gravi conseguenze; anche se questo non avverrà, proprio per la patina a cui si è fatto riferimento in precedenza. La sequenza dove Sammy fa la sua scoperta è magistralmente posta di fronte agli occhi di chi guarda: c’è una musica classica suonata al pianoforte della madre, mentre il giovane protagonista è intento a montare sotto costrizione del padre; la musica che potenzialmente sembra essere extra diegetica, è in realtà diegetica e accompagna la condizione psicologica dei personaggi, messa a dura prova dalla verità, contemporaneamente mostrata allo spettatore.

 

D’altronde la dicotomia scienza e arte viene presentata sin dall’inizio: Sammy ha sei anni ed è terrorizzato dall’idea di andare al cinema. Da un lato il padre Burt, ingegnere informatico, gli spiega in dettaglio il processo tecnico del film; mentre dall’altro, sua madre Mitzi, pianista classica che ha lasciato il palco per crescere i figli, gli assicura che “i film sono come sogni che non dimenticherai mai”. Una divisione nello spirito che gli viene impartita sin da bambino, ma che gradualmente con l’avanzare del tempo si tramuta in un’urgenza creativa. Sammy ha qualcosa da raccontare, e vuole farlo con la sua macchina da presa ed il suo ingegno aguzzato dai pochi mezzi a disposizione. Fin dall’infanzia mostra la sua predisposizione alla figura dell’imbonitore, dell’artista che sfoggia la sua ultima creatura per innescare un’emozione, un qualcosa di speciale all’interno degli osservatori. Si comprende come in Spielberg ci fosse la necessità di parlare della Guerra (Salvate il soldato Ryan), e come amasse spettacolarizzare i suoi soggetti per dare vita a sentimenti genuini come la commozione. 

The Fabelmans: la delicatezza di Spielberg

Steven Spielberg non ha bisogno di imitare la propria vita, tanto meno sente la necessità di autocelebrarsi come i suoi colleghi sopracitati. La sua potenza e la sua voglia di entrare nell’immaginario collettivo con i film e le storie, sono desideri primari e autentici. L’attore che interpreta Sammy non viene diretto in modo tale da risultare un copia e incolla delle movenze del regista, ma gli viene lasciato il giusto spazio di enfatizzare, dialogare, esprimere rabbia, gioia, dolore e perché no, anche sprazzi di comicità. Lo stesso meraviglioso equilibrio lo si ritrova in Michelle Williams e Paul Dano, una coppia divisa dalla genialità arte-scienza. La drammaticità è presente, ma il compromesso della patina buonista (o bonaria, se si preferisce) non permette di scavare fino in fondo con tanto di inattesi risvolti morali; ma è giusto che il vero protagonista della storia sia il cinema in tutta la sua prestanza, si perdonano facilmente certi archetipi narrativi apparentemente esemplificatori

 

Stesso discorso per l’America di quegli anni, ubicata tra l’Arizona e la California; si dipinge il sogno americano come un qualcosa di falso, superfluo. La popolazione statunitense si dimostra ottusa, arretrata e perciò intollerante; la gestione dell’elemento bullismo è infatti molto delicato, inserito in modo autentico, come se Spielberg spiegasse personalmente al suo pubblico le vicende mostrate. Il finale è, in tal senso, è gioiello: la potenza della macchina da presa e del montaggio, di conseguenza, sono un’arma meravigliosa per dimostrare come unire le persone, anche mescolando il mito con la realtà, e la realtà con il mito. Non è un caso che i movimenti di macchina sono ridotti e la fotografia non gioca con i contrasti di luci come in un The Post o West Side Story. Tutto questo, in un filmino estivo tra corse sulla sabbia e partite di beach volley; semplicemente, infinitamente, Steven Spielberg.

Voto:
4.5/5
Andrea Barone
4.5/5
Andrea Boggione
4.5/5
Gabriele Maccauro
4/5
Alessio Minorenti
4.5/5
Paola Perri
0/5
Vittorio Pigini
4.5/5
Bruno Santini
4.5/5
Giovanni Urgnani
4/5
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