Articolo pubblicato il 14 Giugno 2025 da Giovanni Urgnani
Distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 19 giugno 2025 grazie al contributo di L’Altrofilm, la nuova fatica del cineasta Louis Nero, pseudonimo di Luigi Bianconi che vede la presenza di attori di fama mondiale come F. Murray Abraham (Amadeus) e Harvey Keitel (Pulp Fiction) mentre la protagonista è interpretata da Isabelle Allen (I Miserabili). Ma qual è il risultato di Milarepa? Di seguito la recensione e la trama ufficiale del film.
La trama di Milarepa, il film di Louis Nero
Il lungometraggio è la libera trasposizione del libro Tibet’s Great Yogi Milarepa, il celebre maestro del buddismo vissuto tra l’XI e il XII secolo, su cui nel 1974 venne realizzata una pellicola omonima diretta da Liliana Cavani. Ma di cosa parla quindi Milarepa? Di seguito la trama ufficiale del film di Louis Nero:
“La giovane Mila, dodici anni, affronta un dolore profondo, la morte improvvisa del padre, brutalmente assassinato, e la sottrazione dell’eredità da parte degli zii paterni. Spinta dal desiderio di vendetta, intraprende un percorso difficile e pieno di ostacoli, ma anche dopo aver ottenuto la sua rivincita, Mila non trova pace. Decide così di iniziare un viaggio solitario e spirituale attraverso antichi insediamenti, alla ricerca di se stessa e di redenzione per le proprie azioni.”

La recensione di Milarepa, con Harvey Keitel e F. Murray Abraham
Quando in un’opera cinematografica tutto funziona o viceversa non funziona niente la base della recensione rischia di prepararsi da sola: in un caso ci si prepara ad un elenco di elogi, accompagnato dagli aggettivi, se non addirittura da superlativi, più trionfanti. Nell’altro caso invece sempre di elenco si tratta con stavolta l’aggiunta di improperi di ogni tipo o comunque frasi caratterizzate dall’asprezza più o meno densa, a seconda della gravità. Per dare un senso a tutto e tenerlo insieme occorre passare alla parte più difficile, ossia motivare il più possibilmente in modo sensato il perché di uno o dell’altro esito. Se la base della recensione di Milarepa si prepara da sola per i motivi più sbagliati, non risulta affatto facile come sembra spiegare le ragioni che lo portano ad essere giudicato non solo uno dei peggiori film dell’attuale annata (magari si limitasse a quello) ma degli ultimi venticinque anni.
A qualsiasi tipologia di spettatore basterebbero solo i primi dieci minuti per capire con cosa stia avendo a che fare, per poi subito alzarsi dalla poltrona, dal divano o da qualsiasi altra cosa sia seduto, giacché i restanti centocinque non meritano l’attenzione di nessuno. È completamente assente l’ABC del narrare una storia: assente è una descrizione chiara del contesto in cui si muovono i personaggi, sia dal punto di vista ambientale sia da quello relazionale; non si conosce veramente nulla di loro ed anche solo il minimo barlume di carisma è un miraggio lontanissimo, non c’è possibilità d’empatia, di connessione né tantomeno d’interesse nei loro confronti. La storia cade in fin troppo presto in una palese confusione, non riuscendo mai a portare a termine nessuna sottotrama, ricorrendo ad espedienti a dir poco imbarazzanti, debordando poi nel terzo atto a causa di una serie di lungaggini inutili ed esasperanti e per non farsi mancare nulla il finale arriva quasi improvvisamente, lasciando un colpevole senso di vuoto e di incompleto, dagli effetti disagianti e destabilizzanti.
Confusione alimentata dal montaggio e dalla presenza senza criterio di realtà ed elementi diversi ricuciti insieme esclusivamente per personalismo registico, ad esempio la messa in scena del mondo post-apocalittico richiamando atmosfere da antichità biblica mescolata a culture e costumi orientali, una macedonia incasinata dove ogni cosa sembra andare per i fatti propri, senza una guida forte e decisa. Ruolo che dovrebbe rivestire chi si trova dietro la macchina da presa venuto però gravemente a mancare, tant’è si ha la sensazione di assistere al lavoro di un liceale alla primissima esperienza sul campo, quando la realtà dice contrariamente che si tratta di un cineasta al suo ottavo lungometraggio da regista.
Se c’è una cosa che una pellicola a basso budget non deve fare assolutamente è mostrare a destra e a manca di essere costato poco, puntualmente in questo caso lo si evidenzia fotogramma per fotogramma, probabilmente le risorse si sono esaurite per assicurarsi la presenza nel cast di nomi altisonanti di vecchie glorie del calibro di F. Murray Abraham (interprete di un ruolo insignificante) e Harvey Keitel, mischiati al generale marasma recitativo di infimo livello, dove non si scherza affatto nel sottolineare la difficoltà delle comparse di simulare plausibilmente il lancio di un sasso, provocando in più di un’occasione comicità involontaria. Mai si vorrebbe scrivere una recensione simili, d’altro canto mai si vorrebbe vedere tale disastro.