Amrum: un JoJo Rabbit europeo, diretto da un grande autore

Presentato in anteprima al 78esimo Festival di Cannes nella sezione Premiere, Amrum è il nuovo film del regista tedesco Fatih Akin. Ma merita davvero la visione?
La recensione del nuovo film di Fatih Akin, Amrum

Articolo pubblicato il 19 Maggio 2025 da Gabriele Maccauro

Fatih Akin torna a Cannes dopo otto anni: in concorso nel 2017 presentò Oltre la notte, che valse a Diane Kruger il premio per la migliore interpretazione femminile. Con Amrum, in sezione Cannes Premiere, Akin e Kruger si riuniscono e portano sullo schermo una storia che il cineasta turco-tedesco ha scritto assieme al suo maestro Hark Bohm. Inizialmente, lo stesso Bohm avrebbe dovuto dirigere il film, ma come ha riportato Akin al seguito della proiezione, ha poi ceduto il testimone all’allievo, nonché uno dei maggiori registi del cinema europeo dell’ultimo ventennio. A seguire, trama e recensione di Amrum.

La trama di Amrum, diretto da Fatih Akin

Prima di passare alla recensione del film però, è bene spendere alcune righe circa la trama di Amrum, diretto da Fatih Akin. È il 1945, la seconda guerra mondiale sta per finire. Nanning (Jasper Billerbeck) vive ad Amrum – isola tedesca dell’arcipelago delle Frisole settentrionali, nel mare del Nord -, con il fratello minore, la madre incinta al nono mese e la zia. La famiglia di Nanning è convintamente nazista, lui stesso fa parte della gioventù hitleriana, ma Amrum è stata svuotata dalla guerra e parte delle persone rimaste auspica la resa della Germania e la fine del conflitto. Quando la madre di Nanning partorisce, trascorre la giornate a letto e rifiuta il cibo: vorrebbe solamente del pane bianco con burro e miele. Il figlio maggiore quindi, comincia a disertare la scuola e impiega il tempo alla ricerca dei beni alimentari che sfamerebbero la madre. Tale pretesto narrativo serve al regista per mostrare una nazione distrutta, descrivendo un luogo fuori dal mondo, che non ha subito direttamente la guerra, non è stato martoriato dalle bombe, ma è rimasto ugualmente ferito nel profondo.

Jasper Billerbeck e Matthias Schweighöfer in una scena di Amrum, diretto da Fatih Akin
Jasper Billerbeck e Matthias Schweighöfer in una scena di Amrum, diretto da Fatih Akin

La recensione di Amrum, presentato in anteprima nella sezione Cannes Premiere

Due anni fa, nell’ambito del Festival di Cannes 2023, passava in concorso La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer, un’opera che si può ritenere tra le maggiori mai realizzate sul tema della Shoah. Attraverso una prospettiva iconoclasta e il ricorso a una fotografia digitale di una freddezza che toglie il respiro, il cineasta britannico investiva il pubblico con l’orrore dell’irrappresentabile, ma suggerito da un sound design mastodontico, degno di Shining. Fatih Akin compie un’operazione decisamente meno brutale, ma simile, allo scopo di sondare la psiche di un popolo caduto, orfano del Führer, che si trova a fare i conti con la disfatta della peggiore ideologia possibile. Il regista mostra come le conseguenze della guerra e della catastrofe che comporta, tocchino anche gli abitanti di un’isola non colpita direttamente dalle bombe o occupata dai soldati.

Potremmo considerare Amrum come l’altra faccia della medaglia di JoJo Rabbit, premiato film di Taika Waititi del 2019. Entrambi hanno come protagonista un ragazzino della gioventù hitleriana e il rapporto madre-figlio come parte integrante della storia; ma se nel film di Waititi il bambino e la madre sono legatissimi, le loro interazioni sono commoventi, in Amrum l’affetto è unidirezionale, di Nanning per la madre. Questa è una donna in piena depressione post partum, profondamente ideologizzata dalla follia nazista: non offre alcun tipo di conforto al ragazzino e tantomeno si presta a legittimarne la tristezza. Lo accusa invece della sconfitta tedesca, incolpando la debolezza umana dei soldati, alla pari di quella del figlio in lacrime. È un piccolo colpo di genio far coincidere il momento del travaglio con quello della notizia riportata dalla radio della morte di Hitler; la scena comincia fuori dalla casa: in voce off udiamo un grido disperato. Ha inizio così la sofferenza della donna.

Nanning fa tutto il possibile per lei, per vederla tornare a mangiare; compie sforzi incredibili solo al fine di portarle pane, miele e burro. Ma le api di Amrum il miele non lo producono più: anche la natura, infatti, subisce il male del conflitto. Per di più, ottenere ogni ingrediente necessario, comporta al giovane Nanning la necessità di altri generi alimentari da scambiare. Giungerà a compiere atti di violenza sugli animali per portare a casa il cibo o scambiarlo con gli altri isolani, una violenza nauseante, tutt’altro che compiaciuta. Questa scelta risulta metaforica della sopraffazione e del dolore altrui che la Germania nazista ha impiegato sistematicamente in ogni contesto.

Infine la migrazione, andare via e approdare a New York con la speranza che cambi tutto, lasciare l’isola e creare una nuova vita altrove. Akin, però, manca l’empatia con i protagonisti, che per ovvie ragioni, non riusciamo a guardare senza una certa antipatia. Eppure l’osservazione di questa vita lenta lontano da tutto e tutti, ma profondamente calata nel contesto bellico, estremamente solitaria e spaesante, rimane l’aspetto più affascinante di un film non riuscito appieno.

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La locandina ufficiale del nuovo film di Fatih Akin, Amrum
Amrum
Amrum

Presentato in anteprima nella sezione Premiere del 78esimo Festival di Cannes, Amrum è il nuovo film diretto dal regista tedesco Fatih Akin

Voto del redattore:

6.5 / 10

Data di rilascio:

15/05/2025

Regia:

Fatih Akin

Cast:

Jasper Billerbeck, Matthias Schweighöfer, Diane Kruger, Kian Köppke, Laura Tonke, Lisa Hagmeister, Detlev Buck, Lars Jessen

Genere:

Drammatico, Storico

PRO

La fotografia di Karl Walter Lindenlaub
La difficoltà dello spettatore ad entrare in empatia con i personaggi