Recensione – The Last of Us 2×02: Through the Valley

Con Through the Valley continua il viaggio all’interno della seconda stagione di The Last Of Us, una delle serie più attese dell’anno: ma qual è il risultato di questa puntata e che cosa ne pensiamo?
La recensione di Through the Valley, secondo episodio della seconda stagione di The Last of Us

Articolo pubblicato il 21 Aprile 2025 da Gabriele Maccauro

Era sicuramente la serie televisiva più attesa del 2025, nonostante il mercato seriale si sia rinnovato molto con molti titoli che vanno da M – Il figlio del secolo a Black Mirror 7; The Last Of Us 2 era forte del grandissimo successo del celebre videogioco di Neil Druckmann da un lato e, soprattutto, del grande trasporto che aveva ottenuto dall’adattamento televisivo di una prima stagione particolarmente apprezzata dalla critica. Con la seconda (e non ultima) stagione della serie si inizia a portare sullo schermo una delle realtà videoludiche più impattanti degli ultimi anni e, con questo secondo episodio, si inizia ad entrare nel vivo della narrazione, ma qual è il risultato finale? A seguire, ne parliamo attraverso la recensione di Through the Valley, l’episodio 2×02 di The Last of Us su HBO e Sky Atlantic.

La trama di The Last of Us 2×02: Through the Valley

Prima di passare all’analisi e recensione del secondo episodio, è bene spendere due parole sulla sua trama, così da poter avere più chiaro il contesto in cui si svolge. Se Future Days ci aveva dato una panoramica della nuova vita dei nostri protagonisti, ambientando la narrazione 5 anni dopo i fatti della prima stagione, con le Luci ormai scomparse e la città di Jackson che sembra finalmente essere il luogo sicuro e protetto che tanto avevano desiderato, con Through the Valley si entra nel vivo della narrazione. E dei problemi.

Da un lato abbiamo Abby ed il suo gruppo che, nonostante siano vicini a Jackson, si domandano come riuscire ad arrivare a Joel, mentre fuori arriva una sorta di tempesta di neve e le condizioni meteorologiche sono proibitive. Dall’altro lato abbiamo invece Ellie e Jesse che partono per una ricognizione. I due racconti si alternano fino a quando Abby non cade da una montagna innevata e si ritrova rincorsa da un’orda di infetti. Troverà un nascondiglio dove verrà salvata dall’intervento di un uomo. Joel, che è lì con Dina. I tre risaliranno il sentiero ed arriveranno nel rifugio del gruppo di Abby, che li prenderà in ostaggio. La notizia della scomparsa dei due arriva a tutti e, mentre Tommy e gli abitanti di Jackson cercano di difendere la città dagli infetti, Ellie parte immediatamente per cercarli, ma quello che troverà sarà più spaventoso di quanto potesse mai immaginare.

Bella Ramsey in una scena del secondo episodio della seconda stagione di The Last of Us

La recensione del secondo episodio di The Last of Us 2: tra punti di contatto e di rottura, la serie vuole vivere di vita propria

Pensavamo non arrivasse mai, ma il momento è giunto. Chi segue The Last of Us sin dalla primissima uscita del videogioco nel lontano 2013 ha avuto modo di legarsi ai suoi protagonisti, empatizzare e, quando nel 2020 è arrivata la sua seconda parte su console, l’unica certezza che è rimasta nel videogiocatore è stata quella di essere dinanzi ad una delle storie più belle che il medium videoludico abbia mai visto. Inevitabile quindi una trasposizione su piccolo schermo, con una prima stagione che abbiamo seguito passo passo con recensioni ed approfondimenti e che, in fin dei conti, si è distaccata molto poco dall’originale. Dopo due episodi, nonostante il cuore resti sempre quello, la sensazione è che invece la seconda stagione di The Last of Us voglia prendere una direzione diversa, diventare un prodotto a sé stante, vivere di vita propria. Evidentemente però, questo è molto complicato e rivoluzionare una sceneggiatura come quella del videogioco Naughty Dog non è solo difficile, ma un suicidio.

Ecco allora che l’autore Neil Druckmann ha messo in chiaro le cose sin dall’inizio: questa è un’altra storia. L’obiettivo è dunque altro, diverso e lontano da quello del videogioco e questo lo si è capito molto bene nel momento in cui Kaitlyn Denver è stata scelta per impersonificare il personaggio di Abby. Se le polemiche riguardanti Bella Ramsey nei panni di Ellie durano ancora oggi e, ancora oggi, sembrano piuttosto sterili, è evidente che questa scelta abbia invece fatto riflettere in molti, noi compresi e per un motivo molto semplice: Abby ci è sempre stata mostrata come una ragazza molto muscolosa, quasi possente, la cui forza giocava un ruolo chiaro e preciso all’interno del racconto stesso. In questo senso, Denver non la ricorda ma appunto, come detto dallo stesso Druckmann, quel fattore non era necessario per il tipo di storia che avevano in mente. Ma qual è dunque questa storia?

Nonostante fino a questo momento siano stati trasmessi solamente due episodi, sembra abbastanza chiaro che il ruolo degli infetti e del Cordyceps – ovvero il fungo parassita che abbiamo conosciuto nel corso della prima stagione – sarà centrale, cercando quasi di risvegliare nello spettatore una sensazione che in molti provarono durante il lockdown dovuto al COVID-19. Eppure, nonostante la volontà di emanciparsi, non si può che tornare ai punti salienti che hanno reso The Last of Us – ed in particolar modo la sua seconda parte – quello che è. Ecco allora il bacio tra Ellie e Dina e tutto ciò che ne consegue di Future Days e quello che è forse il punto più drammatico di tutta la serie, ovvero la morte di Joel. Un momento catartico, centrale, decisivo ma che, onestamente, non è riuscito a riportare allo spettatore quel pathos vissuto nel 2020.

Il costante e continuo paragone con il videogioco ha ben poco senso e non è di certo il nostro obiettivo, soprattutto se si considera che la serie è stata rinnovata per una terza stagione, dunque è probabile che la storia di The Last of Us Parte II venga spezzettata e che queste due stagioni siano riempite di flashback e momenti del tutto originali, il che è soltanto positivo se si vuole prendere una propria strada. La sensazione è che però il videogioco sia talmente grande da pesare sulle spalle di questa trasposizione e che, anche provando a toglierselo di dosso, esso torna prepotentemente. Salvo chi non conosce la storia e la sta scoprendo grazie alla serie HBO (in Italia Sky Atlantic), non c’è videogiocatore che abbia visto Through the Valley senza sapere come sarebbe andata a finire, rendendo così tutto il resto sfondo, contorno di un piatto che noi stessi abbiamo ordinato e di cui conosciamo già il sapore.

Ecco allora che tutta la parte di lotta per la sopravvivenza contro gli infetti – dunque un punto cruciale per il nuovo corso di Druckmann – diventa quasi superfluo, quasi noioso. Ma tutto questo è giusto? Cosa avrebbero dovuto fare dunque, riportare fedelmente quasi shot by shot gli eventi del videogioco, così da dare il contentino allo spettatore affezionato e portarsi a casa la pagnotta senza problemi? No, no di certo. Il pensiero di Neil Druckmann è secondo noi non solo la quello giusto da seguire, ma anche l’unico possibile. Attenzione però a come lo si realizza, perché il rischio di finire fagocitato dall’opera stessa è molto alto.

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