Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, uno spaccato di storia su Netflix

Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio è una docu-serie Netflix dedicata al caso Yara Gambirasio e che ricostruisce l’intera storia delle parti coinvolte: ma con quale risultato?
Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, uno spaccato di storia su Netflix (Recensione)

Articolo pubblicato il 11 Luglio 2024 da Bruno Santini

A partire dal 16 luglio 2024 fa il suo esordio, su Netflix, la docu-serie Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, che ricostruisce uno dei casi di cronaca nera più importanti di sempre nella storia italiana. A partire dalla scomparsa di Yara Gambirasio fino al processo che ha portato all’ergastolo per Massimo Bossetti, passando per testimonianze, prove e ambiguità processuali riscontrate soprattutto nel PM Letizia Ruggeri, sono numerosi gli elementi di analisi presenti all’interno dei cinque episodi dalla durata media di 50 minuti, in cui si dà compimento definitivo ad un lavoro di 7 anni. Ma con quale risultato? Di seguito, si tenterà di analizzare strutturalmente – a al di là dell’aspetto meramente contenutistico – la docu-serie Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, diretta da Gianluca Neri.

Di che cosa parla Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio: i materiali d’archivio e i contenuti inediti

Riuscire a definire di che cosa parla Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio è sicuramente molto complesso, considerando che la docu-serie in questione ha l’obiettivo di non tralasciare alcun dettaglio di quello che è stato uno degli elementi più determinanti della cronaca nera italiana. Si parte, pertanto, da quelle immagine che sono note a tutti, dalla scomparsa di Yara Gambirasio e dalle prime ricerche dei familiari, per poi giungere all’arresto di Massimo Bossetti realizzato nel 2014, fino al processo e a tutte le sue fallacie che hanno portato all’ergastolo dell’uomo.

Accanto a numerose testimonianze d’archivio, relative soprattutto a dichiarazioni processuali, si aggiunge del materiale inedito, tra cui l’intervista a Massimo Bossetti che veniva mostrata anche nel trailer della docu-serie. E ancora, vengono intervistati sua moglie Marita, numerosi giornalisti, diversi esperti di medicina forense, scientifica, polizia, avvocati di offesa e difesa e genetisti internazionali, per tentare di restituire un quadro completo a proposito dell’intero caso Yara Gambirasio.

La recensione di Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, uno spaccato di cronaca nera

Come insegna la storia e la disciplina di analisi del genere, difficilmente – se non addirittura nella totalità dei casi – ci si può ritrovare di fronte ad un documentario che sia interamente oggettivo; l’oggetto che viene raccontato davanti alla macchina da presa (che si tratti di materiale d’archivio o di una semplice intervista) è, per sua natura, concreto e reale, ma la pretesa di raccontare e di dare forma a quell’oggetto muove sempre da una precisa volontà ideologica e, per certi versi, politica. Si dice questo, in termini di preambolo alla recensione di Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, poiché anche la docu-serie ha le sue convinzioni e, com’è giusto che sia, esprime la sua faziosità coinvolgendo lo spettatore e portandolo verso un determinato punto, affinché sia quest’ultimo a comprendere, poi, se quanto raccontato sia plausibile o meno. La base del racconto è semplice, un leitmotiv a cui si assiste sempre più negli ultimi anni: la presunta innocenza di Massimo Bossetti. Aveva già sorpreso osservare come l’uomo fosse presente, attraverso filmati inediti, davanti alla macchina da presa nel trailer della serie, affermando “è da tanto tempo che aspetto questo momento”; se, in effetti, nei primi due dei cinque episodi si assiste ad una necessaria sottolineatura di tutta la storia, è dal terzo in poi che la docu-serie compie una sferzata decisiva verso la sua tipologia di narrazione, coinvolgendo diversi addetti ai lavori (specie della difesa di Massimo Bossetti) e portando avanti una narrativa che non appare mai come stucchevole e aprioristica, ma che tenta di contestualizzare – dettaglio dopo dettaglio – ciò che ha da dire.

In un’epoca di massiva esposizione al true crime e al genere del documentario come pret-a-porter, stupisce decisamente la grande opera su cui si basa Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio; è un’opera pensata fin nei minimi dettagli e su cui Carlo G. Gabardini, Gianluca Neri ed Elena Grillone hanno dedicato ben 7 anni – assolutamente visibili e percepibili – di carriera, ma soprattutto è una tipologia di documentario a cui lo spettatore italiano, specie nell’era dello streaming, sembra ormai essere poco abituato. Il taglio è quello tipico dell’inchiesta, un genere che nel giornalismo italiano è sempre stato piuttosto appassionante e seguito, ma è la costante aggiunta di numerosi elementi a rendere possibile il successo della serie, oltre le sue definizioni fondamentali e, soprattutto, al di là dell’oggetto del suo racconto. Insomma, Il caso Yara non si accontenta di essere soltanto una docu-serie che racconta un fatto noto e in grado, di per sé, di attirare lo spettatore, ma scava a fondo verso il suo obiettivo, ribadisce quante perplessità esistano nel meccanismo processuale dell’intera storia di Yara Gambirasio e, soprattutto, mette in luce evidenti limiti dell’intera storia. Inevitabilmente, l’accento finisce per essere posto sul PM Letizia Ruggeri, relativamente soprattutto ad alcune decisioni che hanno sconvolto l’opinione pubblica e che hanno portato ad influenze nei meccanismi processuali: si parla dei mancati approfondimenti sul presunto coinvolgimento di Silvia Brena e Valter Brembilla e, soprattutto, della manomissione delle prove di cui la PM è stata indagata, in virtù della sua volontà di trasferire i 54 kit contenenti DNA dell’Ignoto 1 che sono stati improvvisamente trasferiti, di fatto rendendo impossibile esami aggiuntivi che la difesa richiedeva. Il racconto, che si sposta costantemente dal processuale al mediatico, coinvolge ogni personaggio con uno spazio naturalmente differente, lasciando anche grande attenzione a quell’oggetto giornalistico che, per anni, è stato quasi impossibile da decifrare.

Un prodotto (ancora oggi) necessario

Si può terminare la visione di una docu-serie come Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio senza formulare, nel proprio privato, un giudizio di sorta circa le parti interessate? Probabilmente sì, dal momento che la serie non aggiunge – e non potrebbe, non si tratta certo di un tribunale – nulla rispetto a ciò che potenzialmente chiunque potrebbe sapere. Eppure, Il caso Yara rappresenta un prodotto assolutamente necessario, se lo intendiamo dal punto di vista meramente documentaristico: mette in luce fallacie nel sistema di cui si potrebbe dibattere, in assenza di una prova provata, per anni, ma allo stesso tempo si occupa anche di altro, e forse nelle analisi aggiuntive si ritrova la forza maggiore della docu-serie. Tramite una struttura concentrica, che porta fino al focus definitivo sul processo, si passa costantemente dal 2010 al 2014, da Bergamo a Brembate di Sopra, da Yara a Massimo Bossetti, coinvolgendo di volta in volta altri personaggi, rievocando delle voci che saranno ascoltate successivamente o ripescando delle dichiarazioni che erano già state sentite precedentemente: il tutto funziona perfettamente nella sua idea di ciclicità e di ricombinatorietà, per un prodotto che rifiuta di essere lineare e di seguire un inizio, uno svolgimento e una fine propriamente detti, concentrandosi su un montaggio più armonioso e interessante, che coniughi ritmo e necessità narrativa.

Probabilmente, il momento più debole dell’intera docu-serie è proprio la tanto attesa intervista a Massimo Bossetti che, dal suo canto, non fa altro che ribadire ciò che da sempre è stato ascoltato, a tratti con le medesime parole: eppure, poter ruotare intorno a quei mondi, poter cogliere l’accessorio che diventa sempre più necessario (la storia familiare di lui, il rapporto con la moglie, il possibile tornaconto ai danni dei Gambirasio, la presenza di famiglie criminali nel territorio e tanto altro ancora), permette di offrire una narrazione sicuramente riuscita in tutti i punti. Con l’accento che viene posto, in più momenti, sul comportamento ambiguo di una PM che ha limitato l’accesso alla stampa, che ha vietato registrazioni e che ha ammesso – tra le sue prove – un filmato dichiaratamente falso da diffondere a mezzo stampa, in un rapporto tra verità e informazione che viene incrinato fin dal suo principio. Insomma, immaginiamo che Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio farà discutere e farà riaccendere quella fiamma di verità tra gli spettatori ma, al di là di questi elementi sicuramente previsti e consequenziali, fa molto piacere scoprire che l’arte del documentario possa essere ancora perseguita con tale fattura, in un prodotto che (non importa con quale atteggiamento fazioso) racconta una storia e lo fa nel modo migliore possibile.

5,0
5,0 out of 5 stars (based on 1 review)
Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio
Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio

Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio è una docu-serie in 5 episodi, che arriva a 10 anni di distanza dalla condanna a Massimo Bossetti e che tenta di ricostruire l'intero delitto di Yara Gambirasio.

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

16/07/2024

Regia:

Gianluca Neri

Cast:

Massimo Bossetti, Marita Comi

Genere:

Docu-serie

PRO

Il montaggio della docu-serie e la ciclicità del racconto
L’importanza cronachistica del documentario
Il tema del rapporto tra fatti e informazione
L’estremo lavoro di ricerca condotto in 7 anni
L’intervista a Massimo Bossetti