Distribuita direttamente sulla piattaforma di streaming Netflix a partire dall’11 aprile 2024, Il giovane Berlusconi è una nuova serie che si occupa di ricostruire e raccontare – attraverso i volti e la voce di alcune delle figure che l’hanno maggiormente circondato in vita – la carriera e la grande ascesa del Cavaliere. Da imprenditore nel settore abitativo fino alla discesa in campo nel 1994, Il giovane Berlusconi offre un ritratto di quell’uomo, quell’imprenditore e quel politico di cui si è tanto raccontato nel corso della storia e che ha, inevitabilmente, segnato la storia del nostro paese. Ma con quale risultato? Di seguito, si offre uno spunto in più relativamente alla trama e alla recensione della serie Netflix diretta da Simone Manetti.
La trama di Il giovane Berlusconi: di che cosa si parla nella serie Netflix?
Prima di proseguire con la recensione di Il giovane Berlusconi, com’è d’uopo, vale la pena indicare innanzitutto la trama della serie in questione. Naturalmente, trattasi degli eventi che hanno interessato la prima gioventù e l’ascesa imprenditoriale, ideologica e politica di Silvio Berlusconi: il successo nel vendere case e nella riqualificazione della Milano 2, l’acquisizione di Rete 4 e Mondadori, la creazione della televisione privata con i palinsesti pubblicitari, l’acquisizione del Milan. Il tutto, ovviamente, fino al tanto noto discorso della discesa in campo del 1994, a cui fece seguito il dibattito con Achille Occhetto e la nomina di Premier.
La recensione di Il giovane Berlusconi: una serie strutturalmente buona con un’idea intelligente di documentario
In un’epoca in cui si realizzano numerosi documentari su personalità di spicco del nostro paese – c’è stato il recente esempio di prodotti su Enzo Jannacci o Giorgio Gaber – ci si aspettava, prima o poi, l’uscita di un documentario su Silvio Berlusconi. Netflix non tradisce le aspettative e coglie la palla al balzo, soprattutto a seguito della morte del Cavaliere, per realizzare un prodotto diretto da Simone Manetti: nell’offrire la recensione di Il giovane Berlusconi non si può che partire da una premessa, relativa al binomio che – in termini di analisi – va necessariamente considerato. Da un lato ci sono i contenuti, i temi, le ideologie e i discorsi, dall’altro la forma, il modo in cui questi vengono proposti e portati sullo schermo; perché lo si dice, in questo momento più che in altri? Poiché la possibilità di essere “trasportati” ideologicamente, in una serie che parla di una figura politica, è certamente più forte del gradimento che può o meno essere espresso per un’icona artistica.
Dal punto di vista prettamente strutturale la serie è intelligente e porta sul piccolo schermo un contenuto strutturalmente buono, con un’idea di alternanza tra materiale di repertorio e di interviste che funziona e una ricostruzione generale che non stanca lo spettatore; in effetti, di certo non manca la quantità di argomenti a proposito di Silvio Berlusconi e la capacità di dividere in tre episodi – ascesa imprenditoriale, successo in Italia e all’estero, fascinazione politica – il racconto sul Cavaliere appare netta. Nella scelta di personalità che devono parlare di Berlusconi c’è un elemento indubbiamente critico: la presenza di personaggi come Dell’Utri o Gonfalonieri fa senz’altro storcere il naso a proposito dell’idea di veridicità che possa esser dietro le loro parole, ma del resto è interessante anche la selezione di un politico come Occhetto, che racconta invece di uno dei momenti clou della discesa in campo del Cavaliere. Il punto di maggiore espressione e di interesse – se si vuole, anche per scelta di argomenti trattati in modo inedito – è relativo al successo televisivo e alla creazione dei palinsesti pubblicitari di Berlusconi, con il controcampo espresso dalle dichiarazioni di Fellini, che invocava un atteggiamento tanto sacrilego (interrompere messe e discorsi in Parlamento con pubblicità) quanto quello di rovinare l’opera cinematografica con il mero advertising. Si parla di fascinazione comunicativa, di proprietà di linguaggio, di superamento di una vecchia classe dirigente e – indipendentemente dal soggetto raccontato – non è certamente un’idea sbagliata: Il giovane Berlusconi, insomma, è una serie che funziona.
Il berlusconismo che sopravvive dopo Silvio Berlusconi
Il giovane Berlusconi è stata realizzata e montata prima della morte di Silvio Berlusconi: ci tiene a sottolinearlo, prima di ogni puntata, Simone Manetti, che inserisce un disclaimer relativo alla natura della serie in questione. Si tratta senz’altro di un elemento in grado di giustificare parte del clima del prodotto in questione ma che, in realtà, non basta: l’atteggiamento presentato all’interno della serie aderisce a pieno merito all’idea di “berlusconismo”, una piega non soltanto politica e imprenditoriale, ma anche sociale e umana che è stata intrapresa nel nostro paese. Che piaccia o non piaccia, il Cavaliere si è reso protagonista di una riqualificazione in toto di un paese che ha affrontato le sue derive, i suoi fallimenti e i suoi cambiamenti: è proprio della natura economica non incontrare soltanto successi, e anche nel caso di Silvio Berlusconi – lo si sottolinea quasi sussurrandolo, con un timore di riverenza – questi ci sono stati: dunque perché l’intero prodotto sembra essere così tanto incensatorio e mistificatorio?
La pretesa di oggettività che accompagna parte delle interviste (riferendosi a giornalisti come Minoli o ad esperti del linguaggio televisivo) cade immediatamente, di fronte alla presenza di personaggi che abitano l’universo di Silvio Berlusconi: Marcello Dell’Utri, Fedele Gonfalonieri, Adriano Galliani, addirittura Iva Zanicchi: persone che hanno avuto contatti positivi, vantaggi acclarati e ritorni sotto tutti i punti di vista e che contribuiscono, in fin dei conti, a dipingere un’immagine del tutto deviata della figura del politico e imprenditore italiano. Sia chiaro: Il giovane Berlusconi non doveva essere – non glielo si richiede – una serie di indagine e smascheramento, poiché (se si ha la pazienza di approfondire) si scopre tutto ciò che di giusto e di sbagliato ha realizzato il Cavaliere nel corso della sua vita; eppure, nonostante questo presupposto, c’era la possibilità di perseguire una linea di maggiore oggettività, ricercando un contraddittorio che non si limitasse soltanto a qualche frase di circostanza, offrendo i due risvolti della stessa medaglia e lasciando che fosse lo spettatore, poi, a scegliere o semplicemente ad approfondire. In quel caso, sì, la serie sarebbe stata più che utile: avrebbe offerto uno spaccato importante della storia del nostro paese e avrebbe ricostruito un’epopea storico-politica di cui il nostro paese – volenti o nolenti – è intriso. Allo stato attuale dei fatti, allora, Il giovane Berlusconi è una buona serie, che funziona nella sua struttura e che porta a casa il risultato: ma serviva davvero?