Articolo pubblicato il 7 Marzo 2024 da Giovanni Urgnani
Presentato in anteprima alla settantaseiesima edizione del Festival di Cannes, vincitore del premio FIPRESCI, e alla quarantottesima edizione del Toronto International Film Festival; distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 7 marzo 2024. Ma qual è il risultato di Los colonos? Di seguito la trama ufficiale e la recensione del film di Felipe Galvez Haberle.
La trama di Los colonos, il film di Felipe Galvez Haberle
Di seguito la trama ufficiale di Los colonos, diretto da Felipe Galvez Haberle:
“All’alba del ventesimo secolo, la Terra del fuoco è divisa tra Argentina e Cile e teatro di un commercio rampante nell’allevamento di pecore. Signore indiscusso della zona è l’imprenditore José Menéndez, che si è accaparrato la proprietà dei terreni e non si fa problemi a sterminare le popolazioni indigene che rappresentano un ostacolo alla sua attività commerciale. Incarica infatti l’ex militare scozzese MacLennan di aprirgli una tratta verso l’Atlantico, affiancandogli il cowboy americano Bill. MacLennan porta con lui anche Segundo, un giovane indigeno dalla mira formidabile.”

La recensione di Los colonos, presentato a Cannes 2023
L’inizio di un percorso, qualsiasi esso sia, non dice tutto, crea sicuramente determinate aspettative che successivamente devono essere confermate o ribaltate, a seconda del risultato. Nello specifico caso, l’esordio dietro la macchina da presa di Felipe Galvez Haberle fa più che ben sperare per il proseguo della sua carriera; la prima pellicola da regista promette grandi cose, a lui quindi l’onere e l’onore di mantenerle una per una. L’asticella è alta fin da subito, poiché si decide di cominciare con un genere difficilissimo: il western; tanto suggestivo quanto insidioso, aldilà di qualsiasi aspetto commerciale o considerazione di pubblico. La natura incontaminata esprime tutta la sua purezza e la sua grandezza, ma allo stesso tempo racchiude in sé l’ostilità del vivere, un contesto capace di mettere a nudo gli istinti più bassi e l’oscurità dell’animo umano.
Il viaggio compiuto dai protagonisti è una lunga e lenta discesa nell’abisso, non si tratta fi un tragitto di redenzione o di speranza, bensì un lento ma costante consumo di crimini, compiuti da chi, in teoria, fa del concetto di civiltà il suo fiore all’occhiello, sentendosi superiore solamente perché in grado di sviluppare una società industrializzata. Il lungometraggio in questione azzecca pienamente il modo di rappresentare la tragicità dell’abituarsi alla violenza: emblematico da questo punto di vista è il personaggio del capitano Alexander MacLennan, ormai abituato ad uccidere come se niente fosse, perdendo definitivamente la consapevolezza porre fine per sempre ad una vita, una in più non fa differenza, l’individuo è totalmente trasformato in una macchina mortale.
Non si diventa però tali senza una ragione: di fondamentale importanza assume la sequenza tra il capitano e il suo superiore Colonnello Marin, l’abuso sessuale subito diventa simbolo della supremazia e prevaricazione delle vecchie generazioni verso le nuove, in relazione a quei tempi; quest’ultime educate al dominio e all’esercizio dell’egemonia sul diverso, manifestata ovviamente attraverso lo spargimento di sangue.

I punti salienti di Los colonos, con Alfredo Castro e Sam Spruell
L’angoscia provata dallo spettatore è trasmessa non solo dagli atti barbari messi in scena, ma anche dallo stato d’animo dei personaggi, grazie ad un ottimo lavoro attoriale, fondato sull’espressività, valorizzata da precisi primi piani che la regia riesce sapientemente ad alternare al momento giusto con le immense e suggestive distese paesaggistiche di una terra “estrema” per la sua collocazione geografica, coerentemente con la situazione dell’essere umano rappresentato. L’inquadratura conclusiva è dedicata all’unica figura femminile della pellicola, pochi minuti che tanto bastano a renderlo imprescindibile: il suo silenzio di chiusura fa rumore, i suoi occhi celano disperazione e rifiuto di accettare un meschino compromesso, accettato invece dalla controparte maschile senza troppi patemi.
Il finale infatti, merita assolutamente una considerazione a parte: un momento chiave soprattutto per come, in maniera implicita ma efficace, rappresenta le controversie e le criticità del mezzo cinematografico; strumento manipolabile, come qualsiasi altro nelle mani dell’uomo, capace sì di “registrare” la realtà, seguendo però la direzione data da colui che muove il tutto, decontestualizzando l’immagine per fini propagandistici, a maggior ragione se l’obiettivo è quello di costruire un’idea precisa di nazione, anche se ciò comporta il seppellimento della verità, avvalorando il fatto che tali certezze siano solo pure illusioni.