Con cinque candidature agli Oscar 2024 – ottenute nelle categorie di miglior film, miglior attore protagonista, migliore sceneggiatura non originale, miglior attore non protagonista e migliore colonna sonora – il biglietto da visita di American Fiction era piuttosto importante. La pellicola, scritta e diretta da Cord Jefferson, non ha conosciuto l’uscita in sala ma ha esordito a sorpresa direttamente sulla piattaforma di streaming di Amazon Prime Video, riuscendo a soddisfare l’attesa di numerosi spettatori dopo il premio ottenuto a Toronto. Ma qual è stato il risultato? Di seguito, si indica la trama e la recensione di American Fiction.
La trama di American Fiction, il film di Cord Jefferson con Jeffrey Wright protagonista
Prima di procedere con la recensione del film che vede Jeffrey Wright protagonista e Cord Jefferson in cabina di regia, si indica innanzitutto la trama di American Fiction. Il protagonista del film, Thelonius “Monk” Ellison vive numerosi problemi personali, a partire dai drammi familiari (che culminano con la morte della sorella), fino alle difficoltà finanziarie che derivano dall’assenza di un reale pubblico. Il suo modo di scrivere è complesso, ma viene completamente sovrastato da una ricerca ossessiva che il mercato dei bianchi rivolge verso una letteratura che premia sempre gli stessi temi: neri sfruttati e schiacciati dallo stivale bianco, incapaci di affermarsi davvero in un mondo difficile. Quando una scrittrice emergente pubblica il suo esordio, We’s Lives In Da Ghetto, Monk decide di parodizzare quell’intero mondo con la scrittura di un romanzo (inizialmente chiamato My Pafology, poi Fuck) che, però, riesce ad ottenere un incredibile successo editoriale, venendo adattato anche a film.
La recensione di American Fiction: una satira diluita dall’eccessivo dramma
Rigettato da gran parte dei registi e degli addetti ai lavori che lo ritenevano enormemente offensivo per la concezione della propria arte, il termine “blaxploitation” è stato a lungo utilizzato per definire un tipo di cinema che si sustanziasse prevalentemente su temi, personaggi e racconti neri. Il punto di partenza della recensione di American Fiction, nonché del film stesso scritto e diretto da Cord Jefferson, non può che essere questo: la pellicola intende superare quella dicotomia bianchi-neri che viene spesso imposta dal mercato hollywoodiano e che vede, spesso, emergere delle tracce di black power in film che hanno – come unico obiettivo – la glorificazione di una cultura semplicemente perché tale (vedi il recente caso di Rustin). Un presupposto originale, seppur non nuovissimo, nel mondo del cinema contemporaneo, sempre più contaminato da formule e autori come Jordan Peele, per cui il rifiuto della blaxploitation rappresenta un vero e proprio punto di partenza, in una filmografia che si è arricchita sempre più di prodotti in escalation – fino al clamoroso caso di Nope -, capaci di mettere in evidenza sì i problemi delle persone nere, ma inquadrati in un’etichetta completamente differente rispetto a quella che il mercato artistico tenta di incorniciare e prescrivere.
Un film di questo genere non poteva che affidarsi ad un volto come quello di Jeffrey Wright – che ha il peso di sostenere una sceneggiatura ricca di parodia, ma anche di dramma – destinando al sarcasmo (una forma di ironia caustica che difficilmente provoca la risata) il suo modo di procedere. Ottime premesse per un risultato, purtroppo, davvero scarno; American Fiction muove i suoi passi dalla consapevolezza di Monk, un uomo che si è stancato di quel mercato che ricerca ossessivamente strutture letterarie preconfezionate, tentando di salvare la propria coscienza attraverso quelle che (molto spesso) sono menzogne curate ad arte. La sua ribellione avviene in forma di compartecipazione, prima dissacrante, poi mestamente convinta – ha pur sempre bisogno di denaro -, poi disillusa: il mondo che Monk tenta di scuotere non si lascia minimamente sfiorare, tronfio di quelle gerarchie che ha imposto e rigidamente ancorato ad una salvaguardia di queste ultime (è emblematica, in tal senso, la scena dei tre bianchi che si oppongono ai due neri, anche visivamente, nel far vincere a Fuck il premio letterario). Se il film avesse reso allo stesso modo di quanto riesce in alcune, bellissime, scene il risultato sarebbe stato clamorosamente positivo. Purtroppo, però, la pellicola si accontenta di lanciare il discorso, quasi a mo’ di un’anticipazione che il cinema saprà raccogliere attraverso altre tracce e altri autori, diluendo eccessivamente la satira in un complessivo aspetto di dramma melenso. Le sovrabbondanti problematiche affrontate – dalla morte della sorella ai problemi della madre, passando per l’omosessualità del fratello fino alla possibile storia d’amore con la vicina – diventano le reali protagoniste del film, non tanto scomponendo il sempre valido volto di Jeffrey Wright, ma la struttura complessiva di un prodotto che sa tanto di “potenziale non rispettato”.
Da un punto di vista puramente tecnico, il film non vede nella sua sceneggiatura il punto di forza, spesso affidandosi al volto di Jeffrey Wright per compensare delle carenze tematiche evidenti. Accontentandosi di una messa in scena standardizzante, il film di Cord Jefferson si prende il lusso di parodizzare anche sul mondo della settima arte, con un divertente ricorso meta-cinematografico sul finale, ma restituendo l’idea di non premere mai sull’acceleratore per ogni aspetto. La stessa colonna sonora, che tenta di ricalcare i toni del blues e del soul accompagnando l’azione (e l’emotività) del protagonista, diventa a poco a poco uno sterile sottofondo dell’azione di Jeffrey Wright. C’è un che di masochistico nella concezione del genio, forse è questo che la pellicola vuole quasi raccontarci – specie nei dialoghi tra Monk e suo fratello -: di fronte ad un’idea, ad un volto o ad un prodotto potenzialmente molto valido, si paga maggiormente lo scotto nell’osservare che le attese non sono rispettate. Diversa, forse più tiepida, sarebbe la delusione per prodotti che nascono mediocri e rispettano le aspettative: American Fiction, purtroppo, non ne fa parte ed è molto più deludente.